giovedì, febbraio 02, 2012
Don Marco Bottoni, 32 anni, prete della diocesi di Lodi dal 2005, da poco più di tre mesi è a Cardona, diocesi di Mercedes, in Uruguay, con don Giancarlo Malcontenti, prete anche lui della diocesi di Lodi. I due si prendono cura anche di una parrocchia limitrofa (una trentina di chilometri da Cardona) della diocesi di San Josè de Mayo e aiutano anche la parrocchia di Nueva Helvecia, a una quarantina di km da Cardona. Il territorio della Parrocchia di Cardona è un triangolo con base 35 km e altezza 90.

del nostro corrispondente in Uruguay, don Vincenzo Vigilante

D - Marco, cosa manca a questa presentazione? Raccontaci qualcosa della tua esperienza di prete in Italia…
R - Sono stato ordinato nel 2005 e il Vescovo di allora mi aveva inviato in una grande parrocchia della nostra diocesi (7.300 abitanti) dove mi sono occupato – secondo la tradizione lombarda – di pastorale giovanile attraverso l’Oratorio e l’insegnamento della Religione Cattolica nella Secondaria di Primo grado (media). Chiaramente unito a tutto il lavoro parrocchiale: celebrazioni, visite agli anziani e ammalati, visita alle famiglie e tutto quanto é ormai consolidato nelle nostre terre...

D - Come nasce la “vocazione missionaria” e la disponibilità a partire "fidei donum"?
R- Fin dagli anni di seminario non ho escluso la possibilitá di essere sacerdote per un’altra Chiesa, magari lontana e bisognosa. Ricordo che spesso in Seminario venivano i missionari “in vacanza” e ci raccontavano la loro esperienza in terre lontane e ci invitavano a sentire l’appello di queste chiese lontane. Quando sono stato ordinato, sulla tradizionale immaginetta che avevo fatto stampare avevo posto – accanto ad una frase biblica – una frase del beato Giovanni Paolo II che inizia cosí: “Andate in tutto il mondo e portate la pace”. Era l’ultimo saluto del Papa ai giovani della Giornata Mondiale della Gioventú del 2000, l’avevo scelta soprattutto per il suo seguito: “Il Signore é vivo, il Signore é risorto, egli cammina con voi, siate suoi testimoni tra i vostri coetanei all’alba del nuovo millennio”. Peró ora assume un significato diverso anche la prima riga: “Andate”... Sentirsi parte di una chiesa “una”, come diciamo nel Credo, significa anche sentire l’appello a collaborare con altri popoli di altre terre, di altre culture, soprattutto quelle che hanno più bisogno di sacerdoti, perché anche lí possa risuonare l’annuncio di Gesú.

D - Sei dal 5 novembre qui in Uruguay. Raccontaci le tue prime impressioni, quali erano le aspettativa e cosa hai trovato, le prospettive pastorali…
R - Per otto dei miei dieci anni di Seminario é stato mio Direttore Spirituale un sacerdote che per piú di vent’anni era stato nella missione della nostra diocesi in Mexico. Questo ha chiaramente influenzato la mia disponibilitá per la missione e la mia preferenza per l’America Latina (che chiaramente non esclude altre possibilità). Si parla di questo continente come del continente della speranza, come di un continente giovane – a fronte della vecchia Europa – e carico di aspettative ed esperimenti fuori e dentro la Chiesa. Chiaramente é anche un continente ferito – nel caso dell’Uruguay dal secolarismo e dalla crisi di inizio millennio –e ció ha un po’ indebolito per lo meno la manifestazione di questa speranza. Spero di riuscire a lavorare con i ragazzi e i giovani, anche se i primi passi non sono stati facili, soprattutto non é facile incontrarli, parlare con loro e capire come offrire loro al meglio il messaggio del Vangelo.

D - Non possiamo chiudere senza invitarti a mandare un messaggio ai giovani preti e ai giovani delle nostre comunità...
R - Uno dei rischi della nostra Europa e quindi della nostra pastorale é quello di chiudersi nel rimpianto del passato e magari non accorgersi che sta nascendo un nuovo futuro per la nostra fede. Aprirsi alle altre Chiese, alle altre culture, imparare a ricevere oltre che a dare é sicuramente uno dei tratti piú caratterstici della giovinezza che puó aiutare tutta la Chiesa a non perdere la speranza e magari a trovare strade nuove per vivere la fede e testimoniarla nel nostro tempo, che non ha il coraggio di dirlo ma ha tanto bisogno di Dio.

Grazie don Marco, contiamo di risentirti tra qualche tempo per sapere come va l’avventura missionaria in terra uruguaiana.

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