La Corte europea dei diritti dell'uomo condanna il nostro Paese a risarcire sette detenuti per le condizioni disumane delle celle. Nei 206 istituti penitenziari del Paese i posti sono 46 mila e ci sono oltre 20 mila detenuti in eccesso.
Città Nuova - Il presidente Napolitano è "mortificato", il ministro Severino è "profondamente avvilita", ma nessuno, a cominciare dai membri del governo dimissionario, è stupito della nuova condanna inflitta all'Italia dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
Viste le condizioni degradanti in cui si vive nelle carceri italiane, sovraffollate e fatiscenti, il nostro Paese ha violato l'articolo tre della Convenzione dei diritti dell'uomo, per il quale "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". Quindi, oltre ad essere condannata (per la seconda volta) al pagamento di un risarcimento, per un totale di centomila euro, l'Italia ha ora un anno di tempo per rivedere la propria impostazione carceraria e restituire un minimo di dignità a chi, in carcere, oltre a scontare la pena per i reati commessi, deve adattarsi ad una difficile coabitazione con altri carcerati in spazi limitati e angusti.
A chiedere un intervento della Corte europea di Strasburgo sono stati sette carcerati detenuti nelle carceri di Busto Arsizio (dove a settembre 2011 è stato registrato un indice di sovraffollamento superiore al 250 per cento, con 423 detenuti rispetto ai 167 posti previsti) e di Piacenza. Negli ultimi mesi, tuttavia, sono stati in molti a sottolineare la necessità di provvedimenti urgenti, a partire dal presidente della Repubblica, che ha parlato dei disagi dei carcerati anche nel suo discorso di fine anno. Alla notizia di questo «nuovo grave richiamo per l'Italia», Napolitano ha commentato che è «una mortificante conferma della incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena».
Ne sono ben consapevoli i membri dell'associazione Antigone, che monitora e visita periodicamente le varie prigioni italiane e stila, ogni anno, un rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Un elenco demoralizzante di ingiustizie e di mancanze alle quali, da troppo tempo, non si pone rimedio.
I numeri del disagio sono sintetizzati nell'VIII rapporto stilato dall'associazione: nei 206 istituti penitenziari del Paese rispetto ad una capienza di poco meno di 46 mila posti, ci sono oltre 20 mila detenuti in eccesso. Quasi 25 mila sono stranieri, poco meno di 15 mila carcerati sono in attesa di primo giudizio. In ambienti fatiscenti, spesso malsani, vivono anche una cinquantina di madri con altrettanti bambini: nati e cresciuti dietro le sbarre senza avere nessuna colpa, se non quella di voler restare con le loro mamme.
Non mancano atti di autolesionismo, gravi forme depressive, suicidi (un caso ogni mille, mentre il dato "normale" è di uno ogni 20 mila persone) e morti strane, nonché pestaggi e violenze ai danni dei carcerati, sia da parte degli altri detenuti che da parte di alcune guardie carcerarie.
Cosa fare per rendere più umane le carceri italiane? Una risposta ha provato a darla anche Giuliano Pisapia, oggi sindaco di Milano, ma già presidente, alla Camera, del Comitato carceri, che nella prefazione dell'VIII Rapporto di Antigone scrive: «Le analisi sulla popolazione detenuta non lasciano scampo nella conferma di quella oramai celebre definizione di carcere come discarica sociale, al quale è con tutta evidenza tragicamente delegato il compito di affrontare tensioni e problematiche in tempi di crisi, o smantellamento, del welfare. La strada è quella della decarcerizzazione che stava alla base della riforma del codice penale elaborata dalla commissione ministeriale che ho avuto l’onore di presiedere. Un progetto che risale al 2008 e che, purtroppo, giace impolverato in qualche cassetto del Ministero della Giustizia… Sono convinto che sia maturo il tempo di scelte tanto coraggiose quanto necessarie: penso a un’ampia depenalizzazione sulla base della proposta elaborata proprio dalla commissione presieduta prima da Carlo Nordio e quindi dal sottoscritto».
