martedì, luglio 31, 2012
Intervista di don Vincenzo Vigilante a P. Marcello Coppetti, vicerettore dell’Università cattolica dell’Uruguay

D - Padre Marcello Coppetti, le siamo grati per aver accettato di parlare con noi e con i lettori de "La Perfetta Letizia". Lei è gesuita, rappresentante del Provinciale della Compagnia di Gesù in Uruguay (perché il Provinciale risiede in Argentina), professore di etica e vicerettore dell’Università cattolica dell’Uruguay. Cosa manca a questa presentazione?
R - Credo sia una presentazione abbastanza completa. La cosa più importante forse è dire che sono sacerdote , anche se può sembrare ovvio per chi legge quest’articolo. Però lo sottolineo perché spesso ci fermiamo molto sugli incarichi che occupiamo e lasciamo da parte ciò che attiene alla nostra essenza, quello che ci identifica. Gli incarichi durano un tempo; uno è vicerettore per un periodo, però poi non lo sarà più. La stessa cosa vale per il fatto di essere superiore di una comunità o rappresentante del Provinciale. Mentre il fatto di essere sacerdote e gesuita, già da un po’ di anni, fa parte della mia identità. Inoltre sono discendente da parte paterna di piemontesi che arrivarono in Uruguay alla fine del secolo XIX, cosicché, come succede per molti uruguaiani e argentini, sento grande simpatia per l’Italia e i gli italiani.


D - Desidereremmo che ci parlasse dell’Università cattolica dell’Uruguay. Quanti anni ha di attività? Come va? Quanti alunni, docenti, facoltà ha?
R - Lavoro nell’Università Cattolica dell’Uruguay da quando sono ritornato nell’anno 2003, dopo aver completato i miei studi di Teologia in Spagna, Francia e Belgio. Si tratta di una università giovane fondata nel 1985, nel momento in cui l’Uruguay riprendeva la vita democratica. Sebbene ci fosse stato un primo tentativo di fondare l’Università cattolica nell’Uruguay alla fine del secolo XIX (nel 1882), essa durò molto poco perché fu obbligata a chiudere dal governo anticlericale dell’epoca. Da allora la Chiesa ha sempre lottato per riconquistare questo spazio, quello del mondo universitario, da allora nelle mani dello Stato con carattere di monopolio. Tutto ciò fa sì che la nascita dell’Università Cattolica nel 1985 abbia avuto forte resistenza da distinti settori politici del Paese, ma anche dentro la stessa Chiesa.
Dalla sua nascita l’Università fu affidata ai Gesuiti che, con personalità come Mons. Carlo Mullin S.J., lottarono per più di 30 anni per questa causa fino a riuscire ad ottenere l’apertura dell’Università. Grazie a Dio oggi è una realtà consolidata, che fa parte di un sistema universitario del Paese che si è andato ampliando con il trascorrere degli anni. E’ stata la prima università privata del paese, e oggi ce ne sono altre quattro. Dando una possibilità di scelta, una alternativa rispetto all’Università Statale, che continua ad essere un referente imprescindibile per la sua grandezza, direttamente collegata al fatto di essere totalmente gratuita.
Oggi l’Università Cattolica ha circa 7.500 alunni più altri 2.300 del “post-grado” (diplomi, magistrale, dottorato). Il corpo docente è formato da circa 1.200 professori, dei quali circa 130 si dedicano totalmente all’università e gli altri hanno anche altre attività (generalmente professionali). Abbiamo 7 Facoltà: Ingegneria, Diritto, Psicologia, Scienze Umane, Scienze della gestione delle imprese, Infermeria e Tecnologia della salute e Odontologia. In queste sette Facoltà ci sono 25 indirizzi. Inoltre ci sono circa 50 titoli di specializzazione.


D - Come si sostiene economicamente? Quali sono le risorse?
R - Insistiamo sempre nel dire che siamo una istituzione pubblica in gestione privata. Pubblica perché il nostro operare e l’impatto che ha è a beneficio di tutta la società, però gestita da un gruppo particolare, ecclesiale, con suoi principi e sue proprie norme. Vogliamo contribuire a rompere la classica distinzione tra pubblico e privato visti come realtà antagoniste. Però essendo una università gestita da privati non riceviamo nessun tipo di finanziamento statale, né alcun tipo di aiuto economico. Pertanto l’Università si finanzia, fondamentalmente, con le quote che pagano i nostri alunni. Come potete immaginare questo è un grande limite, perché essendo totalmente gratuita l’Università statale le nostre tasse di iscrizione non possono essere troppo alte. Né vorremmo che lo fossero, perché vogliamo facilitare l’ingresso all’Università di studenti di tutti i livelli economici. Questo riusciamo a ottenerlo attraverso borse di studio che possiamo offrire grazie all’aiuto di alcune imprese private e della stessa Compagnia di Gesù che ogni anno destina denaro a questo scopo; però è un grande sforzo economico.
Dobbiamo necessariamente puntare alla qualità dell’insegnamento, perché se siamo in competenza con l’Università statale gratuita la nostra offerta deve essere di alta qualità perché la gente venga da noi. Se sceglie di venire all’Università Cattolica è perché quello che noi offriamo è di una qualità superiore a ciò che riceverebbero da un'altra parte.
Il reperimento di fondi per la ricerca e per lo sviluppo della stessa Università è un rompicapo e una preoccupazione costante. Come dicevo prima ci sono alcune imprese che aiutano, ma sono meno di quanto noi desidereremmo. In Uruguay non c’è una grande tradizione di fare donazioni a istituzioni private, che si presume (erroneamente) che abbiano soldi. Ho vissuto alcuni anni in Cile e ho incontrato una cultura diversa dove c’è una forte alleanza tra l’Università e le imprese e queste collaborano tantissimo. E’ vero che la legislazione aiuta molto in questa direzione e in Uruguay appena ora si comincia a legiferare in questo senso.


