lunedì, luglio 08, 2013
"La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri”

di Carlo Mafera

Francesco ha instaurato un nuovo stile nel suo papato: una straordinaria concretezza e uno scivolar via da qualsiasi protocollo e formalità. E’ ciò che faceva già da cardinale e continua a farlo da Papa. La coerenza del cristiano deve essere dimostrata con i fatti e non solo con le parole. Nello stesso giorno in cui ufficialmente esce la nuova enciclica, Francesco ha voluto dimostrare con i fatti come la Fede debba illuminare la vita quotidiana e soprattutto la vita degli ultimi. E così ha preso un aereo insieme a quattro collaboratori e arrivato a terra si è spostato a bordo di un’auto di don Giuseppe Calandra, il segretario del vescovo di Agrigento, che lo ha accompagnato fino a Cala Pisana; qui è salito sulla motovedetta che lo ha portato a largo, dove ha lanciato nell'acqua una corona di fiori bianchi e gialli, e una volta tornato a terra ha incontrato i migranti. Qualcuno gli ha raccontato l'inferno che ha vissuto prima di arrivare a Lampedusa: "Per arrivare qui abbiamo superato tanti ostacoli, siamo stati rapiti dai vari trafficanti, abbiamo sofferto moltissimo - ha detto un giovane di colore al Pontefice - Vorremmo aiuto dal nostro Santo Padre, vorremmo che altri paesi ci aiutassero".

Papa Francesco ha ascoltato in silenzio con visibile commozione e ha poi pronunciato parole durissime nella sua omelia al campo sportivo di Lampedusa, ricordando il sacrificio di 20mila migranti che sono morti nel Mediterraneo mentre fuggivano alla fame e alla guerra per cercare un futuro dignitoso. "Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c'entro, saranno altri, non certo io - ha detto il Pontefice - Ma Dio chiede a ciascuno di noi: ‘Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?’. Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell'atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell'altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo 'poverino', e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto".

Un altro episodio significativo che si è svolto lungo l’intensa giornata di Francesco è il regalo di un Pastorale. A prepararlo è stato Francesco Tuccio, il falegname dell’isola che si chiama come il Papa e che da quattro anni confeziona croci e calici con il legno ricavato dalle barchette dei migranti ritrovate sulle coste dell’isola. Un hobby impegnativo tanto che oggi gli oggetti realizzati da Francesco, circa mille, si trovano nelle diocesi di tutta Italia. “L’idea delle croci è nata nel 2009 –ha raccontato il falegname– Il mio obiettivo è testimoniare la sofferenza di questi rifugiati. La croce vuole simboleggiare la rinascita dopo la sofferenza, la rinascita dopo la morte. Ogni volta che costruisco una croce è come ridare la vita un immigrato che non ce l’ha fatta”.

Già 20 giorni fa il falegname lampedusano aveva spedito al Papa, tramite il vescovo di Agrigento, una piccola croce pettorale, sempre costruita col legno delle barche. “Spero che anche questo dono possa aver contribuito a influire sulla scelta di Bergoglio di visitare la nostra isola”. La falegnameria di Tuccio è piena di legni delle barche: sono prevalentemente azzurri, ma ce ne sono di tutti i colori. Si rifornisce prevalentemente dalla discarica delle carrette, un ammasso indistinto di barche arrivate a Lampedusa nel corso di tutti questi anni. Tra le barche sopravvivono i ricordi dei loro sventurati passeggeri: scarpe, vestiti, zaini, fogli, bottiglie. E poi legno, legno e ancora tanto legno. Tantissimo legno che Francesco, il falegname, rivitalizza con la fede.

Tornando all’omelia pronunciata di fronte a 15mila presenti, Papa Bergoglio ha messo in evidenza che è "la cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! La globalizzazione dell'indifferenza ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto". Francesco ha fatto riferimento nella sua predica anche ad una commedia di Lope de Vega, che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna avessero giustiziato il tiranno in modo che non si sapesse chi aveva compiuto l'esecuzione. E quando il giudice del re chiese: "Chi ha ucciso il Governatore?", tutti risposero: "Fuente Ovejuna, Signore". "Tutti e nessuno!", ha concluso il Papa. ''La mia visita è per risvegliare le coscienze. Quando alcune settimane fa ho appreso la notizia, che tante volte sui è ripetuta, di immigrati morti in mare - da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte - il pensiero mi è tornato come una spina nel cuore che porta sofferenza. Ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare. Perché ciò che è accaduto non si ripeta più".

Ecco, forse è il modo più autentico per dimostrare, non solo a parole ma con i fatti, in che cosa consiste la “Lumen Fidei”: la luce della Fede serve a illuminare le situazioni oscure e renderle chiare. Il Papa non a caso ha scelto di andare a Lampedusa proprio il giorno dell’uscita ufficiale della nuova enciclica: lo ha fatto per spiegare con il suo comportamento quanto ha scritto, in collaborazione con Benedetto XVI, facendo assaporare al mondo cattolico i tempi in cui erano vivi Pietro e Paolo...

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