Operazione “Alba di Scilla”: in manette il clan che imponeva il pizzo sull’A3
di Nadia Velardo
«Una strategia della tensione suscitata dalle cosche per controllare i lavori sulla Salerno-Reggio Calabria»: queste le parole usate dagli inquirenti per far comprendere quanto le imprese edili impegnate nell’ammodernamento del tratto calabrese dell’A3 abbiano subito continue pressioni criminali durante i lavori. Dodici persone, tutte appartenenti alla cosca Nasone-Gaietti di Scilla, sono state fermate dai carabinieri di Reggio Calabria perché ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa ed estorsione aggravata. Le investigazioni dell’Arma, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio, hanno documentato come l’infiltrazione pervasiva della ‘ndrangheta negli appalti per la realizzazione del sesto macrolotto dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria fosse realizzata mediante la costante pressione criminale sulle ditte impegnate nei lavori.
Sono stati sequestrati beni per alcuni milioni di euro, tra cui appartamenti, terreni, attività commerciali e conti correnti bancari. Il clan che imponeva il pizzo sull’A3 avrebbe imposto il pagamento di una tangente pari al 3% del valore dell’appalto, e per farlo avrebbe messo in atto una serie di danneggiamenti verso le stesse imprese.
L’operazione delle forze dell’ordine è frutto di un intenso lavoro investigativo che ha portato oggi a disarticolare la cosca mafiosa di Scilla. Le indagini – fa sapere la Dda di Reggio – sono cominciate lo scorso anno, dopo l’arresto di un uomo legato alla cosca, bloccato in flagranza di reato per estorsione. Quest’arresto era avvenuto grazie alla denuncia di un imprenditore siciliano, vincitore dell’appalto per l’ammodernamento di un piccolo lotto della statale 18 che attraversa Scilla. Da qui è stato possibile accertare che la cosca aveva preso di mira anche le ditte impegnate sull’autostrada dei lavori infiniti. «Noi abbiamo fatto la nostra parte – ha dichiarato il procuratore aggiunto della Dda di Reggio, Michele Prestipino – Adesso ci aspettiamo che anche gli imprenditori facciano la loro, offrendo la massima collaborazione alle autorità». Spesso, infatti, gli appaltatori preferiscono subire in silenzio i taglieggiamenti imposti dai clan piuttosto che denunciarli, ammortizzandoli quasi sempre tramite la riduzione della qualità dei lavori e delle condizioni di sicurezza degli operai.
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