Il disegno criminale, se portato a termine, avrebbe potuto procurare una strage
Liberainformazione - E’ allarme rosso nel Salento. Un’ inchiesta della Dda ha consentito di sventare il piano di evasione del giovane boss della Sacra Corona Unita, Raffaele Martena, 26 anni, di San Pietro Vernotico (Br), ritenuto vicino al clan Buccarella. Un disegno criminale di un certo spessore che dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, come sul territorio la Scu sia molto attiva e minacciosa. Per organizzare la fuga, il boss e i suoi complici avevano escogitato un misterioso sistema di comunicazione. Lettere cifrate, non un linguaggio sibillino e allusivo, ma testi scritti con un codice segreto, che solo una chiave di lettura avrebbe potuto decifrare. Chiave di lettura trovata dagli investigatori nella cella del Martena e in casa della moglie. Il codice per decifrare le lettere, riportato su un foglio di carta, era occultato fra gli effetti personali del detenuto. Nel corso delle perquisizioni, insieme alla chiave di lettura, sono state sequestrate anche quattro lettere (tre in carcere e una nell’ abitazione della donna), che hanno consentito di scoprire il progetto di evasione. Le missive, come puntualizza il Procuratore Cataldo Motta, hanno confermato quanto era già emerso da alcune intercettazioni telefoniche: “Tutto ha avuto inizio da un’ attività di intercettazione. Così abbiamo scoperto il progetto di evasione. Il quadro si è delineato con il sequestro delle lettere scritte in codice e la scoperta della chiave di lettura. E’ la prima volta che accade nel carcere di Lecce”.
Dal contenuto delle lettere e dall’ ascolto delle intercettazioni, sono emersi particolari agghiaccianti. Se portata a termine, infatti, sarebbe stata un’ evasione clamorosa, spettacolare e soprattutto feroce. Il progetto criminale prevedeva che Martena avrebbe dovuto simulare un malore. Così avrebbe potuto ottenere il ricovero presso l’ ospedale “Vito Fazzi” di Lecce. E proprio lungo il tragitto che collega il carcere di Borgo San Nicola al nosocomio leccese si sarebbe dovuto scatenare l’ inferno. Non sulla tangenziale in quanto troppo trafficata, ma più verosimilmente all’ altezza dello svincolo. Un assalto armato all’ ambulanza e agli agenti di scorta della polizia penitenziaria per poter liberare il detenuto. Molto probabilmente sarebbe stata una strage. “La vicenda – prosegue Motta – conferma che c’ è stata una sottovalutazione del calibro di Raffaele Martena. E’ un soggetto ben visto sia dai leccesi e sia dai brindisini. E questo gli avrebbe permesso di occupare un posto di rilievo. Ma è solo un’ ipotesi”.
Ma l’ ipotesi che si fa largo nelle ultime ore è proprio quella di un Martena boss, riconosciuto tanto in provincia di Lecce quanto in quella di Brindisi, in grado di garantire compattezza e unità sul territorio alla Scu. Ipotesi ancor più rafforzata da due fatti importanti. Al clan del giovane boss, infatti, pare sia collegato il geometra brindisino incensurato, arrestato in Albania con un arsenale da guerra: bombe a mano e fucili mitragliatori che, probabilmente, sarebbero serviti per l’ agguato. Inoltre, e questo è il secondo episodio che rafforza l’ ipotesi avanzata dall’ alto magistrato, è il ritrovamento, nelle campagne tra Squinzano (Le) e Trepuzzi (Le), di un casolare in cui Martena si sarebbe dovuto nascondere appena fuggito. Un posto non lontano dallo svincolo della tangenziale Ovest che conduce all’ ospedale “Vito Fazzi”. In questa piccola casa di campagna, arredata e riscaldata alla meno peggio, il boss, secondo i piani, doveva aspettare che si calmassero un po’ le acque. Le indagini stanno valutando anche la possibilità di eventuali sostegni e aiuti da parte di esponenti della criminalità di Squinzano. Il Martena, adesso, è stato trasferito nell’ istituto penitenziario di Viterbo, dove si trova in regime di isolamento. Niente televisione, niente giornali, niente acquisti di alcun tipo: l’ unica concessione, una piccola radio.
