Dopo la celebrazione eucaristica presieduta dall’assistente ecclesiastico generale dell’AC monsignor Domenico Sigalini, sono ripresi questa mattina i lavori del Convegno delle Presidenze diocesane di Azione Cattolica, tema di questa terza giornata di lavoro “L’ispirazione conciliare nel progetto formativo dell’Azione Cattolica”.
La prima relazione è della teologa Stella Morra, docente alla Pontifica Università Gregoriana. Ecco alcuni passaggi del suo intervento: «Il Concilio non serviva per la trasmissione della Verità di fede, perché questa era chiara a tutti. Il Concilio, piuttosto, si è concentrato sulla “forma”. Il punto è che per immaginare una nuova forma di Chiesa dovranno passare almeno due secoli, cinquant’anni non bastano». Dunque, che fare? «Bisogna insistere sulla dimensione pastorale della Chiesa. Una pastorale intesa però in senso meno tecnico di come la pensiamo (ed esasperiamo) di solito». «Pastorale significa avere l’attitudine del pastore. Pastorale è la cura con cui ci si preoccupa della vita dell’altro, perché nessuno vada perduto. Perché l’altro sia custodito e fatto crescere». E a proposito di formazione. «L’Ac deve formare le coscienze delle persone, rispondendo alle esigenze del nostro tempo, a partire, sempre e comunque, dalle quattro note dell’Apostolicam Actuositatem, che rappresentano il mandato diretto del Concilio all’Azione Cattolica».«Quanto diciamo dell’Ac, lo diciamo della Chiesa, e viceversa. L’Ac è forma della Chiesa: laboratorio, sperimentazione. È il luogo dove accade ciò che accade nella Chiesa, perché la Chiesa tutta ne abbia un’ampiezza. Anche se a dire il vero, questo è stato un peso in questi cinquant’anni, moltiplicando gli impegni per l’Associazione, anche fuori dalle proprie attività». «L’Ac del futuro se vuole puntare alla formazione integrale delle persone deve essere una “rete governata”: mantenere tutta la dimensione della complessità della realtà di oggi, curare l’aspetto orizzontale, ma anche riuscire a coordinarsi, tenersi insieme. «La storia è il luogo teologico in cui l’Azione Cattolica deve lavorare. E deve farlo come corpo organico. L’Ac deve sempre ravvivare e rinnovare le relazioni nello sforzo continuo di collaborare con parroci e vescovi. Ciò significherà allora avere una coscienza ecclesiale comune, nell’analisi così come quando si fanno progetti». «L’Azione cattolica offre alla Chiesa un “popolo pastorale”: poiché popolarità è prende chi c’è, senza scegliere. L’Ac, infatti, non fa privilegi, è antielitaria per definizione. L’Ac, stando nelle parrocchie, non sceglie: si becca chi c’è. E così sta nelle realtà più minime, fa compagnia a chiunque incontri».
La prima relazione è della teologa Stella Morra, docente alla Pontifica Università Gregoriana. Ecco alcuni passaggi del suo intervento: «Il Concilio non serviva per la trasmissione della Verità di fede, perché questa era chiara a tutti. Il Concilio, piuttosto, si è concentrato sulla “forma”. Il punto è che per immaginare una nuova forma di Chiesa dovranno passare almeno due secoli, cinquant’anni non bastano». Dunque, che fare? «Bisogna insistere sulla dimensione pastorale della Chiesa. Una pastorale intesa però in senso meno tecnico di come la pensiamo (ed esasperiamo) di solito». «Pastorale significa avere l’attitudine del pastore. Pastorale è la cura con cui ci si preoccupa della vita dell’altro, perché nessuno vada perduto. Perché l’altro sia custodito e fatto crescere». E a proposito di formazione. «L’Ac deve formare le coscienze delle persone, rispondendo alle esigenze del nostro tempo, a partire, sempre e comunque, dalle quattro note dell’Apostolicam Actuositatem, che rappresentano il mandato diretto del Concilio all’Azione Cattolica».«Quanto diciamo dell’Ac, lo diciamo della Chiesa, e viceversa. L’Ac è forma della Chiesa: laboratorio, sperimentazione. È il luogo dove accade ciò che accade nella Chiesa, perché la Chiesa tutta ne abbia un’ampiezza. Anche se a dire il vero, questo è stato un peso in questi cinquant’anni, moltiplicando gli impegni per l’Associazione, anche fuori dalle proprie attività». «L’Ac del futuro se vuole puntare alla formazione integrale delle persone deve essere una “rete governata”: mantenere tutta la dimensione della complessità della realtà di oggi, curare l’aspetto orizzontale, ma anche riuscire a coordinarsi, tenersi insieme. «La storia è il luogo teologico in cui l’Azione Cattolica deve lavorare. E deve farlo come corpo organico. L’Ac deve sempre ravvivare e rinnovare le relazioni nello sforzo continuo di collaborare con parroci e vescovi. Ciò significherà allora avere una coscienza ecclesiale comune, nell’analisi così come quando si fanno progetti». «L’Azione cattolica offre alla Chiesa un “popolo pastorale”: poiché popolarità è prende chi c’è, senza scegliere. L’Ac, infatti, non fa privilegi, è antielitaria per definizione. L’Ac, stando nelle parrocchie, non sceglie: si becca chi c’è. E così sta nelle realtà più minime, fa compagnia a chiunque incontri».
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