del nostro Carlo Mafera
Gianni Del Bufalo, della fondazione “Il Faro”, organismo che si occupa dell’avviamento al lavoro dei ragazzi, ha diretto il 5° incontro della scuola di formazione socio-politica presso la parrocchia di Santa Maria della Speranza di Roma, affrontando l’8 aprile un tema di grandissima attualità: “Immigrazione, integrazione, cittadinanza”. Tali incontri, presentati dal prof. Andrea Farina, hanno avuto un successo inaspettato: la sala convegni era sempre gremita di gente, a riprova del grande interesse che rivestono questi temi, raccolti nel titolo “Buoni cristiani e onesti cittadini.”
“Cos’è la migrazione? – ha esordito Del Bufalo – Innanzitutto usciamo dal contingente: Libia, Lampedusa, ecc. C’è da dire che il fenomeno è universale nel tempo e nello spazio. E se non ci fosse stata la migrazione il mondo non sarebbe cresciuto economicamente e culturalmente”. “La migrazione – ha proseguito – è quindi un fenomeno sostanzialmente positivo. Ci sono due tipi fondamentali di migrazione: quella volontaria e quelle fatte per necessità. Molte persone migrano perché vogliono migliorare la propria condizione”. Le ibridazioni che ne conseguono sono sempre positive. Ma è anche vero che qualcuno percepisce le migrazioni come delle invasioni.
I termini con i quali sono definiti gli immigranti talvolta sono impropri e si caricano di valenze negativi: clandestini ed extra-comunitari per esempio. “Un tempo – ha detto Del Bufalo – c’erano solo i termini emigranti o immigranti che poi passavano dal participio presente al participio passato. Il termine “emigrato” nell’Unione Europea – ha precisato Del Bufalo – riguarda un soggetto che risiede in un territorio diverso da quello di appartenenza per più di tre mesi, non deve essere dell’UE e deve avere un permesso di soggiorno”.
“I motivi per i quali gli immigrati chiedono tale documento sono fondamentalmente lo studio, le cure mediche, il lavoro e la protezione internazionale (il cosiddetto asilo politico)”. Per chi chiede la protezione internazionale vi è una commissione che deve verificare se ne esistono i presupposti: “Le conseguenze e i possibili esiti sono sostanzialmente quattro: il rifiuto, l’esito positivo pieno (cioè l’accoglimento dell’asilo politico senza scadenza), il riconoscimento temporaneo di rifugiato e infine una protezione sussidiaria che scade dopo tre anni. L’ultimo motivo è quello per motivi umanitari a causa di catastrofi ecologiche e dura solo sei mesi.”
Ha collaborato con il relatore Samia Oursana, studentessa marocchina di nazionalità francese, esperta e laureanda in Cooperazione allo Sviluppo presso l’Università di Tor Vergata di Roma. Oursana ha sottolineato la difficoltà ad emigrare, non soltanto a motivo delle note modalità degli sbarchi ma soprattutto per l’influenza negativa dell’attività mediatica che non favorisce il processo di accoglienza e di integrazione e anzi alimenta la paura e il pregiudizio.
Le ha fatto eco Del Bufalo, che si è alternato con lei negli interventi. “I mass media italiani recentemente hanno ribadito ed enfatizzato le 5mila presenze a Lampedusa, ma nessuno ha ricordato che negli stessi giorni ben 150mila libici passavano in Tunisia. Così, allo stesso modo, nel 1991 decine di migliaia di albanesi sono arrivati in Puglia e non è successo niente”.
Ma tornando al titolo della conferenza “Immigrazione, integrazione e cittadinanza”, il relatore ha sottolineato l’importanza della gradualità di questi tre passaggi. “Nell’integrazione – ha spiegato Del Bufalo è insito il concetto di inculturazione che è il processo di compenetrazione tra due culture che vengono a contatto. L’acculturazione invece si verifica quando una cultura fagocita l’altra.”
“Quando ci si lascia ibridare, avviene l’integrazione. Quindi è un fenomeno naturale che non deve essere né perseguito né inibito.” Samia Oursana, da parte sua, ha ribadito la tesi di Del Bufalo sottolineando che, per raggiungere l’integrazione occorrono “dialogo, comprensione e ascolto”. Occorre altresì curare e migliorare l’aspetto legislativo. Infatti ha detto:” la legge Bossi-Fini è un cane che si morde la coda: se non hai un lavoro non puoi avere il permesso di soggiorno e non puoi avere il permesso di soggiorno se non hai un lavoro!”
Bisogna anche uscire dallo stereotipo del considerare l’immigrato solo come forza-lavoro e non invece come cittadino. E qui arriviamo finalmente al terzo punto del titolo della conferenza: la cittadinanza. Gianni Del Bufalo si è chiesto: “Cosa significa essere cittadino? Diventare cittadini significa acquisire la cultura di quel paese, e cioè conoscere la lingua, le usanze, le leggi, la storia e i valori.”
Samia Oursana a sua volta ha concluso mettendo in evidenza i problemi dell’essere cittadini per i figli degli immigrati nati in Italia (immigrati di seconda generazione) per i quali vale o dovrebbe valere lo ius soli. Ma devono stare attenti a farlo valere tra il compimento del 18° e del 19° anno di età, pena la decadenza del diritto e addirittura il rischio di espulsione! Ciò dimostra l’esigenza di un approccio legislativo, istituzionale e culturale completamente nuovo per il fenomeno dell’immigrazione, che è sostanzialmente positivo e che, oltretutto, aumenta del 10% il nostro PIL!
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