Nello Yemen, il presidente Saleh ha rinunciato ufficialmente alla possibilità di estendere a vita il suo mandato.
Radio Vaticana - Tuttavia, l’opposizione non considera soddisfacente tale decisione e ieri ha organizzato una giornata di mobilitazione che ha visto la partecipazione di migliaia di persone in varie città del Paese. Dagli Stati Uniti è arrivato l’apprezzamento per la decisione del leader yemenita, al potere da oltre 30 anni, pensata per arginare le contestazioni di questi giorni sulla scia di quanto avvenuto in Egitto e Tunisia. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Maurizio Simoncelli di "Archivio disarmo": ascolta
R. – Considero la vicenda dello Yemen molto diversa sia da quella tunisina che da quella egiziana. Lo Yemen è uno dei Paesi più poveri del mondo, fortemente arretrato: per il prodotto interno lordo è al 173.mo posto a livello mondiale. Quasi la metà della popolazione vive sotto il livello di povertà e contemporaneamente le spese militari sono tra le più elevate: il 6,6 per cento del Prodotto nazionale lordo, ai primi posti a livello mondiale. Con 23 milioni di persone, una presenza di 800 mila rifugiati, per la maggior parte provenienti dalla Somalia, il quadro è estremamente preoccupante.
D. – A complicare le cose anche la presenza del terrorismo, la situazione interna complessa e una posizione geografica molto allettante...
R. – Lo Yemen si affaccia su uno stretto di mare - tra il Mar Rosso, il Golfo di Aden, lo stretto di mare di Bab el-Mandeb - dove passa il 40 per cento del petrolio mondiale: è un’area dal punto di vista geopolitico importantissima. Già da tempo c’è una guerriglia presente sia nel Nord che nel Sud di questo Paese; ci sono infiltrazioni terroristiche e ci sono stati attentati organizzati proprio in Yemen: ricordiamo lo scorso anno i pacchi bomba inviati agli Stati Uniti; un attentato ad un volo Amsterdam-New York, e così via. La situazione è molto delicata.
D. – Il presidente Saleh, di fatto al potere dal 1978, non lascerà fino al 2013, e questo non basta all’opposizione. Secondo lei si rischia la guerra civile?
R. – Una transizione rapida può porre fine ad eventuali manovre di destabilizzazione; trascinare nel lungo periodo un processo del genere può invece dar luogo veramente a situazioni di guerra civile e di terrorismo, più o meno diffuso, e così via.
D. – Intanto, il presidente degli Stati Uniti ha invitato Saleh a Washington...
R. – Questo probabilmente può aprire spazi interessanti nei rapporti tra mondo occidentale e mondo arabo. Il sostegno che tradizionalmente l’Occidente ha dato a questi regimi sembra stia venendo meno. Le posizioni di Obama sono estremamente avanzate per quello che si poteva immaginare fino a pochi anni fa, rispetto alla tradizionale linea degli Stati Uniti, e quindi probabilmente le pressioni che provengono dalla super potenza americana aiutano in questo senso, ancora di più, l’opposizione a tenere duro nella richiesta di un cambiamento.
D. – L’unica via, dunque, sembrerebbe quella proposta dall’opposizione: un immediato avvicendamento?
R. – E’ auspicabile al più presto un passaggio ad un sistema democratico che possa far crescere questo Paese che, altrimenti, si trova sempre più esposto alle influenze da un lato iraniane e dall’altro del caos del Corno d’Aftrica.(ap)
Radio Vaticana - Tuttavia, l’opposizione non considera soddisfacente tale decisione e ieri ha organizzato una giornata di mobilitazione che ha visto la partecipazione di migliaia di persone in varie città del Paese. Dagli Stati Uniti è arrivato l’apprezzamento per la decisione del leader yemenita, al potere da oltre 30 anni, pensata per arginare le contestazioni di questi giorni sulla scia di quanto avvenuto in Egitto e Tunisia. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Maurizio Simoncelli di "Archivio disarmo": ascoltaR. – Considero la vicenda dello Yemen molto diversa sia da quella tunisina che da quella egiziana. Lo Yemen è uno dei Paesi più poveri del mondo, fortemente arretrato: per il prodotto interno lordo è al 173.mo posto a livello mondiale. Quasi la metà della popolazione vive sotto il livello di povertà e contemporaneamente le spese militari sono tra le più elevate: il 6,6 per cento del Prodotto nazionale lordo, ai primi posti a livello mondiale. Con 23 milioni di persone, una presenza di 800 mila rifugiati, per la maggior parte provenienti dalla Somalia, il quadro è estremamente preoccupante.
D. – A complicare le cose anche la presenza del terrorismo, la situazione interna complessa e una posizione geografica molto allettante...
R. – Lo Yemen si affaccia su uno stretto di mare - tra il Mar Rosso, il Golfo di Aden, lo stretto di mare di Bab el-Mandeb - dove passa il 40 per cento del petrolio mondiale: è un’area dal punto di vista geopolitico importantissima. Già da tempo c’è una guerriglia presente sia nel Nord che nel Sud di questo Paese; ci sono infiltrazioni terroristiche e ci sono stati attentati organizzati proprio in Yemen: ricordiamo lo scorso anno i pacchi bomba inviati agli Stati Uniti; un attentato ad un volo Amsterdam-New York, e così via. La situazione è molto delicata.
D. – Il presidente Saleh, di fatto al potere dal 1978, non lascerà fino al 2013, e questo non basta all’opposizione. Secondo lei si rischia la guerra civile?
R. – Una transizione rapida può porre fine ad eventuali manovre di destabilizzazione; trascinare nel lungo periodo un processo del genere può invece dar luogo veramente a situazioni di guerra civile e di terrorismo, più o meno diffuso, e così via.
D. – Intanto, il presidente degli Stati Uniti ha invitato Saleh a Washington...
R. – Questo probabilmente può aprire spazi interessanti nei rapporti tra mondo occidentale e mondo arabo. Il sostegno che tradizionalmente l’Occidente ha dato a questi regimi sembra stia venendo meno. Le posizioni di Obama sono estremamente avanzate per quello che si poteva immaginare fino a pochi anni fa, rispetto alla tradizionale linea degli Stati Uniti, e quindi probabilmente le pressioni che provengono dalla super potenza americana aiutano in questo senso, ancora di più, l’opposizione a tenere duro nella richiesta di un cambiamento.
D. – L’unica via, dunque, sembrerebbe quella proposta dall’opposizione: un immediato avvicendamento?
R. – E’ auspicabile al più presto un passaggio ad un sistema democratico che possa far crescere questo Paese che, altrimenti, si trova sempre più esposto alle influenze da un lato iraniane e dall’altro del caos del Corno d’Aftrica.(ap)
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