lunedì, dicembre 10, 2012
Secondo il luminare della medicina, il carcere a vita è una pena anti-costituzionale e anti-scientifica che nega al condannato il diritto alla speranza

di Paola Bisconti

Il 16 e il 17 novembre si è svolta a Milano la quarta Conferenza mondiale di “Science for Peace”, un comitato scientifico per la pace fondato nel 2009 dal professore Umberto Veronesi, che durante l’incontro milanese ha presentato la campagna contro la condanna alla vita. Il “Manifesto contro l’ergastolo” afferma che tale pena nasce da un bisogno istintivo di vendetta, non si può ritenere una soluzione per la sicurezza del Paese e di certo non favorisce alcun tipo di miglioramento nei rapporti umani. L’opinione di Veronesi è sostenuta da un esperimento scientifico che dimostra come le cellule staminali del nostro cervello possono colmare il vuoto lasciato dalle cellule cerebrali che con il tempo scompaiono: nel corso degli anni quindi il cervello umano si rinnova, evolve, cambia, ma può migliorare solo se il soggetto ha la possibilità di intraprendere una rinascita personale.

“Science for Peace” ha dimostrato attraverso studi rigorosi che dopo 10-20 anni è possibile liberare anche l’omicida più “indiavolato”. L’ergastolo invece non lascia intravedere spiragli di speranza a uomini che una volta commesso il reato comprendono la gravità del gesto, si pentono e cercano di riacquistare un ruolo nella società. La pena si rivela, quindi, un’agonia lenta e spietata, una tortura che conduce alla morte dell’anima, è dolorosa e disumana, è una pena di morte camuffata, è una resa dello Stato, è una punizione dettata da una forma di giustizia che punisce senza comprendere le cause profonde di un crimine.

In Italia ci sono 1540 ergastolani, la gran parte dei quali preferisce morire perché ritiene la legge un abuso di giustizia; anche Veronesi considera “il fine pena mai” in contraddizione con l’articolo 27 della Costituzione che dice che “le pene devono essere tese alla rieducazione del condannato”. Guardando la situazione attuale dei penitenziari in Italia, con il sovraffollamento che crea disordini all’interno delle strutture, e osservando i dati che dimostrano un aumento di suicidi fra gli internati, si dovrebbe riflettere sull’efficienza di una pena così drastica.

Il caso di Carmelo Musumeci, un ergastolano accusato di crimini mafiosi che sta scontando la sua pena nel carcere di Padova, da dove è rinchiuso dal 1991, è esemplare: Musumeci infatti è entrato nel penitenziario con il titolo di studio di licenza elementare e con il tempo è riuscito a laurearsi in Giurisprudenza e ha scritto libri di narrativa come “Zanna Blu. Le avventure” (dove racconta attraverso metafore la condizione degli ergastolani, che definisce “uomini ombra”). L’ergastolano dall’interno della sua cella intrattiene una fitta corrispondenza con docenti universitari ed eccellenze del mondo scientifico, tra cui proprio Veronesi, che ha colto nella richiesta di Musumeci “Fatemi la grazia di farmi morire” la rassegnazione di un uomo che invece merita la possibilità di vivere dignitosamente.

L’appello ha raccolto più di 6000 firme, tra cui nomi illustri come quello di Margherita Hack, Erri De Luca, Susanna Tamaro, Don Luigi Ciotti, Andrea Camilleri, Ascanio Celestini, Franca Rame, Stefano Rodotà e molti altri. Inoltre i volontari dell’associazione “Papa Giovanni XXIII” collaborano attivamente alla proposta di Veronesi anche perché sia abrogato l’articolo 22 del Codice Penale, varato nei primi anni ’90 durante la guerra alla mafia, quando il giudice Falcone introdusse il combinato ergastolo-carcere duro. Anche Aldo Moro durante una lezione presso l’Università La Sapienza di Roma affermò che l’ergastolo priva il condannato di qualsiasi prospettiva o sollecitazione al pentimento ed è una pena crudele e disumana.

Il nostro Paese, secondo i sostenitori della campagna, dovrebbe emulare il modello norvegese, dove il 60% delle condanne dura 3 mesi e il 90% arriva ai 12 mesi. Finora lo Stato non ha fatto alcuna modifica al decreto per timore dell’impopolarità della proposta, ma, come dichiara lo stesso Veronesi, “la scienza non piacerà mai alla politica perché è libera e va spesso controcorrente”. È il caso però di riflettere anche sulle parole di Marco Travaglio, che in merito alla questione ha scritto sull’Espresso: “La scienza è certamente affare troppo serio per lasciarlo in mano ai politici e ai tecnici. Ma anche gli scienziati non scherzano”.

È comprensibile la titubanza da parte di gran parte della popolazione che dimostra un certo scetticismo sulla proposta, d’altronde non si può fare a meno di pensare per esempio ai boss mafiosi che malgrado il carcere duro non dimostrano alcuna forma di pentimento o intenzione di collaborare con la giustizia.

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