D - Che senso ha una Università cattolica? Come si relaziona con lo Stato?
R - Credo che in un ambiente culturale come è quello dell’Uruguay ha moltissimo senso. Perché? Perché l’Uruguay è un paese con una tradizione laicista molto forte, molto radicata. Siamo il Paese dell’America Latina dove la Chiesa cattolica ha meno presenza pubblica e dove la percentuale di popolazione che si dice cattolica è la minore (solamente intorno al 56%). Questo ha radice nel secolo XIX e nello scontro tra una Chiesa molto giovane (la prima sede vescovile fu quella di Montevideo e fu eretta nel 1878; fino a quel momento la Chiesa dell’Uruguay dipendeva da Buenos Aires, Argentina) e diversi gruppi anticlericali influenzati da correnti massoniche fortemente presenti nel Paese. La presenza della Chiesa nella cultura uruguaiana è stata debole; con alcuni personaggi di grande prestigio, è vero, però senza una solida istituzione.
L’Università cattolica ha permesso alla Chiesa uruguaiana di avere una tribuna da cui parlare e dialogare con la cultura del Paese in tutte le sue espressioni. Un luogo dove formare i giovani in una antropologia cristiana, centrata sull’uomo come creatura di Dio e quindi inviolabile nella sua dignità. Senza dubbio questo ha dato la possibilità alla Chiesa di collocarsi in altro modo, di non restare rinchiusa nella sacrestia, ma di aver un luogo da dove essere anche protagonista della costruzione di una società che vorremmo più giusta e più umana (e perché no, anche più cristiana).
La nostra relazione con l’Università statale ha attraversato distinte tappe: dal volerci ignorare completamente e guardarci con molti pregiudizi all’inizio, fino ad arrivare ad avere una relazione più fluida. Comunque l’Università statale pretende di essere quella che regola tutto il sistema universitario nazionale e controllare le altre università, senza che nessuno controlli la qualità di quello che essa insegna. A questo chiaramente ci siamo opposti con le altre università private e ciò ha portato, purtroppo, a bloccare l’iniziativa di un’agenzia che controlli la qualità di tutte le università (sia statali che private). Essendo quella statale la più antica, la più grande e quella che ha più risorse, visto che con le tasse la finanziamo tutti noi uruguaiani, l’università statale si sente al di sopra di tutte e lo fa pesare in ogni occasione. Però, come dicevo prima, a poco a poco la situazione sta cambiando…


D - Non c’è dubbio che il lavoro in questo campo è immenso: gli stessi vescovi nella Lettera per il bicentenario della Costituzione si sono detti preoccupati per il tema dell’educazione e in Italia si sta lavorando molto sul tema della “sfida educativa”. Qual è la situazione dell’insegnamento in Uruguay?
R - Senza dubbio è un tema molto importante e richiederebbe una lunga riflessione. In ogni modo, a grandi linee, il tema dell’educazione è uno dei principali problemi dell’agenda nazionale. Insieme al tema della sicurezza occupa ogni giorno qualche pagina o qualche minuto nei mezzi di comunicazione. Però si discute molto e si fa poco. Sono state fatte grandi promesse da coloro che oggi hanno la responsabilità di governare il paese, però quello che finora si è ottenuto è stato solo qualche rattoppo, senza affrontare il problema alla radice. L’educazione pubblica è massificata, ha perso di qualità, i docenti ricevono una formazione pessima e quindi quello che comunicano agli alunni è ancora peggiore.
Tutti siamo coscienti che si sta ipotecando il futuro del Paese, però ci costa reagire . I sindacati esercitano forti pressioni sul governo; ogni volta chiedono una percentuale più alta del PIL per l’educazione, però finora l’unica cosa che hanno ottenuto è l’aumento degli stipendi. Il risultato delle prove PISA a livello internazionale è stato negativo in confronto ad altri paesi vicini. Abbiamo la tassa di abbandono scolastico degli adolescenti più alta del continente (solo un 30% riesce a terminare la scuola secondaria). E potrei continuare. Questa è la nostra triste realtà di oggi.
Per l’Università noi vogliamo scommettere sul miglioramento apportando il nostro modesto granellino di sabbia. Lo stiamo facendo con progetti tendenti a migliorare la qualità dell’insegnamento (pubblico e privato), a migliorare le valutazioni di alunni e docenti, a lavorare con “Fede e Allegria-Uruguay” in esperienze-pilota che si possano poi ripetere in altre realtà.

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