domenica, febbraio 10, 2013
L'assassinio del leader dell'opposizione, Chokri Belaid, ha scosso la popolazione, che ha partecipato in massa ai funerali. La testimonianza del consigliere per la cooperazione internazionale del governatore della Regione Toscana, presente in Tunisia nei giorni dell'omicidio

Città Nuova - Sono stato a Tunisi dal 4 al 6 febbraio. Ero stato invitato ad un convegno della società civile algerina sul decentramento promosso da una rete di organizzazioni non governative (ong) canadesi, il Forum des federations, sotto l’egida del governo tunisino e del governo canadese. Era stata l'ambasciata italiana a segnalarmi l'incontro e la sua importanza. Il 5 febbraio dopo i saluti di rito, in particolare quello dell’ambasciatore canadese, i lavori sono stati aperti da una lunga e impegnata relazione di Jameleddine Garbi, ministro dello sviluppo regionale. Un giovane ministro che sembra aver fatto del decentramento una bandiera del rinnovamento istituzionale del suo Paese, che ha parlato dell’attività della sottocommissione dell’assemblea costituente e ha indicato i temi importanti che dovranno essere affrontati per trovare una soluzione nella stessa costituzione.

La relazione del ministro è stata molto discussa dai partecipanti al seminario, che provenivano da tutte le regioni della Tunisia, sia da quelle sul mare che da quelle dell’interno del Paese. Come noto, queste ultime si trovano in una condizione di grande povertà e abbandono.

Mi ha colpito nella discussione un piccolo dettaglio. Ero l’unico non tunisino presente, quasi che l’occidente e la comunità internazionale non si interessassero più alla Tunisia, come se la Tunisia fosse un problema risolto o in via di soluzione. Il buon esempio, in confronto al dramma egiziano, alla tragedia siriana e alla catastrofe libica.

Era anche interessante ascoltare gli interventi, che mostravano il volto di una Tunisia orgogliosa del suo processo costituente e della possibilità di uscire, da sola, dalla crisi. In fondo era più utile discutere tra di loro che confrontarsi con i paesi della riva Nord del Mediterraneo...

Esprimevano posizioni anche ingenue di contrapposizione: il decentramento risolve tutto, la centralizzazione dello Stato tutto soffoca. In realtà uno Stato che valorizza il decentramento davvero è uno stato forte e autorevole, che non frantuma, ma unisce. Ho presentato loro quello che mi era accaduto visitando l’ospedale regionale di Kassirine, dove c’è un solo medico rianimatore, che ha ottanta anni ed è russo...

È evidente che un ospedale regionale non può vivere senza medici e lo Stato deve avere l’autorevolezza di una politica che garantisca la presenza di medici appena laureati per un anno come forma di servizio civile medicale. Una regione può svilupparsi se è sostenuta dalla politica dello stato centrale.

La sera, a cena, abbiamo mangiato insieme. E mi è capitato di chiedere alla signora che mi stava accanto se i politici avessero la scorta in Tunisia. Lei mi ha risposto che solo il presidente della Repubblica e il primo ministro avevano la scorta. Gli altri no. Mai avrei potuto immaginare quello che sarebbe accaduto la mattina dopo. Il 6 febbraio entro in sala convegni e noto subito grande eccitazione e disperazione. È appena arrivata la notizia dell’uccisione di Chokri Belaid, uno dei grandi leader dell’opposizione, che avevo visto in televisione la sera prima.

Mi è apparso subito chiaro che quanto è avvenuto è gravissimo e c’è una responsabilità della comunità internazionale, che ha spento i riflettori sulla Tunisia, presa da altre emergenze anche in Africa. La Tunisia può continuare ad essere un laboratorio, se sarà accompagnata e sostenuta dall’Europa e dal mondo. Il rischio è quello di un tragico ritorno all’indietro.

Certo il popolo tunisino dovrà fare le sue scelte coraggiose verso la democrazia, con lungimiranza e pazienza, ma la comunità internazionale e l’Italia dovranno essere là, per dare un sostegno ad un cammino difficilissimo, che ha il suo punto fondativo nella costituzione.

La fine della democrazia tunisina farebbe tornare indietro tutto il nuovo processo di rapporti tra islam e democrazia. Nella piccola Tunisia avviene qualcosa che davvero può cambiare il futuro del mondo. Un assassinio, pur terribile, non può fermare un grande movimento democratico e popolare. E anche l’Italia ci dovrà essere a sostenerlo.

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

I fatti che si sono verificati sono evidentemente gravissimi,che non possono non essere condannati,ma se guardiamo ai Paesi dove si sono verificati fatti rivoluzionari con rovesciamenti di regimi dittatoriali,Egitto,Libia ecc...,dovremmo dedurre che forse proprio perché si sono lasciati fare, i tunisini fino ad ora hanno pagato,per la libertà e la democrazia un prezzo tutto sommato meno alto meno che gli altri paesi che hanno partecipato alla "primavera araba".

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