La Scozia terrà l'annunciato referendum sulla sua indipendenza dal Regno Unito il 18 settembre del 2014. Lo ha reso noto il primo ministro scozzese, Alex Salmond - citato dalla Bbc -, che ieri ha presentato il relativo disegno di legge al parlamento di Edimburgo.
Radio Vaticana - In merito, Eugenio Bonanata ha raccolto il commento della professoressa Federiga Bindi, titolare della cattedra Jean Monnet presso l'Università Tor Vergata di Roma:
R. - Per la Scozia chiaramente è un significato politico molto forte quello di avere finalmente questo referendum. Se ci sarà o no è chiaramente un riconoscimento finale alla specificità scozzese e sicuramente, in ogni caso, come minimo porterà ad una revisione degli accordi del 2001 sulla devoluzione dei poteri alla Scozia.
D. – Si tratta di un segnale di debolezza per Cameron?
R. – No, perché era una cosa già concertata prima. Anzi, direi che è un segnale di forza di un Paese, quello di "permettersi" di fare un referendum in questo modo.
D. – Per la Scozia che cosa cambierà in caso di esito positivo?
R. – Io non credo che la Scozia diventerà indipendente, poi può darsi che mi sbagli. Se la Scozia dovesse diventare indipendente, intanto avremmo un Paese in più nell’Unione Europea - un Paese che a quel punto sarebbe fortemente europeista ed in contrasto all’Inghilterra. Poi probabilmente quella che ne uscirebbe indebolita sarebbe la politica estera e di difesa inglese.
D. – Lei crede che il referendum non passerà?
R. – E’ difficile fare una previsione esatta. Per ora non ci sono i numeri, credo che alla fine prevarrà il pragmatismo. Certo, siccome ci saranno il "Commonwealth Games" e la Ryder Cup, se gli scozzesi dovessero stravincere in entrambe queste competizioni sportive, allora forse sull’onda del nazionalismo le cose potrebbero cambiare. Molto dipende anche da cosa farà il Regno Unito: certo, il governo inglese, da qui al prossimo anno e mezzo, dovrà proporre le eccellenze in tutti i sensi altrimenti aiuterà la causa indipendentista.
D. – Che cosa comporta l’estensione del voto ai sedicenni ed ai diciassettenni proposta dal premier scozzese?
R. – Non so quanto i diciassettenni sposteranno il voto. Quello che io trovo molto interessante è vedere non soltanto la forchetta di età, ma chi potrà votare: non saranno soltanto i cittadini inglesi residenti in Scozia, ma saranno anche i cittadini del Commonwealth e i cittadini dell’Unione Europea residenti in Scozia e non - tranne alcune eccezioni – gli scozzesi all’estero, cosa che in Italia dovrebbe far riflettere.
D. – L’esito del referendum potrebbe avere ripercussioni sulle spinte secessioniste in Europa?
R. – Sicuramente, se il referendum dovesse andare bene fomenterà, come minimo, cose simili in Spagna e probabilmente risveglierà anche qualche ardore anche in Italia. Tuttavia credo che bisogna capire che è l’unione che fa la forza e non la disunione: secondo me, oggi nel mondo globalizzato dovremmo avere più Europa, un’Europa più federale e non più Stati.
Radio Vaticana - In merito, Eugenio Bonanata ha raccolto il commento della professoressa Federiga Bindi, titolare della cattedra Jean Monnet presso l'Università Tor Vergata di Roma:
R. - Per la Scozia chiaramente è un significato politico molto forte quello di avere finalmente questo referendum. Se ci sarà o no è chiaramente un riconoscimento finale alla specificità scozzese e sicuramente, in ogni caso, come minimo porterà ad una revisione degli accordi del 2001 sulla devoluzione dei poteri alla Scozia.
D. – Si tratta di un segnale di debolezza per Cameron?
R. – No, perché era una cosa già concertata prima. Anzi, direi che è un segnale di forza di un Paese, quello di "permettersi" di fare un referendum in questo modo.
D. – Per la Scozia che cosa cambierà in caso di esito positivo?
R. – Io non credo che la Scozia diventerà indipendente, poi può darsi che mi sbagli. Se la Scozia dovesse diventare indipendente, intanto avremmo un Paese in più nell’Unione Europea - un Paese che a quel punto sarebbe fortemente europeista ed in contrasto all’Inghilterra. Poi probabilmente quella che ne uscirebbe indebolita sarebbe la politica estera e di difesa inglese.
D. – Lei crede che il referendum non passerà?
R. – E’ difficile fare una previsione esatta. Per ora non ci sono i numeri, credo che alla fine prevarrà il pragmatismo. Certo, siccome ci saranno il "Commonwealth Games" e la Ryder Cup, se gli scozzesi dovessero stravincere in entrambe queste competizioni sportive, allora forse sull’onda del nazionalismo le cose potrebbero cambiare. Molto dipende anche da cosa farà il Regno Unito: certo, il governo inglese, da qui al prossimo anno e mezzo, dovrà proporre le eccellenze in tutti i sensi altrimenti aiuterà la causa indipendentista.
D. – Che cosa comporta l’estensione del voto ai sedicenni ed ai diciassettenni proposta dal premier scozzese?
R. – Non so quanto i diciassettenni sposteranno il voto. Quello che io trovo molto interessante è vedere non soltanto la forchetta di età, ma chi potrà votare: non saranno soltanto i cittadini inglesi residenti in Scozia, ma saranno anche i cittadini del Commonwealth e i cittadini dell’Unione Europea residenti in Scozia e non - tranne alcune eccezioni – gli scozzesi all’estero, cosa che in Italia dovrebbe far riflettere.
D. – L’esito del referendum potrebbe avere ripercussioni sulle spinte secessioniste in Europa?
R. – Sicuramente, se il referendum dovesse andare bene fomenterà, come minimo, cose simili in Spagna e probabilmente risveglierà anche qualche ardore anche in Italia. Tuttavia credo che bisogna capire che è l’unione che fa la forza e non la disunione: secondo me, oggi nel mondo globalizzato dovremmo avere più Europa, un’Europa più federale e non più Stati.
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