mercoledì, febbraio 20, 2013
Muhamad si salvò perché recitò la Shahada, la professione di fede islamica, e promise di studiare il Corano.  

Misna - Il reato contestatogli era di esercizio di pratiche magiche e la Corte islamica di Timbuctù incaricata del giudizio fu clemente comminando soltanto tre giorni di carcere “perché fosse da esempio”. Ma nella pila di documenti ritrovati nella città del nord del Mali per nove mesi sotto controllo di Ansar al Din c’è molto di più e un reportage pubblicato da Foreign Policy getta una luce sugli sforzi compiuti nell’ultimo anno dai ribelli per l’applicazione della legge islamica.

Nel locale adibito a tribunale (un albergo requisito alla causa del gruppo ribelle) i giudici e i loro assistenti annotavano tutto. Le tre sezioni in cui era stato suddiviso il tribunale in questi mesi hanno lavorato a pieno ritmo occupandosi di casi più o meno tradizionali (omicidi, furti, morale pubblica), di casi finanziari e di casi sociali (matrimoni e divorzi).

I documenti sono uno spaccato del funzionamento dell’Emirato di Timbuctù, come era stata ridefinita la città e il suo territorio, e del sistema legale messo su dagli islamisti. Questi ultimi, sulla base del reportage di Foreign Policy, erano molto attenti non soltanto ai comportamenti della popolazione ma anche a quelli dei loro combattenti a cui raccomandavano di non eccedere nell’uso della forza. Anzi, tra i vari divieti alcuni erano pensati proprio per difendere la popolazione da eventuali abusi: un memorandum in 14 punti stabiliva per esempio che le case dei cittadini non potevano essere perquisite se non dietro esplicito permesso dell’emiro di Timbuctù, che le punizioni potevano essere commesse soltanto nei locali della polizia, e che la polizia non poteva controllare i contenuti dei telefonini se non per giusta causa.

La pena più “popolare” tra i giudici era quella delle frustate: così, 40 frustate a Ibrahim bin al Hussein per aver venduto alcolici; 100 frustate e un anno di galera al combattente Abu Bakr Burkina perché sfruttando la sua posizione e le minacce aveva violentato una giovane donna (scagionata); 60 frustate a Assia bint Omar perché era suo costume mescolarsi tra gli uomini e usare un linguaggio scurrile.

In questo sistema legale pensato per un’applicazione severa della legge islamica, conclude Foreign Policy, le donne “venivano considerate cittadini di serie B”. Un fatto che risulta evidente dalla lettura degli atti relativi a divorzi: in tutti i casi in cui era la donna a chiedere il divorzio, i giudici erano più propensi a dare ragione all’uomo. Per Fatima bint Abdu, sposa minorenne del violento Ahmad bin Mido, ciò ha significato vedere respinta la sua richiesta di divorzio. I giudici hanno però deciso di difendere il diritto di Fatima a una vita serena in questo modo: la ragazza avrebbe vissuto per qualche tempo a casa dei suoi genitori e lì suo marito si sarebbe recato di volta in volta per far valere i suoi diritti coniugali e ricostruire intanto i ponti della riconciliazione familiare.


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