sabato, ottobre 26, 2013
Una spirale negativa che va dalle baby-gang di città al bullismo e al cyber bullismo. Ma ci sono anche rimedi e contromisure.

di Carlo Mafera

Nel fenomeno sociologico del bullismo c’è soprattutto l’aggressività, che fa parte della natura umana. Dentro di noi esiste questa forza vitale che, nella sua dimensione naturale, serve per difenderci di fronte alle minacce, alle difficoltà e anche per attaccare quando è indispensabile. Ma a volte si trasforma in violenza. Occorre tenere distinte le due cose: l’aggressività può essere sublimata, può trasformarsi in impegno, in voglia di fare, anche in creatività. Purtroppo quando ciò non accade e l’aggressività è lasciata libera, produce effetti devastanti.

Negli ultimi mesi la cronaca ha messo in evidenza le baby-gang, sia quelle che minacciavano un quartiere romano che quelle che agivano per le strade di una periferia milanese. È amaro notare questo brutto rapporto tra adolescenza e violenza. Ma questi gravi episodi, fortunatamente circoscritti, si radicano su un terreno più ampio, e l’estensione del fenomeno ci dice quanto è difficile essere adolescenti oggi. Un’età, quella dei cosiddetti teen-ager, caratterizzata da una ricerca di senso spesso frustrata dalla mancata testimonianza degli adulti e resa difficile dai messaggi mass-mediatici spesso superficiali e fuorvianti. La crescita umana, culturale e spirituale rimane un punto interrogativo per le nuove generazioni.

Per la verità, le violenze fra i ragazzi non sono una novità e si sono sempre verificate per le note ragioni familiari e sociali, solo che oggi le tolleriamo di meno e notiamo che sono in aumento per ragioni diverse, soprattutto a scuola dove è venuta meno quella disciplina che un tempo sanzionava immediatamente gli atti aggressivi tra compagni e il ruolo dell’insegnante non era messo in discussione. Anche i genitori sono sempre meno autorevoli e svolgono spesso l’innaturale ruolo dell’amico del figlio. C’è anche da dire che i giovani hanno una visione dei comportamenti devianti abbastanza diversa da quella degli adulti: sembrano divertirsi nelle situazioni di sopraffazione e la maggior parte di loro non si rende conto della violenza che svolgono nei confronti della vittima, per carenze legate alla maturazione e alla crescita.

C’è un sottile strato di violenza che attraversa il mondo delle nuove generazioni e in modo trasversale coinvolge maschi e femmine, e spesso chi la subisce sia in casa che a scuola è portato a trasferirla agli altri, creando una catena difficile da spezzare. Abbiamo comunque il compito di considerarla, di denunciarla e affrontarla, perché quelli che ne pagano le conseguenze sono sempre i più deboli, cioè l’ultimo anello di questa catena.

Se scendiamo di un gradino nella scala della violenza, sotto le baby-gang incontriamo il bullismo: una piaga che attraversa sempre il pianeta giovani. Alcuni dati statistici risultati di ricerche sul campo, come quella svolta nell’ambito del Progetto europeo “Antibullyng Campaign”, dimostrano che nel nostro paese un ragazzo su cinque ne è vittima e circa il 50% ne è stato testimone silenzioso, mentre il 16% dichiara di essere un bullo. Risulta interessante segnalare che la scuola è il luogo dove più frequentemente accadono gli episodi di sopraffazione.

Se approfondiamo la ricerca, entriamo nella realtà virtuale dove il bullismo diventa “cyber”, ma le sue conseguenze sono identiche e il cerchio dei coinvolti si allarga ancora: il 71% degli adolescenti italiani percepisce la presenza della minaccia, secondo una ricerca Ipsos-Save the children. È un fenomeno invasivo perché può arrivare in qualsiasi momento mediante un messaggio molesto che arriva sul telefonino o sul pc o attraverso le creazioni di gruppi (una specie di baby-gang virtuale) sui social network. Quest’ultimo tipo di violenza si esprime soprattutto nella comunicazione con parole, immagini, filmati e colpisce i più sensibili, specialmente le ragazze. Gli studi condotti in vari paesi, fra cui l’Italia, ci dicono che il 30-33% dei ragazzi che erano bulli a scuola poi diventano dei criminali in seguito. È importante quindi intervenire tempestivamente, sia per non danneggiare la vittima sia perché il bullo non si abitui e non entri definitivamente in questo ruolo socialmente deviante.

Un ruolo decisivo può essere svolto dai cosiddetti testimoni, che sono tutti gli altri ragazzi che assistono a determinate scene e che spesso sanno cosa accade ma non intervengono per vari motivi: alcuni perché sono stati educati in maniera diversa e non farebbero cose simili, altri perché hanno paura dei bulli… ma poi in fondo ne diventano complici con la loro omertà. Ad altri ancora, inizialmente, sembra solo uno scherzo, e non fanno niente per non essere accusati di fare la parte del moralista nei confronti dei propri compagni. Quando si lavora sul bullismo a scuola bisogna sempre tener conto di questi tre attori, e i testimoni sono molto importanti perché possono essere la leva su cui si può agire.

Quando rivolgiamo l’attenzione alle vittime del bullismo, scorgiamo la loro fragilità. Da tutte le indagini infatti i perseguitati sono i ragazzi che a scuola non ottengono buoni risultati oppure quei ragazzi con problemi familiari alle spalle. Insomma è la loro vulnerabilità familiare e culturale a facilitare la loro esclusione dal gruppo prima e la loro oppressione poi. Occorre combattere la legge del più forte. In passato il controllo sociale era più forte e il ruolo dei genitori e dei professori era più autorevole e deciso, e certi episodi venivano stroncati sul nascere. Perciò, nel contrastare la violenza diffusa, il ruolo delle famiglie e della scuola diventa essenziale, perché si tratta di costruire reti di prossimità capaci innanzitutto di supportare la solitudine dei più deboli e di smontare la paura di quei testimoni silenziosi che finiscono, volenti o nolenti, per essere complici. Scuola e web sono i due ambienti privilegiati dal bullismo, perché sono quelli dove i ragazzi vivono le loro prime esperienze di socialità nel gruppo dei pari in modo autonomo. Questo però non significa che gli adulti non debbano sentire la responsabilità di accompagnarli e tutelarli, magari da lontano, senza farsi vedere.

I rimedi contro il bullismo quindi ci sono, ma la prima frontiera deve essere la scuola, dove dovrebbe esserci un programma ad hoc per dare delle risposte da dare al fenomeno del bullismo da esporre anche alle famiglie all’inizio dell’anno scolastico. Lo statuto degli studenti e delle studentesse che è adottato in molte scuole è stato elaborato da loro stessi, e questa è una strategia interessante perché fa emergere un coinvolgimento dei ragazzi stessi che devono indicare le soluzioni dei problemi. C’è una strategia di intervento che consiste nell’avvicinare uno alla volta i bulli chiedendo a ciascuno che cosa farebbe per risolvere i problemi di integrazione nella classe di un compagno. Si può ricorrere anche ad altre risorse come, ad esempio, il lavoro in gruppo, facendo lavorare assieme il bullo e la sua vittima coinvolgendoli ad esempio in una medesima iniziativa.


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