L'obiettivo sarebbe di eliminare il carcere per quei reati che possono prevedere condanne solo amministrative, ricorrere ogni volta che è possibile a misure alternative e prevedere una riforma complessiva del codice penale.
Sara Fornaro
Città Nuova - Il presidente Napolitano è "mortificato", il ministro Severino è "profondamente avvilita", ma nessuno, a cominciare dai membri del governo dimissionario, è stupito della nuova condanna inflitta all'Italia dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
Viste le condizioni degradanti in cui si vive nelle carceri italiane, sovraffollate e fatiscenti, il nostro Paese ha violato l'articolo tre della Convenzione dei diritti dell'uomo, per il quale "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". Quindi, oltre ad essere condannata (per la seconda volta) al pagamento di un risarcimento, per un totale di centomila euro, l'Italia ha ora un anno di tempo per rivedere la propria impostazione carceraria e restituire un minimo di dignità a chi, in carcere, oltre a scontare la pena per i reati commessi, deve adattarsi ad una difficile coabitazione con altri carcerati in spazi limitati e angusti.A chiedere un intervento della Corte europea di Strasburgo sono stati sette carcerati detenuti nelle carceri di Busto Arsizio (dove a settembre 2011 è stato registrato un indice di sovraffollamento superiore al 250 per cento, con 423 detenuti rispetto ai 167 posti previsti) e di Piacenza. Negli ultimi mesi, tuttavia, sono stati in molti a sottolineare la necessità di provvedimenti urgenti, a partire dal presidente della Repubblica, che ha parlato dei disagi dei carcerati anche nel suo discorso di fine anno. Alla notizia di questo «nuovo grave richiamo per l'Italia», Napolitano ha commentato che è «una mortificante conferma della incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena».
Ne sono ben consapevoli i membri dell'associazione Antigone, che monitora e visita periodicamente le varie prigioni italiane e stila, ogni anno, un rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Un elenco demoralizzante di ingiustizie e di mancanze alle quali, da troppo tempo, non si pone rimedio.
I numeri del disagio sono sintetizzati nell'VIII rapporto stilato dall'associazione: nei 206 istituti penitenziari del Paese rispetto ad una capienza di poco meno di 46 mila posti, ci sono oltre 20 mila detenuti in eccesso. Quasi 25 mila sono stranieri, poco meno di 15 mila carcerati sono in attesa di primo giudizio. In ambienti fatiscenti, spesso malsani, vivono anche una cinquantina di madri con altrettanti bambini: nati e cresciuti dietro le sbarre senza avere nessuna colpa, se non quella di voler restare con le loro mamme.
Non mancano atti di autolesionismo, gravi forme depressive, suicidi (un caso ogni mille, mentre il dato "normale" è di uno ogni 20 mila persone) e morti strane, nonché pestaggi e violenze ai danni dei carcerati, sia da parte degli altri detenuti che da parte di alcune guardie carcerarie.
Cosa fare per rendere più umane le carceri italiane? Una risposta ha provato a darla anche Giuliano Pisapia, oggi sindaco di Milano, ma già presidente, alla Camera, del Comitato carceri, che nella prefazione dell'VIII Rapporto di Antigone scrive: «Le analisi sulla popolazione detenuta non lasciano scampo nella conferma di quella oramai celebre definizione di carcere come discarica sociale, al quale è con tutta evidenza tragicamente delegato il compito di affrontare tensioni e problematiche in tempi di crisi, o smantellamento, del welfare. La strada è quella della decarcerizzazione che stava alla base della riforma del codice penale elaborata dalla commissione ministeriale che ho avuto l’onore di presiedere. Un progetto che risale al 2008 e che, purtroppo, giace impolverato in qualche cassetto del Ministero della Giustizia… Sono convinto che sia maturo il tempo di scelte tanto coraggiose quanto necessarie: penso a un’ampia depenalizzazione sulla base della proposta elaborata proprio dalla commissione presieduta prima da Carlo Nordio e quindi dal sottoscritto».
L'obiettivo sarebbe di eliminare il carcere per quei reati che possono prevedere condanne solo amministrative, ricorrere ogni volta che è possibile a misure alternative e prevedere una riforma complessiva del codice penale.
Sara Fornaro
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