domenica, novembre 11, 2012
Dopo “Mare Nostrum” esce “Accoglienza a 5 stelle”, il nuovo documentario del giornalista indipendente, che svela la realtà nella quale sono costretti a vivere gli stranieri una volta approdati sulle coste italiane

di Paola Bisconti

Stefano Mencherini è un giornalista Rai che ama definirsi indipendente. E’ il regista di importanti documentari, come “Mare Nostrum”, che ha svelato gli scandali all’interno del Cpt Regina Pacis di San Foca (da diversi anni, infatti, Mencherini contribuisce con il suo lavoro giornalistico ad attirare l’attenzione sulla questione immigrazione e soprattutto sulle negazioni di diritti umani e civili di migliaia di persone che raggiungono le nostre coste). Mencherini ha anche protestato, fino ad arrivare a fare lo sciopero della fame e della sete, affinché l’informazione pubblica, in particolare quella della tv di Stato, torni a raccontare la realtà rilanciando contenuti che riflettano i problemi attuali.

Mencherini è sceso in campo mettendosi in gioco in prima persona perché è convinto che l’informazione in Italia sia “una pozzanghera maleodorante” che getta fango su molte questioni, in particolare, come detto, sugli sbarchi di profughi sulla nostra penisola. L’arrivo di uomini, donne e bambini che scappano da una grave situazione di guerra ed estrema povertà è presentata all’opinione pubblica come un pericolo, un problema di ordine pubblico. Spesso, infatti, si attribuisce all’immigrato il sinonimo di criminale. Analizzando però la questione con più consapevolezza ci si può rendere conto che le persone che raggiungono le nostre coste hanno bisogno del sostegno da parte di tutti noi, di un aiuto senza pregiudizi bensì fondato su un principio di uguaglianza.

Noi de La Perfetta Letizia abbiamo avuto il piacere di incontrare Stefano Mencherini a Lecce, presso le Officine Ergot, dove si è svolta la proiezione del documentario “Accoglienza a 5 stelle”, autoprodotto dall’Associazione L.E.S.S. Onlus e dalla Ong Ciss.

D- Le leggi che prevedono l’internamento dei profughi nei Cie, dove subiscono violenze e negazione dei diritti umani e civili, sono frutto di un “razzismo istituzionale”?
R- Sono frutto di politiche razziste presenti da circa 10-12 anni, mentre prima era una logica più latente. Tutti i governi, già da quello guidato da Prodi, hanno fatto dei veri e propri disastri sulla questione dell’immigrazione. Iniziarono con i Cpt, il primo fu proprio quello di San Foca, e poi li hanno convertiti in Cie. Hanno messo in atto logiche di respingimento molto violente, come avvenne il 28 marzo del 1997, quando 120 profughi albanesi a bordo della motovedetta Kater Rades affondarono nel Canale d’Otranto e solo 34 di loro riuscirono a salvarsi. Seguirono poi altri casi e ancora oggi assistiamo a numerose morti nel Mediterraneo.

D- Quanta consapevolezza c’è secondo lei fra i cittadini riguardo alla reale situazione in cui vivono gli immigrati una volta che raggiungono l’Italia?
R-I cittadini sono molto impegnati a cercare di risolvere la propria quotidianità, in qualche modo è comprensibile il loro disinteresse. Incide anche la mentalità di coloro che associano l’immigrato ad una persona “brutta, sporca, cattiva” e lo paragonano ad un delinquente, scaricando sugli ultimi colpe che in realtà sono di tutti.

D- Le ingenti spese che lo Stato affronta per l’emergenza profughi (il mantenimento dei numerosi centri di identificazione ed espulsione presenti in tutta Italia e i costi di rimpatrio) potrebbero diminuire se si trovasse una nuova strategia più consona alle esigenze di coloro che hanno bisogno di aiuto?
R- In questo caso non si può fare solo un ragionamento ideale, occorre pensare ad un sistema di accoglienza meno rigido e soprattutto che non speculi sulle persone. Esiste una mafia economica che crea una degenerazione delle politiche.

D- Alcuni stranieri hanno avuto il coraggio di denunciare ciò che accadeva una volta raggiunta l’Italia: Yvan Sagnet ha organizzato la prima rivolta di braccianti agricoli della storia e Isoke Aikpitanyi è riuscita a scappare dalla tratta della prostituzione portando la sua storia in tutta Europa. Queste due testimonianze hanno messo in evidenza anche la presenza della mafia italiana, che ha creato un vero e proprio “business dei clandestini”: come si può uscire dalle grinfie della criminalità organizzata che specula su tutto, anche sulle vite umane?
R- La criminalità organizzata coinvolge la politica e viceversa, quindi si creano degli interessi enormi che trasformano questo Paese in una sede di lobby mafiose. Inoltre l’Italia, che è la culla della civiltà cattolica, dovrebbe avere nel dna lo spirito dell’accoglienza, ma si rivela nella realtà dei fatti incapace di risolvere un problema epocale.

D- L’8 novembre è uscito nelle sale cinematografiche “La nave dolce” di Daniele Vicari. Il film racconta la storia di migliaia di albanesi che nel 1991 raggiunsero il porto di Bari sulla nave Vlora, chiamata dolce per la presenza di tonnellate di zucchero, e riaccende l’attenzione in modo clamoroso su una questione che a distanza di più di 20 anni deve essere ancora risolta nel migliore dei modi. Cosa manca secondo lei all’Italia per trovare una soluzione al problema?
R- È indispensabile un ritorno ai valori della persona ma se si continua a considerare i migranti come persone da usare per lo sfruttamento, lo schiavismo, la prostituzione si incrementeranno solo le casse della mafia.

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