Sul ponte delle catene in 12mila si scambiano messaggi di pace e si sigla un patto: Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te è la mia regola di vita, il primo mattone per un mondo diverso
Città Nuova - La lunga marcia di sette chilometri per le strade del centro di Budapest non è una novità per gli ungheresi, che su questi ampi viali hanno visto sfilare i cortei del regime comunista. Questa però ha i colori del mondo e la contagiosa allegria dei giovani dei Focolari, che ieri sera hanno concluso con questa manifestazione pubblica il loro Genfest. Meta è il ponte delle catene, simbolo di unità per le due parti della capitale ungherese Buda – la collina – e Pest – la pianura-. Lo raggiungono in quasi tre ore, incrociando sul loro cammino la sorpresa dei passanti e la curiosità dei giovani. Una vecchina è in lacrime, mentre saluta queste migliaia di ragazzi che ripetono, nelle 27 lingue presenti: “Let’s bridge”. Qualcuno fa il segno del cuore al loro passaggio. C’è chi srotola la bandiera ungherese da uno dei palazzi del centro storico. Dai balconi lanciano acqua, bibite, biscotti. Il Genfest getta ponti con la città che lo ospita.
Nella piazza degli eroi, sotto le statue dei personaggi che hanno fatto la rivoluzione ungherese, uno scatto immortala altri giovani eroi del 2012. Non è un’esagerazione, perché raccogliendo le storie di questi ragazzi si scopre la tragedia di un popolo e le ferite di una cultura, la novità di una rinascita e la determinazione nel volerci essere a tutti i costi, sfidando anche i propri governi. E così dal Vietnam alla Cambogia, da Cuba al Congo, dalla ricca Svezia all’impegnata Argentina. Ci sono per mostrare che i sentieri di fraternità vissuti nei propri paesi, consolidati da questo meeting, sono veri, hanno pilastri solidi.
Il ponte delle catene è in vista. Illuminato. Suggestivo. Sopra c’è il castello, simbolo della città, a fianco il Parlamento. Lo percorrono con emozione, si arrampicano sulla balaustra mentre dal microfono si salutano tutte le delegazioni presenti: India, Usa, Spagna, Malta, Italia, Israele… Il mondo ha messo piede su questo ponte. Poi “stop”. Trenta secondi di silenzio danno il via al flashmob più internazionale della storia. Al grido di “Go” ci si scambia delle sciarpe colorate su cui ciascuno ha scritto una frase, il proprio nome, una consegna. Gioia, festa, confusione accolgono il nuovo stop, che fa aprire le stoffe appallottolate e scoprire “il dono che Dio ha voluto farmi”, così si è espressa una giovane laziale, in lacrime dopo aver letto il suo messaggio: “Dio ti ama immensamente. Credi che il tuo presente e il tuo futuro possono essere migliori”. “Oggi si comincia a vivere per la pace” si legge su un altro. Let’s bridge è ricopiato in tutte le lingue.
Questo arcobaleno di colori e di popoli in tripudio è uno spettacolo straordinario, dona fiducia, da carica, fa rinascere speranze. “Da qui non si torna indietro”, mi dice Cinzia. “Altro che let’s bridge – grida uno scanzonato napoletano – qui è let’s change, qui insieme possiamo cambiare il mondo. Guai se non rispetto il patto della regola d’oro”. “Il bracciale, segno del patto, l’ho messo non per conformismo, ma perché mi impegno”. A guardare questi volti, c’è da crederci sul serio. Budapest forse potrà scrivere nella sua storia, questa insolita e non violenta rivoluzione che da qui è rinata.
di Maddalena Maltese
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