La crisi si fa pesante per le famiglie con figli. Passano i governi ma i conti si aggravano. Intervista a tutto campo con Mario Sberna, presidente dell’Associazione famiglie numerose
Città Nuova - Abbiamo lasciato i rappresentanti delle famiglie numerose che si incatenavano davanti al Parlamento dopo le due manovre finanziarie consecutive del precedente governo, decise nell’estate 2011. L’esplodere della crisi ha trovato le famiglie con figli tra le categorie più a rischio di impoverimento. Una dimenticanza storica in Italia, che ha una struttura fiscale e previdenziale particolarmente iniqua nei confronti di chi decide di accogliere un figlio. Come sta andando con il governo dei tecnici? Nonostante le varie misure già adottate, i segnali di fiducia dei mercati sembrano ancora bizzarri, mentre le misure d’austerità sono all’ordine del giorno nel bilancio familiare. Ne parliamo con Mario Sberna, presidente dell’Associazione delle famiglie numerose.
A suo giudizio è cambiato qualcosa, finora, per le politiche familiari con il governo Monti? Che voto darebbe al nuovo esecutivo?
«Per utilizzare una metafora riferita alla scuola, ambito da cui proviene il professor Monti, diciamo pure bocciato, almeno rispetto al vuoto di politiche familiari che fa il pari col nulla del precedente governo. Possiamo affermare, senza tema di smentita, che la famiglia per il governo Monti è solo una mucca da mungere, consolidando – anzi, aggravando – le incresciose iniquità e ingiustizie fiscali e tributarie che la opprimono».
Quali sarebbero le maggiori disparità introdotte dal governo?
«Un colpo basso e inatteso è stato l’inasprimento delle addizionali Irpef abbinato al taglio dei trasferimenti agli enti locali. Ormai è conclamato che il fisco italiano sia tutt’altro che family friendly; aumentare il prelievo sul reddito ignorando i carichi di famiglia non fa che peggiorare la situazione ben oltre i paletti costituzionali degli artt. 31 e 53. Inoltre gli enti locali, regioni e comuni, sono i maggiori erogatori di servizi alle famiglie (sanità, trasporti e servizi educativi/infanzia, per anziani e disagio), tagliare le loro risorse sul sociale significa colpire inesorabilmente chi beneficia dei servizi, soprattutto le famiglie con figli, specie se minori. Anche l’aumento di imposte indirette come l’Iva produce effetti deleteri: a pari reddito si riduce la capacità di spesa procapite (intendiamoci quella essenziale per sopravvivere, non per il superfluo) delle famiglie numerose, spinte sempre di più verso il disagio e la povertà. Gli ammortizzatori sociali – assegni famigliari, impieghi “sociali”, coperture previdenziali, ecc, – non sono adeguati alla gravità e al perdurare della crisi in atto. E poi sono ancora rinviati sia l’annoso problema della conciliazione lavoro-famiglia che il riconoscimento del ruolo delle mamme lavoratrici, sempre più stressate e vessate e ora obbligate a lavorare molti anni in più senza considerare in alcun modo quanti figli hanno donato al Paese e, dunque, quanto lavoro hanno svolto in più rispetto alle donne lavoratrici ma non madri».
Non ricevendo risposte dai vari governi, vi sembra opportuno continuare in questa ricerca del “politico sensibile” oppure state meditando altre forme per incidere?
«La politica, anche se esercitata attraverso modalità tecniche, resta lo strumento principe per conseguire il benessere di ogni comunità civile. Perciò continuiamo a pensare che sia nostro dovere sollecitare la sensibilità dei politici affinché guardino al bene comune. Perché il bene della famiglia è il bene comune. È pur vero che il panorama politico/tecnico italiano non esprime le migliori personalità possibili e dunque anche la nostra possibilità di incidere viene meno. Siamo certi che un giorno questa classe politica verrà sostituita da persone espressione della comunità civile e in grado di perseguire un vero e giusto sviluppo. D’altra parte, tra scandali, corruzione, incapacità, superbia e arroganza, non si può andare avanti per molto».
Avete modo di affrontare l’incidenza della riforma del lavoro (articolo 18 e altro) sulle famiglie?
«La “carta dei valori” della nostra associazione pone al vertice la giustizia. Licenziare senza una giusta motivazione è atto immorale, ingiusto e inumano, oltre che iniquo. Basti pensare che tra due persone licenziate allo stesso modo e per lo stesso tempo, un single e l’altro con figli a carico, con pace sindacale e politica, non c’è alcuna differenza nelle indennità retributive che vengono promesse a “saldo” dell’ingiustizia subita. In ogni caso, ora più che mai, il nostro Paese non può permettersi di mettere in crisi i genitori e di precarizzare ancor di più i giovani che vorrebbero formarsi – ne hanno il diritto e il Paese ne ha bisogno – e crescere nuove famiglie. La soluzione sta nei tagli alle spese inutili, militari e politiche su tutte, non nell’invecchiare la classe lavoratrice o nel togliere la terra sotto i piedi a chi costruisce il Paese».
Avete qualcosa da dire sulla liberalizzazione degli orari di lavoro e il lavoro domenicale?
«Sì. Se pensiamo che dietro a un banco frigo o a una cassa ci stanno, sempre più spesso di domenica, mamme di famiglia, non possiamo che affermare il nostro rifiuto ad acquistare nei centri commerciali nei giorni festivi, per non essere complici. Non siamo così sciocchi da non sapere che le modalità con cui si prestano attività lavorative si sono evolute per effetto della globalizzazione, che ha inciso pesantemente sugli stili di vita. La domenica non è il giorno del Signore per miliardi di persone, che dunque la vivono come un giorno qualunque. Tuttavia il caposaldo che dovrebbe sempre restare è quello di un orario lavorativo che si concili con le esigenze delle persone e delle famiglie di riferimento. Se la dimensione lavorativa prevale sull’altra, diventa a rischio l’equilibrio personale e relazionale, il benessere delle persone stesse. L’attività lavorativa non deve ostacolare il riposo, e viceversa; in questo scambio reciproco non può mancare il senso del riposo festivo, al pari di un necessario dovere, quello di dedicare tempo alla cura della propria persona, della propria famiglia, della propria anima e alla gioiosa condivisione con gli altri del tempo di vita avuto in dono».
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