Oggi, 2 marzo 2012, si tengono in Iran le elezioni parlamentari. Le urne iraniane sono piene di brutti ricordi. Il 2009, per le presidenziali, è rimasto impresso nella memoria di tutti come un segno nero sul calendario, sporco del sangue versato in quei giorni nei quali – come mai dalla rivoluzione del 1979 – il regime degli ayatollah tremò di fronte alla piazza furiosa.
E-ilmensile - La storia dell’epo
ca è nota: i candidati dell’opposizione, Mir Hussein Mousavi e Mehdi Karroubi, denunciarono brogli della conta delle schede che consegnò la vittoria al presidente Mahmud Ahmadinejad, il quale ottenne così un secondo mandato presidenziale. Da quel momento scoppiò l’inferno: la gente in strada, al grido Dov’è il mio voto?, la violenza brutale di polizia e milizie religiose, uccisioni, arresti e torture. Era febbraio, di nuovo la rabbia popolare esplose in ottobre, altre botte, altro sangue. Poi, come d’improvviso, quella rabbia si è spenta.
Proprio mentre nel resto del mondo islamico si viveva la più grande stagione di cambiamento dai tempi della Seconda Guerra mondiale, la cosiddetta primavera araba. L’Iran non è un Paese arabo, ma in tanti hanno visto negli strumenti di lotta di egiziani e tunisini, social network in testa, un modello mutuato dalla rivolta dei giovani iraniani del 2009. Che fine ha fatto quel movimento?
Tante le possibili interpretazioni. Secondo il Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, in un’intervista concessa a chi scrive, è stato decapitato con la violenza dal regime, per altri osservatori è invece in una fase d’attesa, ammutolito dalla enorme pressione internazionale sull’Iran, come se si aspettasse un cambiamento dall’esterno. In passato il nazionalismo, condiviso anche da coloro che vogliono un cambiamento, ma non certo sotto forma di un attacco militare israeliano o statunitense, ha finito per compattare anche posizioni distanti tra loro.
Per altri ancora, invece, l’attesa è riferita alla tensione interna. Quella che, da mesi, ha creato una distanza siderale tra la Guida Suprema ayatollah Khamenei e il presidente Ahmadinejad. Sostenitori dell’uno e dell’altro, alternativamente, sono stati arrestati con accuse che, in alcuni casi, hanno riguardato anche la stregoneria. Interpretazioni religiose si avvitano a considerazioni politiche, dipanandosi in visioni della gestione della crisi internazionale che il programma nucleare di Teheran ha generato. Khamenei pare stanco dell’integralismo (politico) di Ahmadinejad. La Guida Suprema, sul modello del vecchio Rafsanjani, ha sempre privilegiato una retorica pubblica inflessibile verso l’Occidente, a lauti affari con il ‘grande Satana’.
Oggi che la crisi economica strangola l’Iran e che le ultime sanzioni rischiano di far saltare l’equilibrio del Paese, con la pressione Usa in continuo aumento sugli Emirati Arabi Uniti, che per anni hanno permesso a Teheran di aggirare le sanzioni, la leadership iraniana teme la piazza, affamata di pane adesso oltre che di diritti. Non vogliono affondare sulla nave dell’inflessibilità di Ahmadinejad e della sua politica estera che ha portato il Paese a sostenere i gruppi sciiti in tutto il mondo arabo, generando una tensione senza precedenti con le petromonarchie (sunnite) del Golfo Persico.
Le elezioni parlamentari di oggi, 2 marzo 2012, sembrano annunciare una sorta di resa dei conti. Saranno 48 milioni gli iraniani chiamati alle urne per eleggere i 290 deputati che siederanno nel nuovo parlamento, al Majlis. I 3.444 candidati sono i superstiti delle ‘selezioni’ svolte dal Consiglio dei Guardiani, l’organo della Repubblica Islamica che ha il compito di esaminare l’idoneità degli aspiranti deputati secondo criteri di fedeltà alla costituzione, alla Guida Suprema e alla religione islamica. Epurati tutti o quasi i riformisti, resta da vedere quale maggioranza parlamentare emergerà dalle urne. In maggioranza, prevarranno i filo Khamenei o i filo Ahmadinejad?
