sabato, aprile 30, 2011
Per il ciclo di articoli che LPL dedica alla beatificazione di Giovanni Paolo II, frate Pietro della comunità di Meknes in Marocco ci parla della storica visita a Casablanca del papa polacco.

Quando Papa Giovanni Paolo II è venuto in Marocco, nell’agosto 1985, io ero ben lontano dall’immaginare che un giorno avrei preso lo stesso cammino. Di quella storica visita peró, anche dopo 20 anni, ho potuto constatare il segno profondo lasciato nel cuore di tanti marocchini, più o meno giovani, che ho incontrato nella mia esperienza in questo Paese a partire dal 2005. Appunto in quell’anno, il Papa prendeva il suo meritato riposo nelle braccia del suo Signore, che aveva tanto appassionatamente predicato nel mondo intero. Mi resta di quei giorni successivi alla sua morte un ricordo ben vivo, un continuo succedersi alla porta della nostra casa di vicini, alunni e professori del nostro Centro di formazione, di persone conosciute e sconosciute, tutti che venivano a presentare le loro condoglianze per quello che sentivano (e molti lo esprimevano cosí) come non solo il “capo” dei Cristiani, ma come anche un “padre spirituale” per loro, di cui sentivano già la mancanza. Indimenticabile poi la celebrazione tenuta alla locale parrocchia di Meknes, nel giorno dei funerali del Papa a Roma, in cui almeno la metà dell’assemblea era costituira da musulmani, venuti a pregare con i cristiani: momento di intensa comunione spirituale, di una fede che puó superare le barriere umane. La formula marocchina di rito per presentare le condoglianze è: baraka fi-raskum (trad. “la benedizione sulla vostra testa”): davvero l’impressione mia e degli altri frati in quei giorni era che il “bene-dire”, le parole di amicizia e di profondo rispetto di Giovanni Paolo II per l’Islam diventavano adesso benedizione che scendeva da Dio sulla testa e nei cuori di chi, musulmano o cristiano, cerca semplicemente di essere un credente, in Dio e nell’uomo.

Il discorso del Papa, davanti a 80000 giovani nello stadio di Casablanca, resta una pietra miliare nel dialogo islamo-cristiano; non a caso questa visita precede di un anno lo storico incontro di tutte le religioni a Assisi, nell’ottobre 1986. Va detto che l’iniziativa di quella visita venne all’allora re Hassan II (padre dell’attuale Mohammed VI) e che a quell’epoca le relazioni tra Occidente (= Cristianità?) e mondo arabo-musulmano erano assai diverse da quello che diventarono dopo l’11 settembre 2001: nel 1985 ci troviamo a 4 anni prima della caduta del muro di Berlino, l’Islam non era certo presente in maniera massiccia in Europa come lo è ora e soprattutto non era guardato come il “serbatoio” del terrorismo internazionale.

In Marocco successe un po’ il contrario di quello che accadde in uno dei primi viaggi di Papa Wojtyla, la visita alla Chiesa in Turchia nel 1979, un anno dopo la sua elezione. In Marocco la Chiesa locale fu quasi “presa di sopresa” e scavalcata dall’invito del re, che forse cercava soprattutto un successo diplomatico e d’immagine, ma che comunque è stato all’origine di un evento di portata certamente storica. Conosco diversi sacerdoti che erano presenti nella diocesi di Rabat in quell’anno e che hanno collaborato alla stesura del famoso discorso del Papa ai giovani; in quell’occasione, l’esperienza di una Chiesa che vive da decenni in un contesto islamico è stata preziosa per la formulazione di un discorso che evitasse frasi “fuori luogo”. Il Papa ha toccato diversi punti a lui cari e che sono delle costanti del suo magistero (ripresi poi anche da Benedetto XVI): la fede come dono per lo sviluppo integrale della persona umana e della società, il rispetto della dignità di ogni uomo e quindi della sua libertà di coscienza (prima di tutto religiosa), l’impegno comune per un mondo più giusto e umano.

Vorrei peró riprendere qui in particolar modo un passaggio finale del discorso, che mi sembra un contributo originale dell’esperienza della Chiesa che vive tra i Musulmani, laddove il Papa parla delle differenze: “La Chiesa cattolica guarda con rispetto e riconosce la qualità del vostro cammino religioso, la ricchezza della vostra tradizione spirituale. Anche noi cristiani siamo fieri della nostra tradizione religiosa. (…) La lealtà esige pure che riconosciamo e rispettiamo le nostre differenze. Evidentemente, quella più fondamentale è lo sguardo che posiamo sulla persona e sull’opera di Gesù di Nazaret. Voi sapete che, per i Cristiani, questo Gesù li fa entrare in un’intima conoscenza del mistero di Dio e in una comunione filiale con i suoi doni, tanto che lo riconoscono e lo proclamano Signore e Salvatore. Queste sono differenze importanti, che noi possiamo accettare con umiltà e rispetto, in una mutua tolleranza; in ciò vi è un mistero sul quale Dio ci illuminerà un giorno, ne sono certo". Mi sembra che questo sguardo sulla ricchezza spirituale delle diverse tradizioni religiose sia molto fecondo per un dialogo oggi. Davanti al mistero di Dio possiamo porci tutti con gratitudine, fierezza, umiltà e rispetto: gratitudine e fierezza per quello che mi è stato rivelato, umiltà e rispetto per quello che ancora non comprendo pienamente e in questo metterei senz’altro il fenomeno delle differenze tra le religioni. Come siamo lontani dalla “rabbia e orgoglio” di un’Oriana Fallaci, di cui non si discute la professionalità ma che, di fronte a un Islam che non comprendeva, non ha saputo trovare di meglio che parole di rigetto.

Del resto, mi piace concludere con le parole che chiudono il testamento spirituale di Christian de Chergé, martire della solidarietà con il popolo algerino fino al sangue. Parlando di quello che chiamava “il senso divino di ció che umanamente ci divide”, fr. Christian scriveva che nella sua morte, che sentiva prossima, “sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità. Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze”.

Le parole, certo, sono importanti; ma della visita di Giovanni Paolo II in Marocco resta soprattutto il ricordo di un gesto, quel gesto che lui era solito fare appena scendeva dalla scaletta dell’aereo in un Paese che visitava per la prima volta: chinarsi fino a terra e baciarla. L’immagine di un “capo della Cristianità” che bacia la terra dell’Islam, non per sottomissione, ma evidentemente con rispetto e, ancora di più, con amore, resta veramente scolpita nelle menti di tanti marocchini ancora oggi, ed è questa “icona” che esprime, più di tante parole, l’atteggiamento rivoluzionario di un credente, Karol Woityla, che ha saputo parlare al cuore di tutto il mondo.

Sono presenti 2 commenti

amina salina ha detto...

sono amina salina una sorella musulmana Grazie per questa testimonianza che fa onore a voi e a Woitila a cui anche noi abbiamo voluto bene ssalam

Fabio Gioffrè ha detto...

grazie a te Amina, il nostro amato Papa è stato l'esempio vivente di ciò che dovrebbe essere il mondo: pace tra gli uomini di tutte le religioni. Lui ci manca tanto... e manca tutto il mondo. ciao

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