venerdì, dicembre 02, 2011
La leggiadria delle contadine del mare vince sul business della cosmetica

di Paola Bisconti

Indossano dei kange colorati, danzano sinuosamente tra l’angani (il cielo) e l’ardhi (terra), muovendosi nel bahari (mare) e raccogliendo i doni di mungu (Dio). Sono le donne di Zanzibar, la terra dei neri, che dall’oceano attingono le alghe. Erri De Luca, con la poesia che lo contraddistingue, le ha definite “le mondine d’Africa”, per altri sono solo braccia e gambe forti per un lavoro duro e difficile come la raccolta delle piante del mare, indispensabile per la cosmesi. Parlano lo swahili e sorridono mentre lavorano, ignare di offrire il segreto della giovinezza a coloro che incrementano la vendita dei prodotti, e vivono incuranti di perdere la propria bellezza.

Eppure, tra la riva e la barriera corallina dell’Oceano Indiano appaiono anch’esse come gioielli rari, perle o coralli che si divincolano fra i paletti, intente ad appendere sui fili che li collegano l’uno dall’altro i pezzettini di alghe. Poi raccolgono sulle spalle i sacchi pieni dell’erba che trasportano sulla riva e, rastrellata sulle stuoie, la lasciano essiccare per un paio di giorni… finché l’acquirente provvede all’acquisto e all’esportazione di 2000 tonnellate annue, che producono un guadagno di 50.000 dollari.

Il tipo di coltivazione ha sostituito, nel 1989, quella dei chiodi di garofano, ma rimane una caratteristica dell’arcipelago vicino alle coste della Tanzania. I numerosi turisti della nota meta possono acquistare i prodotti derivanti dalla lavorazione del più antico organismo della terra direttamente dai numerosi banchetti che allestiscono i mercati dei villaggi: si tratta soprattutto di sapone per l’igiene personale o per la casa. Garantire un acquisto a km 0 sarebbe una vera fonte di ricchezza per le donne di Zanzibar, che vivrebbero dei benefici offerti dalla propria terra, senza essere vittime di alcun tipo di speculazioni.

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