venerdì, dicembre 07, 2012
Il Presidente della CEI è intervenuto sull’imposizione dell’IMU alle scuole paritarie

di Patrizio Ricci

Il provvedimento legislativo che impone il pagamento dell’IMU alle scuole paritarie (ma non a quelle statali) e al settore terziario inasprisce una situazione di per sé precaria, già penalizzante per la disparità di assegnazione di risorse. Il Presidente della CEI Bagnasco, a tal riguardo, è intervenuto nel corso dell’XI Forum del Progetto Culturale, svoltosi a Roma nei giorni 30 novembre e 1 dicembre 2012 ed ha ribadito le grandi difficoltà economiche in cui navigano le scuole italiane: ha segnalato come sia urgente che lo Stato intervenga, “non tanto per gli istituti scolastici quanto per le famiglie, che hanno diritto a scegliere per i propri figli l’istruzione che ritengono più idonea”. L’intervento, ripreso ampiamente sabato da Avvenire, è stato arricchito da un servizio che illustra, in modo particolareggiato, come il caso italiano sia del tutto isolato in un’Europa che da tempo sostiene in pieno la libertà di educazione.

L’emendamento che accompagna il nuovo regolamento IMU non prevede esenzioni a meno che gli istituti cattolici “non chiedano solo una retta simbolica o che copra solo una porzione delle spese sostenute per il servizio”. Abbiamo capito bene? Per essere esonerati gli istituti scolastici privati non debbono più chiedere le rette… ma come dovrebbero finanziarsi allora? In Italia sono 9.371 le scuole cattoliche paritarie e 740mila sono gli studenti che le frequentano. Lo Stato stanzia per tali scuole 500 milioni di euro all’anno, con un risparmio netto rispetto alle scuole pubbliche di 5.974,00 € a studente. Non è quindi una questione economica: lo Stato risparmia già e abbondantemente con le scuole private. Perché allora questa tassazione?

E’ evidente che elementi così macroscopici non possono essere frutto di una distrazione, ma rivelano al fondo due diverse posizioni, dovuti a due diverse impostazioni culturali, spesso inconciliabili. Il primo punto di divisione è costituito da un’errata concezione della parola “sussidiarietà”: questo principio dovrebbe significare che lo Stato, nel soddisfare i bisogni dei cittadini, laddove la società fa meglio dovrebbe “lasciar fare”, lasciando a sé la funzione di garanzia e vigilanza. Invece per lo Stato la Chiesa e le altre realtà sociali hanno spazio solo nel campo del “volontariato”, dove esso non arriva. E’ la logica iscritta nella legge: gli istituti scolastici per non essere tassati devono svolgere attività educativa alla stregua delle iniziative caritative. Logica per fortuna non condivisa nel resto d’Europa e negli altri continenti, dove l’educazione è assicurata spesso proprio dai cristiani.

Il secondo punto ha radici storiche: è fuori di dubbio che ancor dopo l’unità nazionale, (avvenuta in aperto contrasto con la Chiesa cattolica), il neo-stato unitario temeva l’ingerenza della Chiesa, molto radicata nei cuori della gente. Per converso bisognava ‘fare gli Italiani’, secondo le nuove ideologie di ‘progresso’ della rivoluzione francese. In questo contesto, la Chiesa non rimase a rimuginare i torti subiti ma si fece partecipe nella costruzione dello Stato unitario venendo incontro al popolo ed ai suoi bisogni, in particolare per i gravi problemi dell’istruzione, allora carente, e dell’assistenza sanitaria. Figure come don Bosco, ma anche tanti sacerdoti e laici poco conosciuti, parteciparono alle istanze di rinnovamento che hanno caratterizzato quel momento ed ebbero un ruolo fondamentale alla conciliazione tra cattolicesimo e sistemi liberali che portò alla nascita di un maturo stato laico. Ciononostante, per quest’ultimo, nei decenni successivi e fino ai giorni nostri, conservare la titolarità dell’istruzione è coinciso sempre con la necessità di preservare la laicità dello stato e la neutralità dell’educazione. Perciò, nonostante gli sforzi di riconciliazione, l’educazione cattolica fu sempre mal vista e mal tollerata. E’ questa la mentalità che, per esempio, nel 2009 ha impedito al Papa di parlare all’Università ‘La Sapienza’.

Tuttavia la realtà dice esattamente il contrario: una scuola accentrata nelle mani dello Stato più facilmente può diffondere il pensiero dominante del momento e costruire consenso a forza di programmi unici ministeriali. Ne è esempio eloquente il fascismo, durante il quale la scuola statale fu un potente mezzo d’indottrinamento ideologico. Nel legiferare, bisognerebbe tener conto che la Costituzione, cui tutti facciamo riferimento, nell’art. 4 accetta le scuole private definendo chiaramente quale sia il significato della scuola pubblica che si vuol salvaguardare. Infatti, la Costituzione non dice nient’altro che ”la scuola è aperta a tutti”: l’insegnamento pubblico è semplicemente quello che ha come carattere distintivo l’essere aperto a tutti. In base alla predetta interpretazione, appare evidente che la nostra Legge fondamentale non dice che la scuola pubblica è quella che rispetta “i gusti di tutti” (in questo caso la scuola cattolica non avrebbe diritto di cittadinanza), ma che la scuola pubblica deve ‘essere aperta a tutti’: perché allora la scuola paritaria deve essere “maltrattata” dallo Stato, che non segue quindi il dettato costituzionale?

L’evoluzione della società europea, che si distingue per tolleranza e per rispetto delle minoranze, che salvaguardia i deboli e i malati, è dovuta in gran parte proprio alla Chiesa e alle radici cristiane: è necessario conservare questa ricchezza e tenerne debito conto.

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