giovedì, luglio 05, 2012
“Dios no mata”. “Dio non uccide”. Una frase scritta col sangue nella cella buia dove venne recluso e torturato durante la dittatura argentina.

VolontariatOggi - “Dios no mata”. “Dio non uccide”.Una frase che ha accompagnato Adolfo Perez Esquivel nei decenni che sono passati, nei quali non ha mai smesso di lottare per la pace e i diritti. Oggi quella frase è il titolo della sua biografia italiana, scritta da Arturo Zilli, grande esperto di America Latina e in particolare di Argentina. Il libro, pubblicato dalla casa editrice “Il Margine” intreccia sapientemente la storia recente sudamericana con quella di Perez Esquivel, simbolo della resistenza non violenta alla feroce dittatura responsabile di migliaia e migliaia di desaparecidos. Per la quale venne insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1980. “Diverso -tiene a precisare Perez Esquivel- da quello ricevuto da persone come Obama o Kissinger, con cui io non ho niente a che fare. Il Nobel è uno strumento, dipende da come lo utilizzi. Ho sempre cercato di utilizzarlo al servizio dei popoli, altrimenti è inutile”.

Di passaggio a Lucca, seduto nelle stanze del Fondo di Documentazione Arturo Paoli istituito lo scorso anno dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca, Adolfo Perez Esquivel parla con i giornalisti poco prima della presentazione. Accanto a lui Fratel Arturo Paoli, missionario per decenni in America Latina, con cui Perez Esquivel condivide l’amore per la spiritualità di Charles de Focauld. Paoli e Perez Esquivel si sono conosciuti al tempo della dittatura. “Arturo -racconta Perez Esquivel- è stato molto tempo in Argentina a Reconquista, impegnato nel lavoro con le comunità e con i movimenti contadini. Poi dovette andarsene. Ci trovammo in Venezuela nelle colline intorno a Caracas. Viveva nelle favelas, accompagnano, come ha sempre fatto, i poveri nella loro liberazione”.

Ogni frase di Perez Esquivel è un messaggio per il movimento pacifista mondiale. “La violenza è dell’essere umano, non di Dio, che ci ha dato la vita e l’essere umano deve sapere come utilizzare questa libertà -scandisce spiegando il significato del titolo del libro-. Ma spesso si ammazza in nome di Dio. Si commettono ingiustizie in nome di Dio, ma questo non ha niente a che vedere con il senso profondo della vita che Dio ci ha dato. A me ha salvato la spiritualità: potevano uccidere il mio corpo, ma non il mio spirito”. “La non-violenza non è passività, è resistenza attiva all’ingiustizia. I popoli devono reagire all’ingiustizia e le persone di fronte a questa fanno le proprie scelte”. “La lotta non è finita oggi -aggiunge con una di quelle espressioni serene e convinte, tipiche dei latinoamericani che si sentono parte di una storia di resistenza che non nasce né finisce con loro-. Si dice che in Colombia ci sia la democrazia, ma non è vero e la resistenza sociale è altissima. In Cile la repressione contro i mapuche è continua e in Argentina prosegue la lotta dei popoli originari. Anche rubare la terra ai contadini è violare i diritti umani. Il semplice fatto di votare non significa che ci sia la democrazia. È una menzogna, la democrazia significa diritto, partecipazione, uguaglianza.

Sono molti i paesi che continuano a non rispettare i diritti umani. Qualche esempio? Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina”. Ma la speranza è sempre aperta e il processo di giustizia avvenuto, e ancora in corso, in Argentina lo testimonia. “Sono stati svolti -spiega il Premio Nobel- i processi ai militari, ma si sono aperti anche procedimenti per le imprese multinazionali che hanno appoggiato la dittatura. Sono coinvolte molte imprese famose in tutto il mondo come la Ford, la Mercedes Benz. L’Argentina è uno dei pochi paesi nel mondo in cui la giustizia federale ha aperto processi contro le imprese per casi come questi”. Il dialogo con i giornalisti sta per finire. Lo aspetta un auditorium gremito che attende lui ed Arturo Paoli come due profeti di pace. “Non crederò mai nella guerra giusta -conclude-, credo nelle giuste cause, ma non esistono guerre giuste, nè guerre sante”.

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