Si chiude il nostro ciclo di articoli quaresimali sul “Padre Nostro”: ha offerto senza dubbio un contributo all’Anno della Fede che stiamo vivendo
di Monica Cardarelli
Il seme di senape piantato il Mercoledì delle Ceneri per l’inizio della Quaresima ha dato i suoi frutti: è morto a se stesso dando vita a dei piccoli germogli, apparentemente fragili e delicati che sono ormai cresciuti e hanno prodotto foglie grandi, irrobustendosi e moltiplicandosi. La simbologia del chicco di senape con la nostra fede ci ha aiutato a farla crescere, accudirla, custodirla e soprattutto, affidarla al Signore che ben conosce i nostri limiti e le nostre debolezze e che può, solo Lui, trasformarle. È stato ed è un cammino comune e condiviso quello appena concluso sulle parole del "Padre Nostro" che prosegue tutti i giorni nella comunità ecclesiale. Perché, se è vero come ci ha ricordato Papa Francesco che bisogna “uscire da se stessi”, dalle proprie certezze, liberarsi delle zavorre che ci chiudono “dentro casa” ed uscire per andare incontro a Lui e ai fratelli, è altrettanto vero che questo cammino di apertura verso l’incontro non viene fatto singolarmente, da soli, ma si inserisce nel più ampio cammino della Chiesa.
Ciò non significa che la comunità o il movimento di appartenenza debba fungere da ‘chioccia’ per proteggerci ma non va dimenticato il valore della comunità. Gesù chiama dodici amici, perché stessero con lui come ci ricorda l’evangelista Marco e poi perché andassero in missione ad evangelizzare. Il nostro è un Dio che ha bisogno di noi, che ci chiama a se perché anche la nostra missione, la vocazione di ognuno prende vita solo dalla relazione con Lui: possiamo realmente intuire quale è solo grazie alla preghiera e al discernimento della Sua Parola perché in quel momento sperimentiamo la presenza di Dio.
Preghiera personale, ma anche preghiera comunitaria ad esempio con la partecipazione all’eucarestia e ascoltando la Sua Parola. In fondo, anche il primo gruppo sparuto di quei dodici pescatori rappresentano la prima piccola comunità voluta da Gesù; la stessa espressione trinitaria di Dio, è in se una prima cellula di comunità. “E uscì dal fianco sangue ed acqua” (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell’acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e dell’Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo per mezzo del battesimo e dell’Eucaristia. E i simboli del battesimo e dell’Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva”. Con queste parole san Giovanni Crisostomo (Catechesi 3, 13-19; sc 50, 174-177) spiega la nascita della Chiesa.
Come ricordava Papa Francesco, se non si prende la croce, se non la si vive e non la si porta sulle proprie spalle, la Chiesa diventa una pietosa ONG, proprio perché nata dalla Croce e da lì deve procedere, senza dimenticarlo mai. Non va dimenticata la sua origine, che nasce cioè dal costato di Cristo, che è frutto di quella morte in croce che genera vita: anche per questo è importate guardare alla Chiesa con gli occhi della fede.
Sempre sotto la croce Gesù affida sua madre Maria a Giovanni, e a sua volta affida l’apostolo a sua madre. Solo così possiamo capire quanto sia importante l’affidamento della Chiesa a Maria e fondamentale la sua intercessione. Anche Francesco affidò il suo Ordine alla Madre di Gesù e volle morire sulla nuda terra di santa Maria degli Angeli, la chiesetta di aveva ricostruito. In questo senso la nascita della Chiesa è un mistero e lo si può percepire solo con la grazia del dono della fede mentre la sua appartenenza filiale va vissuta come dono: la Chiesa madre a cui tutti noi apparteniamo come figli, deve farci sentire comunità.
Certo, deve esserci sempre conoscenza e rispetto: conoscenza prima di tutto per ciò che si ama per poi poter essere lievito nella comunità consapevoli che la Chiesa è costituita da uomini con i loro limiti e difetti. Nonostante ciò, non deve mancare il rispetto per gli uomini di Dio e soprattutto per l’azione dello Spirito in essa.
A questo proposito ci piace ricordare le parole di san Francesco nel suo Testamento: “Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.” (FF 112) Francesco conclude precisando: “E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.” (FF 113)
Perciò, nonostante i peccati di giovinezza o nonostante le eventuali situazioni di limiti e difficoltà in cui si potrebbe trovare una madre, per i propri figli, resta sempre una madre. Così anche noi dobbiamo sentire e vivere l’appartenenza filiale alla comunità ecclesiale, fiduciosi dell’azione dello Spirito Santo e della infinita misericordia di Dio nella sua Chiesa.
di Monica Cardarelli Il seme di senape piantato il Mercoledì delle Ceneri per l’inizio della Quaresima ha dato i suoi frutti: è morto a se stesso dando vita a dei piccoli germogli, apparentemente fragili e delicati che sono ormai cresciuti e hanno prodotto foglie grandi, irrobustendosi e moltiplicandosi. La simbologia del chicco di senape con la nostra fede ci ha aiutato a farla crescere, accudirla, custodirla e soprattutto, affidarla al Signore che ben conosce i nostri limiti e le nostre debolezze e che può, solo Lui, trasformarle. È stato ed è un cammino comune e condiviso quello appena concluso sulle parole del "Padre Nostro" che prosegue tutti i giorni nella comunità ecclesiale. Perché, se è vero come ci ha ricordato Papa Francesco che bisogna “uscire da se stessi”, dalle proprie certezze, liberarsi delle zavorre che ci chiudono “dentro casa” ed uscire per andare incontro a Lui e ai fratelli, è altrettanto vero che questo cammino di apertura verso l’incontro non viene fatto singolarmente, da soli, ma si inserisce nel più ampio cammino della Chiesa.
