sabato, agosto 25, 2012
Il Papa da oltre sette anni condanna l’ambizione, l’arrivismo, il potere e il successo. Nella Chiesa dobbiamo essere testimoni del Gesù Risorto rinunciando all’egoismo ed al proprio interesse.

di Alberto Giannino

Un mese prima di diventare Papa, durante l’ultima Via Crucis di Giovanni Paolo II, il cardinale Joseph Ratzinger aveva scosso il mondo cattolico con la sua analisi sulla Chiesa affermando che al suo interno c'è zizzania, sporcizia morale ed arrivismo. E dopo sette anni Benedetto XVI, all’Angelus del 19 agosto al palazzo Apostolico in Castel Gandolfo, ritorna nuovamente su questi argomenti denunciando la sete di potere, l'ambizione smodata e la ricerca del “trono" e di “consensi” di alcuni vescovi, preti e cardinali nelle parrocchie, nelle curie vescovili e negli enti cattolici. Per egoismo, com’è noto, si intende un insieme di comportamenti finalizzati unicamente, o in maniera molto spiccata, al conseguimento dell'interesse del soggetto che ne è autore, il quale persegue i suoi fini anche a costo di danneggiare, o comunque limitare, gli interessi del prossimo. Secondo Papa Benedetto XVI quindi all'interno della Chiesa ci sono uomini egoisti che pensano solo a se stessi, alla carriera e al potere, trascurando gli altri.

Benedetto XVI non finisce mai di stupirci, anche per questi richiami che riguardano alcuni uomini di Chiesa e che lo rendono più vicino a noi e degno di stima per la sua sfida al potere consolidato dentro la Chiesa e per il coraggio di proporre questi argomenti che sono scomodi e non piacciono a taluni. Nel Concistoro del 2012 il Papa affermava: “Dominio e servizio, egoismo e altruismo, possesso e dono, interesse e gratuità: queste logiche profondamente contrastanti si confrontano in ogni tempo e in ogni luogo. Non c’è alcun dubbio sulla strada scelta da Gesù: Egli non si limita a indicarla con le parole ai discepoli di allora e di oggi, ma la vive nella sua stessa carne. Spiega infatti: «Anche il Figlio dell’uomo non è venuto a farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto di molti» (v. 45)”. In un altro Concistoro, quello del 2010, Papa Benedetto XVI diceva: “Gesù indica anche il punto di riferimento: il Figlio dell’uomo, che è venuto per servire; sintetizza cioè la sua missione sotto la categoria del servizio, inteso non in senso generico, ma in quello concreto della Croce, del dono totale della vita come “riscatto”, come redenzione per molti, e lo indica come condizione per la sequela. E’ un messaggio che vale per gli Apostoli, vale per tutta la Chiesa, vale soprattutto per coloro che hanno compiti di guida nel Popolo di Dio”. E concludeva: “Non è la logica del dominio, del potere secondo i criteri umani, ma la logica del chinarsi per lavare i piedi, la logica del servizio, la logica della Croce che è alla base di ogni esercizio dell’autorità. In ogni tempo la Chiesa è impegnata a conformarsi a questa logica e a testimoniarla per far trasparire la vera ’Signoria di Dio‘, quella dell’amore”.

E all’Udienza Generale del 20 giugno 2012 Benedetto XVI affermava : “Quando la preghiera alimenta la nostra vita spirituale noi diventiamo capaci di conservare quello che san Paolo chiama «il mistero della fede» in una coscienza pura (cfr 1 Tm 3,9). La preghiera come modo dell’«abituarsi» all’essere insieme con Dio, genera uomini e donne animati non dall’egoismo, dal desiderio di possedere, dalla sete di potere, ma dalla gratuità, dal desiderio di amare, dalla sete di servire, animati cioè da Dio; e solo così si può portare luce nel buio del mondo”.

“L’inno della Lettera ai Filippesi- conclude Benedetto XVI ci offre due indicazioni importanti per la nostra preghiera. La prima è l’invocazione «Signore» rivolta a Gesù Cristo, seduto alla destra del Padre: è Lui l’unico Signore della nostra vita, in mezzo ai tanti «dominatori» che la vogliono indirizzare e guidare. Per questo, è necessario avere una scala di valori in cui il primato spetta a Dio, per affermare con san Paolo: «Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore» (Fil 3,8). L’incontro con il Risorto gli ha fatto comprendere che è Lui l’unico tesoro per il quale vale la pena spendere la propria esistenza”.

Satana nel Vangelo di Marco è l’incarnazione della mentalità del potere, del successo, dell’arrivare a tutti i costi. Satana è sempre colui che tenta l’uomo al potere. L’ambizione del potere – afferma Gesù – impedisce che il messaggio venga accolto. Il potere è tanto abile da essere capace di mettere i suoi principi persino nella testa dell’oppresso, inducendolo a credere che la felicità consista nell’avere sempre di più. Gesù è molto chiaro: l’ambizioso, l’arrivista, lo smanioso di successo sono impossibilitati ad accogliere il messaggio del Signore. La fede per costoro non solo è lontana dai loro ideali, ma pure nociva ai loro interessi. Questi uomini - ci ha insegnato ripetutamente Benedetto XVI nel suo magistero autorevole in questi ultimi sette anni e mezzo - sono refrattari al messaggio di Gesù perché troppo presi dalla ricerca di successo e neanche si accorgono della ricchezza vera, autentica che viene loro proposta; di quanto perdono, credendo invece di conquistare.

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