L'Aquila, 4 anni dopo il sisma. Mons. Molinari: città ancora da ricostruire, ma non perdiamo la speranza
Sono passati 4 anni dal terremoto che il 6 aprile del 2009 ha devastato l’Abruzzo e, in particolare, la città dell’Aquila provocando la morte di 309 persone.
Radio Vaticana - Nonostante gli impegni assunti dal mondo della politica, la ricostruzione procede a rilento come sottolinea al microfono di Benedetta Rinaldi, l’arcivescovo dell'Aquila, mons. Giuseppe Molinari: ascolta
R. – Io, all’inizio, cercavo di vedere le cose in maniera ottimista, perché effettivamente sentivo dire che questo sarebbe diventato il cantiere più grande d’Europa. Si parlava di soldi che sarebbero affluiti, dell’economia che sarebbe ripartita… Un vescovo delle Puglie, che incontrai qualche settimana dopo il sisma, mi disse: “Giuseppe, ma ci credi proprio che arrivino, questi soldi?”. Mi era sembrato il massimo del pessimismo, però dopo quattro anni devo dare ragione a questo amico vescovo che forse era passato in situazioni analoghe e vedeva tanto difficile la realizzazione di queste promesse. A parte tutto questo, poi c’è stata la crisi … Però, quello che io ho cercato di ricordare sempre, perché è responsabilità della politica, dell’amministrazione pubblica, che in fondo qualcosa si sarebbe potuto incominciare a fare …
D. – Le parole di Papa Francesco, il suo invito a rinnovare le periferie del mondo, infondono speranza anche in una città come L’Aquila, ancora profondamente ferita …
R. – Il sisma ci ha fatto diventare ancora più periferia, quindi lo sentiamo alleato nostro, alleato dei nostri problemi. Il suo messaggio richiama l’attenzione di tutti sugli ultimi, sulle periferie del mondo e dell’esistenza, e noi ci sentiamo periferia: sono quattro anni, e a parte alcune ricostruzioni nella periferia della città, il centro storico è ancora – purtroppo – come quattro anni fa. Però, non perdiamo la speranza …
Sulle difficoltà nella ricostruzione si sofferma, al microfono di Benedetta Rinaldi, anche Giustino Parisse, giornalista del quotidiano “Il Centro” che nel terremoto del 6 aprile del 2009 ha perso il padre e i suoi due figli: ascolta
R. – Oggi, di ciò che è crollato il 6 aprile 2009 alle 3.32, nulla è stato ricostruito. Quello che è stato ricostruito – si fa per dire – sono le case che non sono crollate e nemmeno danneggiate. Per quanto riguarda il resto, nel centro storico siamo all’anno zero.
D. – Dov’è il punto di collasso della situazione?
R. – Io direi che il punto di collasso è nei soldi. Quando il governo dice che ci sono i soldi, sono quelli stanziati prima di Natale dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica). Sono circa due miliardi e mezzo. Ma questi soldi, materialmente, non sono ancora arrivati. Di questi due miliardi e mezzo la gran parte è già impegnata. Questi soldi sono stati già spesi: nel senso che, appena arrivano, il Comune li deve dare a chi ha già fatto dei lavori. Per il centro storico dell’Aquila saranno disponibili 800 milioni, di cui 600 milioni proprio per il cuore della città e 200 milioni per la periferia. Ora, questi 800 milioni sono una goccia nel mare della ricostruzione della città. Adesso, all’Aquila che cosa succederà tra qualche mese? Quando arriveranno questi pochi soldi, scoppierà la guerra dei poveri. Quando inizieranno i cantieri, questa contestazione andrà sempre a crescere. Quello che serve è un flusso garantito e continuo per i prossimi cinque-dieci anni, di almeno un miliardo, due miliardi l’anno. Solo così L’Aquila sarà ricostruita. La città dobbiamo ricostruirla noi aquilani, però lo Stato deve darci i mezzi per farlo.
Radio Vaticana - Nonostante gli impegni assunti dal mondo della politica, la ricostruzione procede a rilento come sottolinea al microfono di Benedetta Rinaldi, l’arcivescovo dell'Aquila, mons. Giuseppe Molinari: ascolta
R. – Io, all’inizio, cercavo di vedere le cose in maniera ottimista, perché effettivamente sentivo dire che questo sarebbe diventato il cantiere più grande d’Europa. Si parlava di soldi che sarebbero affluiti, dell’economia che sarebbe ripartita… Un vescovo delle Puglie, che incontrai qualche settimana dopo il sisma, mi disse: “Giuseppe, ma ci credi proprio che arrivino, questi soldi?”. Mi era sembrato il massimo del pessimismo, però dopo quattro anni devo dare ragione a questo amico vescovo che forse era passato in situazioni analoghe e vedeva tanto difficile la realizzazione di queste promesse. A parte tutto questo, poi c’è stata la crisi … Però, quello che io ho cercato di ricordare sempre, perché è responsabilità della politica, dell’amministrazione pubblica, che in fondo qualcosa si sarebbe potuto incominciare a fare …
D. – Le parole di Papa Francesco, il suo invito a rinnovare le periferie del mondo, infondono speranza anche in una città come L’Aquila, ancora profondamente ferita …
R. – Il sisma ci ha fatto diventare ancora più periferia, quindi lo sentiamo alleato nostro, alleato dei nostri problemi. Il suo messaggio richiama l’attenzione di tutti sugli ultimi, sulle periferie del mondo e dell’esistenza, e noi ci sentiamo periferia: sono quattro anni, e a parte alcune ricostruzioni nella periferia della città, il centro storico è ancora – purtroppo – come quattro anni fa. Però, non perdiamo la speranza …
Sulle difficoltà nella ricostruzione si sofferma, al microfono di Benedetta Rinaldi, anche Giustino Parisse, giornalista del quotidiano “Il Centro” che nel terremoto del 6 aprile del 2009 ha perso il padre e i suoi due figli: ascolta
R. – Oggi, di ciò che è crollato il 6 aprile 2009 alle 3.32, nulla è stato ricostruito. Quello che è stato ricostruito – si fa per dire – sono le case che non sono crollate e nemmeno danneggiate. Per quanto riguarda il resto, nel centro storico siamo all’anno zero.
D. – Dov’è il punto di collasso della situazione?
R. – Io direi che il punto di collasso è nei soldi. Quando il governo dice che ci sono i soldi, sono quelli stanziati prima di Natale dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica). Sono circa due miliardi e mezzo. Ma questi soldi, materialmente, non sono ancora arrivati. Di questi due miliardi e mezzo la gran parte è già impegnata. Questi soldi sono stati già spesi: nel senso che, appena arrivano, il Comune li deve dare a chi ha già fatto dei lavori. Per il centro storico dell’Aquila saranno disponibili 800 milioni, di cui 600 milioni proprio per il cuore della città e 200 milioni per la periferia. Ora, questi 800 milioni sono una goccia nel mare della ricostruzione della città. Adesso, all’Aquila che cosa succederà tra qualche mese? Quando arriveranno questi pochi soldi, scoppierà la guerra dei poveri. Quando inizieranno i cantieri, questa contestazione andrà sempre a crescere. Quello che serve è un flusso garantito e continuo per i prossimi cinque-dieci anni, di almeno un miliardo, due miliardi l’anno. Solo così L’Aquila sarà ricostruita. La città dobbiamo ricostruirla noi aquilani, però lo Stato deve darci i mezzi per farlo.
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