Ciò non significa che la comunità o il movimento di appartenenza debba fungere da ‘chioccia’ per proteggerci ma non va dimenticato il valore della comunità. Gesù chiama dodici amici, perché stessero con lui come ci ricorda l’evangelista Marco e poi perché andassero in missione ad evangelizzare. Il nostro è un Dio che ha bisogno di noi, che ci chiama a se perché anche la nostra missione, la vocazione di ognuno prende vita solo dalla relazione con Lui: possiamo realmente intuire quale è solo grazie alla preghiera e al discernimento della Sua Parola perché in quel momento sperimentiamo la presenza di Dio.
Preghiera personale, ma anche preghiera comunitaria ad esempio con la partecipazione all’eucarestia e ascoltando la Sua Parola. In fondo, anche il primo gruppo sparuto di quei dodici pescatori rappresentano la prima piccola comunità voluta da Gesù; la stessa espressione trinitaria di Dio, è in se una prima cellula di comunità. “E uscì dal fianco sangue ed acqua” (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell’acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e dell’Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo per mezzo del battesimo e dell’Eucaristia. E i simboli del battesimo e dell’Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva”. Con queste parole san Giovanni Crisostomo (Catechesi 3, 13-19; sc 50, 174-177) spiega la nascita della Chiesa.
Come ricordava Papa Francesco, se non si prende la croce, se non la si vive e non la si porta sulle proprie spalle, la Chiesa diventa una pietosa ONG, proprio perché nata dalla Croce e da lì deve procedere, senza dimenticarlo mai. Non va dimenticata la sua origine, che nasce cioè dal costato di Cristo, che è frutto di quella morte in croce che genera vita: anche per questo è importate guardare alla Chiesa con gli occhi della fede.
Sempre sotto la croce Gesù affida sua madre Maria a Giovanni, e a sua volta affida l’apostolo a sua madre. Solo così possiamo capire quanto sia importante l’affidamento della Chiesa a Maria e fondamentale la sua intercessione. Anche Francesco affidò il suo Ordine alla Madre di Gesù e volle morire sulla nuda terra di santa Maria degli Angeli, la chiesetta di aveva ricostruito. In questo senso la nascita della Chiesa è un mistero e lo si può percepire solo con la grazia del dono della fede mentre la sua appartenenza filiale va vissuta come dono: la Chiesa madre a cui tutti noi apparteniamo come figli, deve farci sentire comunità.
Certo, deve esserci sempre conoscenza e rispetto: conoscenza prima di tutto per ciò che si ama per poi poter essere lievito nella comunità consapevoli che la Chiesa è costituita da uomini con i loro limiti e difetti. Nonostante ciò, non deve mancare il rispetto per gli uomini di Dio e soprattutto per l’azione dello Spirito in essa.
A questo proposito ci piace ricordare le parole di san Francesco nel suo Testamento: “Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.” (FF 112) Francesco conclude precisando: “E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.” (FF 113)
Perciò, nonostante i peccati di giovinezza o nonostante le eventuali situazioni di limiti e difficoltà in cui si potrebbe trovare una madre, per i propri figli, resta sempre una madre. Così anche noi dobbiamo sentire e vivere l’appartenenza filiale alla comunità ecclesiale, fiduciosi dell’azione dello Spirito Santo e della infinita misericordia di Dio nella sua Chiesa.
| Tweet |
Nicolò Renna, chitarrista palermitano, sbanca il web con il suo singolo Breathing. Lo abbiamo incontrato a Palermo. L'intervista di Paolo A.Magrì
Domenico Fioravanti, la Leggenda di Sydney 2000. Una vita da rincorrere a bracciate.Il ranista, prima medaglia d’oro azzurra alle Olimpiadi di Sydney 2000, intervistato da Emanuela Biancardi.
"L'intelligenza umana è la nostra principale risorsa". Parla Ermete Realacci, tra attivismo e sfide economiche
mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara, intervistato per LPL News 24 da Patrizio Ricci su politica europea ed immigrazione.
Max Cavallari della coppia 'I Fichi d'India', intervistato per LPL News 24 da Emanuela Biancardi.
Laura Efrikian, Attrice, scrittrice, promotrice di 'Laura For Afrika', intervistata per LPL News 24 da Emanuela Biancardi.
Patty Pravo festeggia cinquant’anni di successi intramotabili nel mondo della musica, tirando fuori ancora una volta pezzi da ‘90. Intervista di S. Santullo
Sergio Caputo celebra i trent’anni di “ Un Sabato Italiano”, con un nuovo omonimo album. Intervista a Sergio Caputo, di Simona Santullo
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.