Il Lago Ciad non sta affatto scomparendo, anzi, dopo una soglia minima raggiunta negli anni ’80 la sua superficie è tornata a espandersi naturalmente. Per questo i progetti sviluppati attorno all’iniziativa di ‘salvare il lago’ sono frutto di interessi nascosti e calcoli di profitto.
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isna - A sfatare il mito della ‘desertificazione del Lago’ sono stati tre ricercatori ospiti del Forum alternativo mondiale dell’acqua (Fame) in corso a Marsiglia. L’appuntamento è organizzato in parallelo con il Forum mondiale dell’acqua (Fma) attorno al quale da una settimana gravitano dirigenti statali, banchieri, operatori privati e qualche organizzazione non governativa. All’inizio della settimana, il presidente del Ciad Idriss Deby, insieme a rappresentanti dei governi della regione, aveva presentato con grande enfasi all’Fma un ‘libro bianco’ con 33 progetti per salvare il Lago – ancora tutti da finanziare – e ricevuto un caloroso appoggio della Francia.
“I grandi progetti sono sempre molto interessanti per diversi attori: per i governi locali significano essere padroni del territorio. Interessano le aziende per la realizzazione, gli studiosi per le ricerche, i finanziatori per ovvi interessi economici. Senza contare gli interessi più oscuri, legati a possibili favori o tangenti che spesso accompagnano questo genere di contratti” ha detto Geraud Magrin, un geografo francese del Cirad (Centro di ricerca agronomica per lo sviluppo) specialista del Lago Ciad da una quindicina di anni. Il grande progetto di cui si parla già da decenni per il Lago Ciad è quello del trasferimento di acque dell’Oubangui, un fiume congolese. “Un progetto faraonico, irrealizzabile, che ha nutrito molti interessi ma che sembrerebbe finalmente accantonato”.
La questione del salvataggio del Lago è in realtà molto più complessa di quanto venga generalmente presentata dagli attori ufficiali: “Si omette sempre di parlare della variabilità del Lago: a seconda dei periodi dell’anno, della pluviometria, delle piene, su lungo periodo. Ed esistono pochi dati recenti disponibili” sottolinea Jacques Lemoalle, specialista dell’idrologia del Lago Ciad.
Alla variabilità del lago le popolazioni si sono sapute adattare con altrettanta versatilità: “Capita che una stessa famiglia possa passare dalla pesca, all’agricoltura, all’allevamento” riferisce Audrey Mbagogo, dottoranda ciadiana, presentando le conclusioni della sua ricerca sulle popolazioni della sponda sudorientale del Lago. Particolarmente prospera è l’agricoltura ‘di piena’, ossia quella operata sulle terre umide che si scoprono quando si abbassa il livello dell’acqua.
Secondo gli studiosi sono due milioni le persone che dipendono direttamente del Lago, una cifra ben al di sotto dei 35 milioni generalmente citati quando si presentano le popolazioni “in pericolo” a causa della progressiva “scomparsa” del lago. Una cifra che prende in considerazione popolazioni che vivono in realtà a centinaia di chilometri, pertanto non coinvolti in prima persona nelle attività del lago.
“Cercare di far tornare il Lago al suo livello di riferimento degli anni ‘50, i 25.000 chilometri quadrati solitamente citati nei discorsi ufficiali, avrebbe numerose conseguenze, non tutte positive per gli equilibri attuali” ha ancora sottolineato Magrin. “Sembrerebbe possibile una mutazione nell’approccio da parte dei governanti. Ma far cambiare mentalità o idee sostenute per decenni dagli attori direttamente coinvolti è un processo lungo. Un primo passo è stato possibile al Forum per lo sviluppo sostenibile di N’Djamena organizzato di recente. Proprio in questo momento stiamo preparando una sintesi delle nostre osservazioni da presentare a governanti” hanno detto i ricercatori alla MISNA.
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isna - A sfatare il mito della ‘desertificazione del Lago’ sono stati tre ricercatori ospiti del Forum alternativo mondiale dell’acqua (Fame) in corso a Marsiglia. L’appuntamento è organizzato in parallelo con il Forum mondiale dell’acqua (Fma) attorno al quale da una settimana gravitano dirigenti statali, banchieri, operatori privati e qualche organizzazione non governativa. All’inizio della settimana, il presidente del Ciad Idriss Deby, insieme a rappresentanti dei governi della regione, aveva presentato con grande enfasi all’Fma un ‘libro bianco’ con 33 progetti per salvare il Lago – ancora tutti da finanziare – e ricevuto un caloroso appoggio della Francia.“I grandi progetti sono sempre molto interessanti per diversi attori: per i governi locali significano essere padroni del territorio. Interessano le aziende per la realizzazione, gli studiosi per le ricerche, i finanziatori per ovvi interessi economici. Senza contare gli interessi più oscuri, legati a possibili favori o tangenti che spesso accompagnano questo genere di contratti” ha detto Geraud Magrin, un geografo francese del Cirad (Centro di ricerca agronomica per lo sviluppo) specialista del Lago Ciad da una quindicina di anni. Il grande progetto di cui si parla già da decenni per il Lago Ciad è quello del trasferimento di acque dell’Oubangui, un fiume congolese. “Un progetto faraonico, irrealizzabile, che ha nutrito molti interessi ma che sembrerebbe finalmente accantonato”.
La questione del salvataggio del Lago è in realtà molto più complessa di quanto venga generalmente presentata dagli attori ufficiali: “Si omette sempre di parlare della variabilità del Lago: a seconda dei periodi dell’anno, della pluviometria, delle piene, su lungo periodo. Ed esistono pochi dati recenti disponibili” sottolinea Jacques Lemoalle, specialista dell’idrologia del Lago Ciad.
Alla variabilità del lago le popolazioni si sono sapute adattare con altrettanta versatilità: “Capita che una stessa famiglia possa passare dalla pesca, all’agricoltura, all’allevamento” riferisce Audrey Mbagogo, dottoranda ciadiana, presentando le conclusioni della sua ricerca sulle popolazioni della sponda sudorientale del Lago. Particolarmente prospera è l’agricoltura ‘di piena’, ossia quella operata sulle terre umide che si scoprono quando si abbassa il livello dell’acqua.
Secondo gli studiosi sono due milioni le persone che dipendono direttamente del Lago, una cifra ben al di sotto dei 35 milioni generalmente citati quando si presentano le popolazioni “in pericolo” a causa della progressiva “scomparsa” del lago. Una cifra che prende in considerazione popolazioni che vivono in realtà a centinaia di chilometri, pertanto non coinvolti in prima persona nelle attività del lago.
“Cercare di far tornare il Lago al suo livello di riferimento degli anni ‘50, i 25.000 chilometri quadrati solitamente citati nei discorsi ufficiali, avrebbe numerose conseguenze, non tutte positive per gli equilibri attuali” ha ancora sottolineato Magrin. “Sembrerebbe possibile una mutazione nell’approccio da parte dei governanti. Ma far cambiare mentalità o idee sostenute per decenni dagli attori direttamente coinvolti è un processo lungo. Un primo passo è stato possibile al Forum per lo sviluppo sostenibile di N’Djamena organizzato di recente. Proprio in questo momento stiamo preparando una sintesi delle nostre osservazioni da presentare a governanti” hanno detto i ricercatori alla MISNA.
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