martedì, febbraio 05, 2013
Quaresima è il tempo opportuno per una lettura del nostro cammino di emigranti italiani all’estero e in patria, per trovarne il senso, coglierne lo spessore, ritrovarne la meta. Testimonianze.

di Renato Zilio

“Padre, ma sapesse cosa ho visto in Italia!” mi fa Giovanna. Il racconto dei nostri emigrati italiani all’estero è sempre interessante da ascoltare. Hanno occhi diversi per guardare. Hanno acquisito una sensibilità europea, francese, inglese o altro. Hanno la loro casa, la loro famiglia all’estero, dove vivono in un’invidiabile normalità. Sì, eroi di due mondi. L’emigrazione è sempre stata una battaglia dura, non lascia scampo. Ma arricchisce in umanità. Favorisce il confronto.

I mali cronici della nostra terra li tormenta. Li avvertono a fior di pelle. Sono i migranti i profeti di oggi, senza saperlo. Un profeta sente dentro una forza irresistibile che lo sprona ad alzare la voce, in nome della giustizia, del rispetto della persona, del rispetto dell’altro... per denunciare ogni tipo di oppressione. Così Giovanna ti racconta piccoli episodi vissuti o ingiustizie ingerite come pillole quotidiane dalla nostra gente. E finisce, come tanti emigranti qui, con un interrogativo lanciato in aria: ”Ma come si fa a vivere così?!”.

Il profeta guarda il mondo con gli occhi di Dio. Come dovrebbe essere, nella sua idealità. Ha un’accentuata sensibilità ideale. Ma altrettanta amarezza, quando vede il suo popolo imboccare strade illusorie di salvezza. Cammini di morte. Rapporti ingiusti, non sani. E loro, i nostri emigranti, ti raccontano di situazioni di dominio, di arroganza o di compiacenza, veduti o vissuti in patria. Spesso da realtà, che sono per vocazione... a vostro servizio.

Nella loro avventura emigratoria hanno percorso strade di solitudine, di incomprensione. Di purificazione. Come qualsiasi profeta. Non appartengono a nessun sistema, o meglio li hanno incorporati tutti. Vivono alla frontiera. Hanno dovuto educarsi ad una apertura umana e sociale senza pari. E sono una coscienza critica maturata lentamente, vivendo sulla loro pelle il confronto di valori, di storie e di società differenti. Ma sono diventati, allo stesso tempo, grandi “apprezzatori.” Sanno cogliere il bene anche nell’orto del vicino. Nel terreno, a poco a poco conosciuto, di un altro mondo.

Nonostante tutto, il loro è un cammino di speranza. Come per ogni profeta. Sanno anticipare i tempi in cui uomini e culture differenti si ritroveranno sulla montagna di Dio per vivere insieme, come racconta Isaia. È la speranza grandiosa dell’ultimo giorno della storia. Sono uomini di visione, ma nell’agire concreto dell’oggi. Già ora, infatti, stanno scrivendo - alla loro maniera semplice e anonima - quella grande pagina della storia dell’uomo e di Dio. Così, quando Antonio mi apre la sua agenda escono fuori nomi in inglese, in portoghese, in polacco... la gente che incontra. Come qui ogni emigrante.

Attestano e denunciano: le due grandi dinamiche di un profeta. E si domandano con assillo: “Ma chi alza la voce in Italia contro i mali che imperversano e corrodono l’anima stessa del nostro popolo? I nostri giovani non hanno la voce per gridare contro l’ingiustizia che riserva loro il presente e il futuro?!”. Non sanno indignarsi. Manca loro questa grande forza interiore. Mentre il nostro mondo di valori dolcemente sprofonda: addio solidarietà, accoglienza dell’altro, attenzione al più debole, condivisione, rispetto delle minoranze...

E vorrebbero dire: “Alzatevi. Gridate. Mettetevi all’opera. Voltate pagina. In questi anni i nostri valori più veri sono stati sotterrati. La miseria dell’oggi è il frutto naturale di anni di cammino. Di guide accecate dal denaro. Di uomini senza passione se non per se stessi. Ora è tempo di profeti!”.

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