sabato, febbraio 16, 2013
Uno scambio con un pastore anglicano sul tema dell’autorità dopo il gesto di Benedetto XVI

di Renato Zilio

“Sì, un passo verso l’unità!” mi fa sicuro. Marc, pastore protestante, nostro vicino, mi parla del gesto del Papa di dimettersi. Per lui è un piccolo, significativo step verso l’unità dei cristiani. Un segno di Dio. Senza accorgersi, è il passare da una concezione dell’autorità coltivata da secoli ad un’altra, dalla figura in filigrana di una monarchia a quella, invece, di un servizio, seguendo la parabola delle proprie forze e le parole stesse di Benedetto XVI:“ È per il bene della Chiesa!”. “Essenziale, prezioso è il ministero della comunione e dell’unità che ha un Papa” commenta un vecchio professore di teologia, aggiungendo: “Ma è proprio necessario che sia la stessa persona fino alla sua morte come per un re?”.

Si fatica, forse, a comprendere l’originalità del gesto. Il cambio storico. L’ammirevole resistenza ad una prassi del peso di secoli. Una piccola rivoluzione copernicana nel mondo cattolico. “Vedi, da noi i vescovi e il primate lasciano la loro carica a 70 anni. Se lo vogliono anche prima, ma senz’altro non vanno oltre i settanta!” mi fa il mio interlocutore anglicano, con aria assorta. Forse, sta contando gli anni che impegnerà prossimamente il neo-primate, segno dell’unità spirituale delle comunità anglicane nel mondo intero. Si è avuta infatti da poco la successione di Rowan Williams con Justin Welby, un altro tipo di carisma.

Sì, il servizio è l’anima della Chiesa. Anzi, di ogni discepolo. Il discepolo autentico, infatti, si distingue per questo preciso atteggiamento: mettersi il grembiule, servire il mondo, mostrare un amore disinteressato. Come il suo Maestro. Colui che è venuto a servire, non ad essere servito. Lo ritroviamo questo gesto nel cuore della Settimana Santa, a tavola, come un sipario calato sull’ultimo incontro del Maestro con tutti i suoi discepoli. Quasi il fotogramma di un film, fissato per sempre. Una vera icona di Dio. E dell’umiltà del suo inviato. Lavare i piedi ai discepoli resta, forse, l’immagine più grande, suggestiva di Papa Benedetto. Più di ogni altro, infatti, si mostrava preoccupato di lavare la “sporcizia” della sua Chiesa, come diceva lui stesso, lavarne i piedi.

Questo atteggiamento di servizio al mondo si chiamava passione per la pace per Giovanni XXIII, in una realtà mondiale carica di tensioni e pronta alla guerra. Di fronte alle stesse contestazioni dei suoi cardinali, preoccupati invece del bene esclusivo della Chiesa. Autoreferenziali. Il vero discepolo è colui che serve il mondo con disinteresse totale. È questa per tutti una cartina di tornasole. Molti cristiani con cariche di responsabilità forse arrossiranno, mostrando invece un animus affaristico, interessato, squisitamente pagano. Quasi usurpatori del nome di “cristiano”, colui che imitando la compassione del Maestro lava i piedi al mondo, agli altri, nella piena gratuità.

Il disinteresse sa emergere anche dal limite del proprio incarico. Tutti ricordano qui un nostro missionario che volle restare per tantissimi anni alla leadership della sua comunità, quasi fino alle sue ultime forze. Non vi era modo di lasciare l’incarico a qualcuno, a uno più giovane, per preparare così l’avvenire della sua stessa comunità. Senza accorgersene, non era più lui a portare il suo popolo, ma l’inverso. Un giorno, durante la messa cadde improvvisamente: fu il momento della decisione. Serenamente passava, poi, i suoi giorni tra preghiera e ricordi, in un apostolato di cui scopriva la bellezza e la fecondità! E ciò ricorda la saggezza orientale, quando il vecchio resta ormai seduto immobile alla soglia della sua porta, per osservare la vita che scorre davanti a lui... Sì, un altro modo di vivere, contemplando.

Così, parlando di questo, il nostro pastore riprende il suo discorso con un grande cenno delle mani. Disegna un cerchio nell’aria: “Le nostre Chiese dovranno sviluppare maggiormente la circolarità di rapporti. Non tanto una struttura piramidale, in cui uno comanda l’altro!”. E ciò fa riandare, in fondo, alle parole benedette di quel monaco del deserto: “Dovrai sentire gli altri come posti attorno, in cerchio con te, come quando vi disponete intorno a un fuoco. Solo in questo modo ricorderai che esiste in mezzo a voi, invisibile, un centro ed è Colui da cui provengono la vita, la forza e l’amore. Infatti, la figura del cerchio a differenza di un quadrato o di una piramide rinvia necessariamente ad un centro che lo genera. Allora, disponendovi così fra di voi, l’uno non sarà mai più importante dell’altro, sarete interdipendenti in un mondo in cui ognuno si sentirà legato all’altro. La forza di ognuno sosterrà tutti gli altri e se tu avrai più forza o più potere sarai ancora più fraterno, sostenendo gli altri con maggiore vigore. Il Maestro, così, rimarrà sempre al centro, invisibile, in mezzo ai suoi discepoli, anche fossero due o tre riuniti insieme... In fondo, mettersi in cerchio fraternamente è farLo rivivere ancora!”.

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