Liberainformazione - E’ allarme rosso nel Salento. Un’ inchiesta della Dda ha consentito di sventare il piano di evasione del giovane boss della Sacra Corona Unita, Raffaele Martena, 26 anni, di San Pietro Vernotico (Br), ritenuto vicino al clan Buccarella. Un disegno criminale di un certo spessore che dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, come sul territorio la Scu sia molto attiva e minacciosa. Per organizzare la fuga, il boss e i suoi complici avevano escogitato un misterioso sistema di comunicazione. Lettere cifrate, non un linguaggio sibillino e allusivo, ma testi scritti con un codice segreto, che solo una chiave di lettura avrebbe potuto decifrare. Chiave di lettura trovata dagli investigatori nella cella del Martena e in casa della moglie. Il codice per decifrare le lettere, riportato su un foglio di carta, era occultato fra gli effetti personali del detenuto. Nel corso delle perquisizioni, insieme alla chiave di lettura, sono state sequestrate anche quattro lettere (tre in carcere e una nell’ abitazione della donna), che hanno consentito di scoprire il progetto di evasione. Le missive, come puntualizza il Procuratore Cataldo Motta, hanno confermato quanto era già emerso da alcune intercettazioni telefoniche: “Tutto ha avuto inizio da un’ attività di intercettazione. Così abbiamo scoperto il progetto di evasione. Il quadro si è delineato con il sequestro delle lettere scritte in codice e la scoperta della chiave di lettura. E’ la prima volta che accade nel carcere di Lecce”.
Dal contenuto delle lettere e dall’ ascolto delle intercettazioni, sono emersi particolari agghiaccianti. Se portata a termine, infatti, sarebbe stata un’ evasione clamorosa, spettacolare e soprattutto feroce. Il progetto criminale prevedeva che Martena avrebbe dovuto simulare un malore. Così avrebbe potuto ottenere il ricovero presso l’ ospedale “Vito Fazzi” di Lecce. E proprio lungo il tragitto che collega il carcere di Borgo San Nicola al nosocomio leccese si sarebbe dovuto scatenare l’ inferno. Non sulla tangenziale in quanto troppo trafficata, ma più verosimilmente all’ altezza dello svincolo. Un assalto armato all’ ambulanza e agli agenti di scorta della polizia penitenziaria per poter liberare il detenuto. Molto probabilmente sarebbe stata una strage. “La vicenda – prosegue Motta – conferma che c’ è stata una sottovalutazione del calibro di Raffaele Martena. E’ un soggetto ben visto sia dai leccesi e sia dai brindisini. E questo gli avrebbe permesso di occupare un posto di rilievo. Ma è solo un’ ipotesi”.
Ma l’ ipotesi che si fa largo nelle ultime ore è proprio quella di un Martena boss, riconosciuto tanto in provincia di Lecce quanto in quella di Brindisi, in grado di garantire compattezza e unità sul territorio alla Scu. Ipotesi ancor più rafforzata da due fatti importanti. Al clan del giovane boss, infatti, pare sia collegato il geometra brindisino incensurato, arrestato in Albania con un arsenale da guerra: bombe a mano e fucili mitragliatori che, probabilmente, sarebbero serviti per l’ agguato. Inoltre, e questo è il secondo episodio che rafforza l’ ipotesi avanzata dall’ alto magistrato, è il ritrovamento, nelle campagne tra Squinzano (Le) e Trepuzzi (Le), di un casolare in cui Martena si sarebbe dovuto nascondere appena fuggito. Un posto non lontano dallo svincolo della tangenziale Ovest che conduce all’ ospedale “Vito Fazzi”. In questa piccola casa di campagna, arredata e riscaldata alla meno peggio, il boss, secondo i piani, doveva aspettare che si calmassero un po’ le acque. Le indagini stanno valutando anche la possibilità di eventuali sostegni e aiuti da parte di esponenti della criminalità di Squinzano. Il Martena, adesso, è stato trasferito nell’ istituto penitenziario di Viterbo, dove si trova in regime di isolamento. Niente televisione, niente giornali, niente acquisti di alcun tipo: l’ unica concessione, una piccola radio.
di Antonio Nicola Pezzuto
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