sabato, marzo 09, 2013
Nessuna alternativa: il miracolo non è un programma ma servire il Paese reale

di Patrizio Ricci

Se è vero che il ‘Movimento 5 Stelle’ attira molte simpatie perché i suoi punti qualificanti sono temi particolarmente sentiti (come la distruzione del ‘carrierismo politico’ , la lotta alla corruzione, la partecipazione più diretta dei cittadini), è altrettanto vero che sarà difficile mettere d’accordo le varie anime che coesistono al proprio interno. E in questo contesto è innegabile che i principali leader dei partiti ‘storici’, usciti ridimensionati dalle elezioni, alimentano la paura della gente verso i grillini, lasciando quasi dedurre che per colpa del M5S saremmo presto alle porte di una nuova Repubblica di Weimar tutta italiana, con l'ascesa al potere di un redivivo Adolf Hitler.

E’ evidente Beppe Grillo non riscuote molta simpatia da parte dei partiti ‘storici’. L’altro giorno, riportando una sua frase (estrapolata da un’intervista al Time di Londra) alcune testate non hanno resistito alla tentazione di ‘bucare con la notizia’, prefigurando la guerra civile: “se il M5S fallisce ci sarà la violenza di piazza” . “Un’interpretazione fuori contesto” ha replicato il Time, ma lo ‘scivolone’ è sintomo del clima bollente che si respira. Come sempre è una guerra giocata a vari livelli: sono già usciti i finanziamenti off-shore dell’autista di Grillo e la notizia che “ il cugino della fioraia della portinaia del panettiere di Grillo risiede alle Cayman” (titolo di Repubblica - 8 marzo 2013).

All’indirizzo del leader di M5S, il segretario del PD Bersani usa costantemente toni graffianti: «Grillo non vuole diplomazia né scambi di sedie, io meno di lui. Bisogna dare risposte serie e non incappucciate davanti al Paese», (dove per ‘incappucciato’ si riferisce al fallito espediente di Grillo di fare jogging incappucciato per eludere il consueto assedio di giornalisti e telecamere). Naturalmente la replica, non amichevole, giunge sempre a mezzo stampa: ci siamo ormai abituati al paragone di Bersani con il mago dei puffi ‘Gargamella’ o con il ‘morto che parla’. Con questo clima, il massimo che possiamo prevedere è che alla fine ci sarà un accordo tra i belligeranti, interessati a cogliere gli interessi reciproci e schivare i ricatti. Noi ci saremmo aspettati una convergenza umile sulla responsabilità verso il Paese e non un ‘piegarsi’ per evitare il peggio…

In ogni caso il punto di spaccatura emergerà inevitabilmente sulle risposte dei grillini e non sui giudizi sul loro leader. Ne abbiamo un primo esempio a Bologna, dove il Movimento 5 stelle a Bologna non ha attirato certo le simpatie dei cattolici indicendo un referendum che, se vinto dai grillini, interromperà il sostegno alle scuole cattoliche, che saranno costrette a chiudere. A questo tentativo si sono opposti congiuntamente PD e PDL: è l’esempio di come la libertà di educazione può essere considerata secondaria rispetto ad altre esigenze come quella del risparmio o di una male intesa concezione della laicità dello stato.

La storia ci dovrebbe insegnare che il malcontento crea un’unità provvisoria, apparentemente neutrale ma in realtà guidata da scelte ideologiche. Sullo sfondo c’è sempre l’aspetto più importante, ma totalmente ignorato dalla politica, di come costruire una società e su quali valori, di come restituire speranza e dignità alla vita umana (che non è solamente l’esaurimento di tutti i bisogni).

E’ inevitabile che si trovi una soluzione, e non perché ‘ la crisi lo comanda’ ma perché le istituzioni democratiche italiane sono solide. La loro forza proviene dalle radici: i padri costituzionali che avevano vissuto le atrocità della guerra, i monaci benedettini che hanno ricostruito l’Italia e l’Europa avevano il senso del Mistero, la difesa dell’uomo, la famiglia, il valore del lavoro, della verità e della pace. Lo ha detto forte in Germania il presidente Napolitano: "L'Italia non è senza governo in questo momento, non è allo sbando. C'è un governo che rimane in carica fino al giuramento del nuovo esecutivo”. Solo gli pseudo-esperti ospiti nei talk-show televisivi sembrano non saperlo: prima del 15 di marzo (data in cui gli eletti della nuova legislatura si riuniranno in Parlamento), la domanda “cosa vuole fare Beppe Grillo?” rimarrà insoddisfatta. Anche i mercati non danno più peso al folklore e all’isterismo: lo spread è sceso a quasi a 300 punti e la borsa sta tornando ai livelli pre-elettorali.

Se guardiamo senza pregiudizi, è impossibile non accorgersi che indipendentemente da ciò che saprà fare questo ‘terzo polo’, il fatto stesso che ci sia sta provocando un dibattito interno nei partiti tradizionali che sarà uno stimolo propulsivo verso le riforme che il Paese attende. In un periodo in cui gli uomini possono cadere improvvisamente nell’indigenza e in cui solo le banche non possono fallire, sarà il caso di chiederci che cambiamento vogliamo e su cosa fondare tale cambiamento. Per questo sarà il caso di ricordarci che l’origine della crisi attuale non è stata una carestia, una guerra o una pandemia: è solo la conseguenza di una violenza mestatrice che si è accanita sull’umano sottomesso alle logiche di mercato e dalla ricerca facile e infinita del profitto. L’incompiuta unità politica e monetaria è da ricercare in queste ragioni, piuttosto che nella ricerca della parità di bilancio, nel ‘Fiscal compact’ o nel Mes.

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