martedì, giugno 19, 2012
Mentre l’Egitto attende con trepidazione i risultati del ballottaggio, che verranno diffusi giovedì 21 giugno, Mohammed Mursi, leader della Fratellanza musulmana, si autoproclama vincitore delle elezioni. Avrebbe sconfitto, dopo un serrato testa a testa, Ahmed Shafiq, il premier dell’ultimo governo Mubarak. Shafiq, dal canto suo, non si dà per vinto e, dopo essere scampato grazie alla Corte Costituzionale alla cosiddetta legge dell’isolamento politico (che vieta la possibilità di candidarsi agli esponenti del “vecchio regime”), non si sente ancora sconfitto e grida a brogli elettorali. In questo quadro istituzionale così confuso e incerto, i militari la fanno ancora da padrone…

di Mariangela Laviano

Dalla caduta di Hosni Mubarak, avvenuta l’11 febbraio 2011, molti rivoluzionari e giovani egiziani che hanno fatto di piazza Tahrir il simbolo della rivoluzione si sono mostrati sempre molto critici nei confronti dell’esercito egiziano, poiché di fatto è stato e continua a essere il vero detentore del potere. Mentre i sostenitori dei due candidati si confrontano sul piano delle cifre, in attesa dei risultati ufficiali, i militari prendono iniziative che destano grande preoccupazione. Il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) ha infatti pubblicato una Dichiarazione Costituzionale complementare che limita decisamente i poteri del nuovo presidente e amplia invece quelli dei militari, in particolar modo nell’ambito della riscrittura della futura costituzione del Paese.

Facendo un piccolo ma doveroso passo indietro, in Egitto la costituzione, entrata in vigore nel 1971, è stata sospesa nel momento in cui i militari hanno assunto il potere, e cioè dall’11 gennaio 2011. Oggi l’Egitto si regge su una dichiarazione costituzionale provvisoria di 63 articoli, promulgata dagli stessi militari. Con l’emanazione della Dichiarazione Costituzionale complementare, lo SCAF si auto-assegna il potere di nominare l’Assemblea Costituente per scrivere la nuova costituzione nel caso in cui l’attuale Assemblea non dovesse raggiungere questo obiettivo entro i prossimi tre mesi. Traguardo difficile da raggiungere se pensiamo che l’attuale Assemblea Costituente, eletta dal parlamento appena sciolto poiché composto da una forte presenza islamista, è stata più volte boicottata nei lavori da parte degli altri schieramenti politici.

Come risulta evidente, l’esercito, oltre ad assicurarsi il potere legislativo, si sta riservando la possibilità di redigere la costituzione così da plasmarla secondo le proprie esigenze, mantenendo per esempio i propri privilegi e il controllo delle vita politica ed economica del paese.

Il paradosso delle elezioni presidenziali in Egitto sta proprio in questo vuoto costituzionale, che sta portando milioni di elettori a votare per un presidente di cui in realtà non si conoscono ancora i veri poteri. L’Assemblea Costituente che stenta nei lavori deliberativi e il Parlamento sciolto dalla giunta militare non sembrano certo segni di quella che doveva essere la vera svolta democratica portata dal vento della primavera araba. E il risultato di tali incertezze ha portato gli intellettuali e i movimenti protagonisti di piazza Tahrir a disertare le urne…

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