sabato, luglio 02, 2011
È necessario progettare una nuova cultura politica, che risponda, contemporaneamente, alle aspirazioni più profonde dell'uomo e alle sfide decisive del nostro tempo.

di Salvatore Martinez

Già nella sua prima enciclica Deus caritas est, Benedetto XVI con esemplare lucidità ha affermato che la politica, in ogni ordinamento statale giusto, è servizio permanente d´amore: "Non c´è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell´amore. Chi vuole sbarazzarsi dell´amore si dispone a sbarazzarsi dell´uomo in quanto uomo" (n. 28). Il vuoto interiore delle coscienze di tanti uomini, la coscienza erronea di tanti cristiani impegnati in publice, determinano i vuoti insignificanti e deludenti della politica. Acton, Sturzo, Maritain hanno ben descritto questo primato dello spirito cristiano nel campo aperto e complesso della laicità e della modernità. Per un cristiano impegnato in politica, la laicità è lo spazio creativo di un amore compassionevole per questo nostro mondo, che va espatriando Dio dalla storia. Essere laici cristiani in politica significa vivere una vita paradossale, essere uomini di sofferenza a servizio del bene altrui, perché l´amore non è mai egolatrico ed è sempre crocifiggente. Scriveva don Sturzo: "La politica è un atto d´amore per la collettività. L´amore del prossimo in politica deve stare di casa e non deve essere escluso come un estraneo, perché l´amore è anzitutto giustizia ed equità; è anche uguaglianza, libertà, rispetto degli altrui diritti, esercizio del proprio dovere, tolleranza, sacrificio" (in Crociata d´amore).

Tra l´"essere cristiani in questo mondo" e "l´essere uomini di questo mondo" non potrà mai esserci coincidenza: ed ecco il permanente soffrire, il disagio della coerenza, come cifra irriducibile dell´autenticità della fede. Non c´è dubbio che la principale crisi della politica, oggi, sia legata al generale smarrimento dell´idealismo cristiano seguente al crollo delle ideologie atee che, sfidandolo, lo tenevano in vita aumentandone il portato spirituale e umanizzante.

Una grande tragedia del nostro tempo, che sottende alla cosiddetta "emergenza educativa", trova poi un paradigma dominante nella separazione dell´etica dalla metafisica, della etica dallo spirituale. Ne consegue il cambiamento della visione del reale, della percezione delle relazioni, con il risultato che si separa il senso morale dal valore dell´esistere, si perde la tensione verso le virtù, si smarrisce il senso del dovere e della fedeltà. Cosa è chiesto di fare, primariamente, ai laici cristiani? Proporre una nuova "etica delle virtù", perché il divario tra fede e pensiero, tra fede e vita non si allarghi ulteriormente. È singolare che l´assuefazione ai mali sociali si vada giustificando con l´idea che sia sinonimo di modernità, una vita pubblica moralmente inquinata.

La parola "cristiano" accostata a "politico", non indica l´idea di uno Stato confessionale, bensì un principio di moralità: la morale cristiana applicata alla vita pubblica del Paese. Dunque, in politica, mancano della vera nozione di moralità coloro che la concepiscono solo in modo puramente individuale e individualista, mentre essa ha sempre un carattere pubblico, collettivo, sociale. Senza un rimando alla morale religiosa, ai valori dello Spirito, la morale razionale rimarrà solo nell´ordine materiale, umano e presto scadrà nel calcolo, nel vantaggio immediato, nell´egoismo. In questo contesto s'inserisce la necessità di progettare una nuova cultura politica, che risponda, contemporaneamente, alle aspirazioni più profonde dell´uomo e alle sfide decisive del nostro tempo.

Una cultura che sia, innanzitutto, un´educazione permanente ai valori, in cui "famiglia, chiesa, lavoro" tornino ad interagire, a completarsi, a determinare autentici processi di redenzione umana. In politica, sentenziava don Sturzo, "bisogna ristabilire l´unione e la sintesi dell´umano e del cristiano".

Ai laici cristiani è chiesto, senza deroghe, di saper superare la frattura tra "Vangelo e vita", ricomponendo così quell´unità che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi. La fede non s´inventa, né si manipola e non è vera fede se non suscita profonde convinzioni con un contenuto pratico immediato, un bene di tutti, per tutti, che abbracci tutto l´uomo, che includa tutti gli uomini: ecco il "bene comune". Benedetto XVI, dopo il primo storico appello pronunciato a Cagliari (7 settembre 2008), nel quale chiedeva "di evangelizzare il mondo del lavoro, dell´economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati", così precisò il suo pensiero: "Ribadisco la necessità e l´urgenza della formazione evangelica e dell´accompagnamento pastorale di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica, che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune" (15 novembre 2008).

Il pontefice indica così i criteri metodologici, pedagogici e di discernimento per rispondere al suo pressante invito, reiterato ad Aquileia (il 7 maggio scorso) e ai vescovi d´Italia (Basilica S. Maria Maggiore, 26 maggio scorso). Serve una nuova "formazione evangelica"; non si legga "formazione politica". Perché ci sia "coerenza con la fede professata" e "rigore morale", urge ritornare al Vangelo. È il Vangelo la migliore scuola di laicità possibile per l´umanità, perché nessuno più di Gesù ha insegnato agli uomini l´arte di vivere, partendo dal posto più insignificante della geopolitica del tempo, una stalla di Nazareth, e occupando infine il posto più infame per la politica del tempo, cioè la croce, per dire con i fatti come si ama, come si sta dalla parte della gente fino a dare la vita per i propri nemici. Utopia?

Ma allora lasci perdere chi pensa di dirsi e darsi da cristiano come servitore degli uomini nella storia, in ogni suo ambito. Che ci si voglia assimilare al "cristianesimo dell´essere lievito" o al "cristianesimo dell´essere luce" non si può sfuggire alla prova del Vangelo. Il beato Giovanni Paolo II, con ferma lungimiranza sentenziava: "Non c´è soluzione alla questione sociale al di fuori del Vangelo" (in Centesimus Annus, n. 3).

Urge un rinnovamento, che abbia un segno distintivo di svolta, un´espressione autentica di fede in un gesto alla portata di tutti: riprendere il Vangelo tra le mani. Rimetterlo nel petto, nella testa, nella volontà!

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