giovedì, febbraio 09, 2012
Continuiamo il ciclo delle testimonianze dall’Uruguay grazie alla penna del nostro corrispondente don Vincenzo Vigilante. E’ la volta di P. Ignacio Muñoz, diocesi di Mercedes, trentaquattro anni, sacerdote dal 2005, che tra qualche mese andrà a Roma per completare i suoi studi.

D - P. Ignacio, sei il sacerdote più giovane della diocesi di Mercedes: puoi raccontarci qualcosa della tua vocazione e del tuo ministero presbiterale?
R - Anzitutto, grazie per questa intervista e spero che essa arricchisca la riflessione con un punto di vista dal sud America. Io ricordo che come adolescente avevo una certa «inquietudine per le cose di Dio», ma non so se possiamo chiamarla «vocazione», magari era una «preparazione» che Dio faceva attraverso i gruppi e la vita comunitaria di una parrocchia a Mercedes, la città dove sono nato. Il discernimento vocazionale sul serio l’ho fatto mentre frequentavo la Facoltà di Diritto a Montevideo. Sono entrato in Seminario dove, per nove anni, ho maturato questa vocazione con l’aiuto dei superiori, dei compagni e della prassi pastorale di fine settimana. Sono stato ordinato diacono alla fine del 2004 e sacerdote nel 2005 e il mio vescovo mi ha inviato a collaborare con altri due sacerdoti nelle Parrocchie di Carmelo e Nueva Palmira. Nonostante le difficoltà, che non sono mancate in questi anni, posso dire che sono stato felice nella vita presbiterale. Essa si sviluppa nel quotidiano delle visite alle comunità di campagna per celebrare la Messa, dell’accompagnamento degli operatori pastorali (catechisti, animatori, guide dei gruppi biblici, ecc.) e dei gruppi diversi che rafforzano la loro fede sia nella stessa parrocchia sia in qualsiasi cappella della città o della campagna, della celebrazione dei sacramenti, della visita agli ammalati e della celebrazione della Messa.

D - Hai pubblicato un libro con la storia della diocesi di Mercedes in occasione dei 50 anni della diocesi stessa. Nell’ultima parte tenti di presentare – come tu dici – il panorama attuale della vita diocesana. Come la presenteresti ai lettori italiani?
R - Nella presentazione di questo libro Don Silvano Berlanda, sacerdote «fidei donum» da sessant’anni nell’Uruguay, dice che lui viene da una diocesi (Bergamo) che ha 1700 anni di storia e qualche santo, e credo che lì si trova una delle differenze più importanti. La mia Diocesi, come tutte le Diocesi del mio paese, sono chiese dell’ultima ora, come i lavoratori di cui ci parla il Vangelo. Noi non abbiamo una lunga storia da raccontare e nemmeno santi da elencare; ma quello che abbiamo vissuto ha dato molti frutti. La Diocesi più antica dell’Uruguay ha soltanto cent’anni di storia, ma la fede si è sviluppata in un modo proprio, diverso da altri luoghi. La separazione Chiesa-Stato fin dal principio del XX secolo ha segnato profondamente un particolare modo di vivere il rapporto di ambedue, che chiunque arriva qua senza un opportuno avvertimento può scambiare per un forte secolarismo. Ma riprendendo la tua domanda, mi sembrano quasi profetiche le parole del beato Giovanni XXIII nella bolla di nomina del primo vescovo della Diocesi: “Dio ha voluto affidarti un campo molto fertile affinché la Diocesi di Mercedes, sebbene recentemente iscritta fra le Chiese, non sia affatto inferiore a nessuna nella lotta per la virtù”. «Campo fertile»: queste sono le parole che definiscono la mia Diocesi. Ha un territorio piccolo ma fruttifero nel senso materiale ed anche spirituale che ha bisogno di un continuo lavoro e impegno. Dio ci ha benedetto con tutte le possibilità ma dobbiamo riconoscere che non sempre vengono utilizzate al massimo. La sfida è, dunque, produrre il meglio per lodare Dio con la nostra vita: questa è la nostra «lotta per la virtù».

D - Andrai in Italia per gli studi di Patristica. Un giovane che si occupa delle cose vecchie? A parte la battuta, parlaci di questa scelta, del tuo interesse per questi studi, ma anche dell’importanza per la vita della chiesa della conoscenza dei Padri.
R - Dice il Vangelo: «Ogni discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,53). La dinamica tensione-opposizione fra nuovo e antico non è per niente cosa nuova, è stata da sempre. La sfida, in questo caso, è che la storia ci aiuti per il presente e non ci ancori al passato in modo da non avanzare verso il futuro. I Santi Padri erano pastori e perciò ci possono aiutare a essere migliori pastori per la Chiesa di oggi; erano saggi e ci possono aiutare a rispondere con saggezza alla situazione attuale; erano uomini di fede e magari possono arricchire la nostra fede odierna; erano conoscitori del mistero di Cristo e ci possono guidare fino una più fruttifera celebrazione della liturgia che fa presente il mistero pasquale di Cristo risorto.

D - In Italia si conosce poco dell’Uruguay (a parte il calcio). Un uruguayano che conosce dell’Italia?
R - Per risponderti a questa domanda, dobbiamo parlare un’altra volta di storia, adesso della storia dell’Uruguay, perché per capire in che misura un uruguaiano conosce l’Italia non si può dimenticare che il nostro paese «è nato dalle navi», come si dice qui. Sebbene l’inizio della colonizzazione (XVII sec.) sia stato fatto dagli spagnoli, alla fine del XIX e all’inizio del XX sec. il paese ricevette molteplici ondate d’immigranti europei, soprattutto spagnoli e italiani. Siamo un paese di coniatura europea. La nostra gastronomia, la lingua, le abitudini, il pensiero, la cultura e perfino la nomenclatura delle nostre città sono molto europeizzate. Un uruguaiano conosce (di là del calcio, naturalmente) molte cose, magari scollegate fra loro. Conosciamo l’eredità romana, la musica classica e contemporanea, qualcosa della geografia, della politica e della gastronomia. Non pochi portano un cognome italiano o hanno un nonno italiano. Moltissimi parliamo la vostra lingua, perché abbiamo una «Scuola Italiana», molti sono iscritti a una «Società italiana di mutuo soccorso» e fino a qualche anno fa si imparava l’italiano nella scuola secondaria. Abbiamo dovuto imparare di più negli ultimi anni perché, sfortunatamente per noi, migliaia di giovani e professionisti uruguaiani hanno dovuto emigrare in Italia per lavoro. Conosciamo anche la generosità di molte chiese che ci hanno aiutato e ci aiutano tuttora, non soltanto con denaro ma anche inviandoci dei sacerdoti.

D - Per concludere: quali sono le aspettative per questa prossima esperienza.. e un saluto ai nostri lettori.
R - Al di là degli studi stessi come modo di arricchire la conoscenza della teologia e di servire meglio la Chiesa nell’Uruguay quando sarò tornato, io ho grande attesa per l’esperienza di Roma come città nella quale si respira l’aria della cattolicità della Chiesa nella sua più ampia espressione.
Ai lettori italiani di «la Perfetta Letizia» auguro che possano aprirsi all’esperienza di altre Chiese per arricchire la propria esperienza di fede, come l’Italia l’ha fatto altre volte nella sua storia. Li saluto da queste terre benedette da Dio mentre attendo di venire nelle vostre terre benedette dal sangue versato dei Santi Pietro e Paolo. Grazie.

Grazie a te P. Ignacio per questa condivisione. Ti auguriamo buon lavoro e a risentirci

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