Il dato è molto importante e non riguarda solo gli equilibri interni. A livello internazionale, infatti, la sensazione è che se dalle elezioni non emergerà una Mailjs ‘ragionevole’ sul nucleare, Israele potrebbe decidere di muoversi per bloccare – a modo suo – i reattori di Teheran. Con l’appoggio Usa e il sostegno delle monarchie sunnite, Arabia Saudita in testa. Un voto, in Iran, non è mai banale.
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ca è nota: i candidati dell’opposizione, Mir Hussein Mousavi e Mehdi Karroubi, denunciarono brogli della conta delle schede che consegnò la vittoria al presidente Mahmud Ahmadinejad, il quale ottenne così un secondo mandato presidenziale. Da quel momento scoppiò l’inferno: la gente in strada, al grido Dov’è il mio voto?, la violenza brutale di polizia e milizie religiose, uccisioni, arresti e torture. Era febbraio, di nuovo la rabbia popolare esplose in ottobre, altre botte, altro sangue. Poi, come d’improvviso, quella rabbia si è spenta.Proprio mentre nel resto del mondo islamico si viveva la più grande stagione di cambiamento dai tempi della Seconda Guerra mondiale, la cosiddetta primavera araba. L’Iran non è un Paese arabo, ma in tanti hanno visto negli strumenti di lotta di egiziani e tunisini, social network in testa, un modello mutuato dalla rivolta dei giovani iraniani del 2009. Che fine ha fatto quel movimento?
Tante le possibili interpretazioni. Secondo il Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, in un’intervista concessa a chi scrive, è stato decapitato con la violenza dal regime, per altri osservatori è invece in una fase d’attesa, ammutolito dalla enorme pressione internazionale sull’Iran, come se si aspettasse un cambiamento dall’esterno. In passato il nazionalismo, condiviso anche da coloro che vogliono un cambiamento, ma non certo sotto forma di un attacco militare israeliano o statunitense, ha finito per compattare anche posizioni distanti tra loro.
Per altri ancora, invece, l’attesa è riferita alla tensione interna. Quella che, da mesi, ha creato una distanza siderale tra la Guida Suprema ayatollah Khamenei e il presidente Ahmadinejad. Sostenitori dell’uno e dell’altro, alternativamente, sono stati arrestati con accuse che, in alcuni casi, hanno riguardato anche la stregoneria. Interpretazioni religiose si avvitano a considerazioni politiche, dipanandosi in visioni della gestione della crisi internazionale che il programma nucleare di Teheran ha generato. Khamenei pare stanco dell’integralismo (politico) di Ahmadinejad. La Guida Suprema, sul modello del vecchio Rafsanjani, ha sempre privilegiato una retorica pubblica inflessibile verso l’Occidente, a lauti affari con il ‘grande Satana’.
Oggi che la crisi economica strangola l’Iran e che le ultime sanzioni rischiano di far saltare l’equilibrio del Paese, con la pressione Usa in continuo aumento sugli Emirati Arabi Uniti, che per anni hanno permesso a Teheran di aggirare le sanzioni, la leadership iraniana teme la piazza, affamata di pane adesso oltre che di diritti. Non vogliono affondare sulla nave dell’inflessibilità di Ahmadinejad e della sua politica estera che ha portato il Paese a sostenere i gruppi sciiti in tutto il mondo arabo, generando una tensione senza precedenti con le petromonarchie (sunnite) del Golfo Persico.
Le elezioni parlamentari di oggi, 2 marzo 2012, sembrano annunciare una sorta di resa dei conti. Saranno 48 milioni gli iraniani chiamati alle urne per eleggere i 290 deputati che siederanno nel nuovo parlamento, al Majlis. I 3.444 candidati sono i superstiti delle ‘selezioni’ svolte dal Consiglio dei Guardiani, l’organo della Repubblica Islamica che ha il compito di esaminare l’idoneità degli aspiranti deputati secondo criteri di fedeltà alla costituzione, alla Guida Suprema e alla religione islamica. Epurati tutti o quasi i riformisti, resta da vedere quale maggioranza parlamentare emergerà dalle urne. In maggioranza, prevarranno i filo Khamenei o i filo Ahmadinejad?
Il dato è molto importante e non riguarda solo gli equilibri interni. A livello internazionale, infatti, la sensazione è che se dalle elezioni non emergerà una Mailjs ‘ragionevole’ sul nucleare, Israele potrebbe decidere di muoversi per bloccare – a modo suo – i reattori di Teheran. Con l’appoggio Usa e il sostegno delle monarchie sunnite, Arabia Saudita in testa. Un voto, in Iran, non è mai banale.
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