sabato, dicembre 15, 2012
Campagna lanciata da Avvenire: difendere Asia è sostenere la libertà di coscienza di tutti

di Patrizio Ricci

Avvenire sabato 8 dicembre ha dedicato il suo editoriale alla lettera che Asia Bibi, cristiana pakistana condannata all’impiccagione per blasfemia, è riuscita a inviarci tramite il marito. La donna, madre di 5 figli, è da tre anni imprigionata in isolamento, in una cella senza finestre, in attesa del processo di appello. La sua colpa è stata solo di aver bevuto un sorso d’acqua in un pozzo mussulmano, avendo in questo modo “offeso” il Profeta Maometto. Ingiustamente incarcerata in condizione durissime, è diventata in breve il simbolo della lotta contro l’intolleranza religiosa e la persecuzione delle minoranze.

Gli uomini che si sono battuti per lei sono stati uccisi. Così vengono ricordati nella sua lettera: “Due uomini giusti sono stati assassinati per aver chiesto per me giustizia e libertà. Il loro destino mi tormenta il cuore. Salman Taseer, governatore della mia regione, il Punjab, venne assassinato il 4 gennaio 2011 da un membro della sua scorta, semplicemente perché aveva chiesto al governo che fossi rilasciata e perché si era opposto alla legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan. Due mesi dopo un ministro del governo nazionale, Shahbaz Bhatti, cristiano come me, fu ucciso per lo stesso motivo. Circondarono la sua auto e gli spararono con ferocia”.

Al giudice che l’ha minacciata “ di una morte orribile” e che gli ha proposto in cambio della libertà di rinnegare la propria fede per abbracciare l’Islam, dopo averlo ringraziato per l’offerta, ha risposto: “Sono stata condannata perché cristiana. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui”.

L’associazione spagnola HazteOir ha cercato di squarciare il silenzio assordante calato sulla vicenda e le ha assegnato un premio per “l’esemplare difesa della libertà di coscienza contro l’intolleranza e il fanatismo”. Il marito Ashik Masih sarà a Madrid il 15 di dicembre per ritirarlo insieme a Sidra, una dei 5 figli.

In base alla legge sulla blasfemia chiunque, purché mussulmano, può denunciare sedicenti offese ai sentimenti religiosi. Viene così canalizzato verso le minoranze l’odio religioso delle fazioni più estremiste, lasciate libere di agire. Basta usare un pretesto o inventarsi un’offesa per scatenare l’ira della folla e perché le minoranze, terrorizzate, siano costrette a fuggire dalle loro case. Dal 1986, data di entrata in vigore della legge, indistintamente migliaia di mussulmani e cristiani sono stati condannati. Tuttavia, Asia è l’unica ad essere stata condannata a morte: neanche agli assassini dei due uomini che la difesero sono stati giudicati meritevoli di una pena così severa.

Come uscirne? Secondo il prof. Mobeen Shahid, pakistano, docente di ‘Pensiero e religione islamica’ nella Pontificia Università Lateranense, “la cancellazione delle leggi della blasfemia in Pakistan è possibile se si rispettano la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu e la Dichiarazione del Cairo dei Diritti umani dell'islam”. Perché questo si realizzi, è necessario cambiare la mentalità della gente, puntando su un radicale cambiamento del sistema educativo.

Aspettiamo con speranza che questo avvenga, ma intanto c’è una mano tesa in cerca d’aiuto. E’ quella di una madre che desidera tornare a casa per riabbracciare la sua famiglia: “Penso alla mia famiglia, lo faccio in ogni momento. Vivo con il ricordo di mio marito e dei miei figli e chiedo a Dio misericordioso che mi permetta di tornare da loro. Amico o amica a cui scrivo, non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se accadrà, ricordati che ci sono persone nel mondo che sono perseguitate a causa della loro fede e - se puoi - prega il Signore per noi e scrivi al presidente del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari”. Rispondendo a queste parole, Avvenire propone di scrivere al presidente del Pakistan Asif Ali Zardari, perché intervenga a favore della sua liberazione: per farlo bisogna scrivere all’indirizzo e-mail asiabibi@avvenire.it, inserendo i propri dati anagrafici completi. Il quotidiano Avvenire, raccolte lettere e firme, le trasmetterà in blocco secondo gli opportuni canali diplomatici. Per compilare la mail, si può utilizzare lo schema predisposto da Avvenire, completandolo con i propri anagrafici, che riportiamo di seguito:
“Io sottoscritto (NOME COGNOME CITTA') aderisco all'appello per la liberazione di Asia Bibi. Chiedo al presidente del Pakistan Asif Ali Zardari di intervenire a suo favore.
I, the undersigned, adhere to the call for the release of Asia Bibi, a young woman sentenced to death in Pakistan with a specious charge of blasphemy and now in jail because of her faith. I ask the president of Pakistan, Asif Ali Zardari, to act in her favour.”

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