sabato, marzo 09, 2013
In questo libro Elena Miglioli, responsabile della struttura Comunicazione dell'Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova, racconta l'esperienza di alcuni malati terminali e delle loro famiglie

Uno dei tabù della società contemporanea è quello della malattia, a cui spesso segue la morte. “Ammalarsi oggi – spiega la psicologa Paola Aleotti – sembra essere più terrorizzante che non cento o duecento anni fa, quando era scontato che la vita media non potesse superare i trentacinque-quarant'anni”. Eppure il problema della malattia, specialmente nella sua fase terminale, al giorno d'oggi tocca molte persone, e spesso, quando si presenta, diventa motivo di disperazione. Nel libro “La notte può attendere” di Elena Miglioli si approfondisce proprio questo tema della malattia terminale. Tuttavia l'autrice non si siede sulla cattedra per spiegare cosa fare o come comportarsi in questi casi, ma, piuttosto, riporta l'esperienza delle stesse persone che hanno vissuto nel proprio corpo o in quello dei loro cari questo dramma. Il libro infatti presenta una serie di racconti, talvolta di fantasia, ma nella maggior parte dei casi realmente vissuti, di episodi di malattia terminale.

I pazienti o i loro familiari, a cuore aperto, narrano il loro dolore e la loro sofferenza. “Malattia, sofferenza e morte – racconta una piccola nota del 12 giugno 2011 – sono argomenti che di solito la maggior parte delle persone tende a eludere fin quando non se ne viene toccati. Si pensa spesso che certi accidenti capitino solo agli altri, ma quando poi ci si ritrova nel bisogno, è benedetta l'assistenza proprio di quelle strutture che ci davano disagio al solo nominarle”. “Caro Dio – si legge in un altro brano – sento che si avvicina l'ora della partenza. Mi giunge a tratti uno sciame di sussurri come dai vicoli di un borgo d'altri tempi [...]. Lo chiedo a mio marito: senti queste voci, le senti? No, riposa amore, è la stanchezza. Sì, sono esausta, la stanchezza, la morfina”.

Il libro, però, non consiste solo nel mettere a nudo il dolore e la sofferenza prodotti dalla malattia, ma descrive la bella esperienza che si può vivere nel Centro Cure Palliative dell'Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova. Qui i pazienti vengono trattati con dignità e benevolenza, in quanto alla base di tutto vi è la constatazione che dietro una malattia c'è sempre un malato, cioè una persona. Obiettivo di tutto il personale del Centro è cercare di sviluppare una certa empatia con il malato e la sua famiglia, in modo che questi possano accogliere la malattia come una possibilità dell'esistenza.

Filo conduttore di tutto il libro è dunque la speranza, ma non tanto in una guarigione fisica, quanto piuttosto nel “dare cittadinanza al dolore, perché gli scenari del dolore sono quelli in cui l'esperienza individuale si salda con il senso universale del nostro soffrire”. Il malato ha bisogno di dare un nuovo senso alla propria vita, in quanto non può più fare quello che faceva prima. Ha inoltre la necessità di sentirsi accolto nella sua malattia, nella sua condizione di debolezza, anche con una semplice carezza o uno sguardo pieno d'amore. Sì, perché in fondo solo l'amore può vincere anche la morte.

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