La discriminazione nei confronti dei cristiani “deve essere considerata una grave minaccia all’intera società” e va combattuta come si fa “con l’antisemitismo e l’islamofobia”. Lo ha affermato nei giorni scorsi a Tirana, in Albania, il vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Occasione dell’intervento, la Conferenza di alto livello sulla tolleranza e la non discriminazione promossa dall’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
Radio Vaticana - La storia, verrebbe da dire, ha insegnato poco o niente. Con l’Editto di Milano, 1700 anni fa, l’imperatore Costantino “liberava” dalle persecuzioni sistematiche i seguaci di Cristo. Diciassette secoli dopo, nello stesso teatro europeo, “gli episodi di intolleranza e di discriminazione nei confronti dei cristiani non solo non sono diminuiti, ma sono addirittura aumentati”.
A fronte di una notevole crescita globale di sensibilità nel campo dei diritti umani, molte sono le ombre che mons. Toso rileva quando si tocca la situazione delle comunità cristiane oggi nel mondo. A cominciare dall’emarginazione più strisciante tra “credenza religiosa e pratica religiosa”, quella per cui – osserva con schiettezza mons. Toso – “spesso ai cristiani viene ricordato, nel pubblico dibattito (e sempre più di frequente anche nei tribunali), che possono credere tutto ciò che vogliono nelle loro case e nelle loro teste, e che possono rendere culto come desiderano nelle loro chiese private, ma che semplicemente non possono agire in base a queste credenze in pubblico”. Si tratta, prosegue, “di una distorsione deliberata e di una limitazione del vero significato della libertà di religione”, che ha ricadute in almeno due ambiti.
Il primo è “l’intolleranza nei confronti del discorso cristiano”. A riprova, mons. Toso ha ricordato l’aumento di minacce e arresti contro cristiani rei di essersi espressi su questioni riguardanti la loro fede, braccati perfino sui social network. Il secondo ambito è quello della “coscienza cristiana”, specialmente sul posto di lavoro. “In tutta Europa – ha riferito mons. Toso – si sono verificati numerosi casi di cristiani allontanati dal luogo di lavoro solo perché hanno cercato di agire secondo la propria coscienza”. Il risultato è che alcuni cittadini dell’area Osce “sono costretti a scegliere tra due scenari improbabili: possono abbandonare la propria fede e agire contro la loro coscienza, oppure resistere e affrontare il fatto di perdere il loro sostentamento”.
Considerando anche gli atti di vandalismo o dileggio avvenuti nei luoghi di culto, ciò che la Santa Sede chiede agli Stati Osce è che la discriminazione nei confronti dei cristiani – anche laddove costituiscono una maggioranza – sia “considerata una grave minaccia all’intera società” e quindi “combattuta proprio come giustamente si fa con l’antisemitismo e l’islamofobia”. “Negare a un argomento morale, basato sulla religione, un posto nella pubblica piazza è un atto di intolleranza ed è antidemocratico”, incalza mons. Toso. “O, per dirlo in altre parole, laddove potrebbe esservi uno scontro di diritti, la libertà di religione non deve mai essere considerata come inferiore”. E sulla tolleranza, il presule osserva che la questione della libertà religiosa non può e non deve esservi “incorporata”. E spiega: “Se fosse questo il valore umano e civile supremo, allora qualsiasi convinzione autenticamente veritiera che ne escluda un’altra equivarrebbe all’intolleranza”. E “se una convinzione valesse l’altra, si potrebbe finire con l’essere compiacenti anche verso le aberrazioni”.
Radio Vaticana - La storia, verrebbe da dire, ha insegnato poco o niente. Con l’Editto di Milano, 1700 anni fa, l’imperatore Costantino “liberava” dalle persecuzioni sistematiche i seguaci di Cristo. Diciassette secoli dopo, nello stesso teatro europeo, “gli episodi di intolleranza e di discriminazione nei confronti dei cristiani non solo non sono diminuiti, ma sono addirittura aumentati”.
A fronte di una notevole crescita globale di sensibilità nel campo dei diritti umani, molte sono le ombre che mons. Toso rileva quando si tocca la situazione delle comunità cristiane oggi nel mondo. A cominciare dall’emarginazione più strisciante tra “credenza religiosa e pratica religiosa”, quella per cui – osserva con schiettezza mons. Toso – “spesso ai cristiani viene ricordato, nel pubblico dibattito (e sempre più di frequente anche nei tribunali), che possono credere tutto ciò che vogliono nelle loro case e nelle loro teste, e che possono rendere culto come desiderano nelle loro chiese private, ma che semplicemente non possono agire in base a queste credenze in pubblico”. Si tratta, prosegue, “di una distorsione deliberata e di una limitazione del vero significato della libertà di religione”, che ha ricadute in almeno due ambiti.
Il primo è “l’intolleranza nei confronti del discorso cristiano”. A riprova, mons. Toso ha ricordato l’aumento di minacce e arresti contro cristiani rei di essersi espressi su questioni riguardanti la loro fede, braccati perfino sui social network. Il secondo ambito è quello della “coscienza cristiana”, specialmente sul posto di lavoro. “In tutta Europa – ha riferito mons. Toso – si sono verificati numerosi casi di cristiani allontanati dal luogo di lavoro solo perché hanno cercato di agire secondo la propria coscienza”. Il risultato è che alcuni cittadini dell’area Osce “sono costretti a scegliere tra due scenari improbabili: possono abbandonare la propria fede e agire contro la loro coscienza, oppure resistere e affrontare il fatto di perdere il loro sostentamento”.
Considerando anche gli atti di vandalismo o dileggio avvenuti nei luoghi di culto, ciò che la Santa Sede chiede agli Stati Osce è che la discriminazione nei confronti dei cristiani – anche laddove costituiscono una maggioranza – sia “considerata una grave minaccia all’intera società” e quindi “combattuta proprio come giustamente si fa con l’antisemitismo e l’islamofobia”. “Negare a un argomento morale, basato sulla religione, un posto nella pubblica piazza è un atto di intolleranza ed è antidemocratico”, incalza mons. Toso. “O, per dirlo in altre parole, laddove potrebbe esservi uno scontro di diritti, la libertà di religione non deve mai essere considerata come inferiore”. E sulla tolleranza, il presule osserva che la questione della libertà religiosa non può e non deve esservi “incorporata”. E spiega: “Se fosse questo il valore umano e civile supremo, allora qualsiasi convinzione autenticamente veritiera che ne escluda un’altra equivarrebbe all’intolleranza”. E “se una convinzione valesse l’altra, si potrebbe finire con l’essere compiacenti anche verso le aberrazioni”.
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