L’unione cronisti siciliani ricorda il collega ucciso da Cosa nostra nel 1979. Trentadue anni fa la mafia uccideva a Palermo Mario Francese, giornalista del “Giornale di Sicilia”.
LiberaInformazione - Il collega viene ricordato oggi in una iniziativa organizzata dal Gruppo siciliano dell’Unione cronisti siciliani in viale Campania. E' prevista la partecipazione del vice-sindaco, dei vertici del giornalismo siciliano, del prefetto Giuseppe Caruso, del dirigente della Dia, del questore e dei comandanti dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, del Comando Regione militare, della polizia municipale e dei vigili del fuoco. Francese è uno degli otto giornalisti uccisi in Sicilia negli ultimi trent’anni per aver fatto pienamente il proprio lavoro: informare, raccontare quello che accade, senza cedimenti o ritirate.
Quando venne ucciso Francese, cronista del giornale di punta della città, la sera del 26 gennaio 1979, aveva appena posteggiato l'auto e stava per raggiungere il portone dello palazzo in cui abitava, dopo una giornata di lavoro. Come attestano le sentenze del processo, Francese fu ucciso dai killer del gruppo mafioso riconducibile ai “corleonesi”. Per l’assassinio furono condannati: Totò Riina, Leoluca Bagarella (che sarebbe stato l'esecutore materiale del delitto), Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano.
Il movente del delitto è stato ricondotto, nero su bianco, dai giudici di primo grado che scrissero la sentenza, allo «straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un'approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni '70». Sia la prima sentenza che l’appello hanno consentito di ricostruire la fitta attività giornalistica prodotta da Francese, le sue inchieste sugli affari mafiosi, in particolare quelli collegati alla costruzione della diga di Garcia e ancora le fitte relazioni tra gli ambienti mafiosi e il mondo dell’economia e degli appalti pubblici nella Sicilia occidentale.
Un giornalismo d’inchiesta quello di Francese ma che seppe guardare oltre. Primo fra tutti il cronista fu in grado di anticipare i disegni criminali dei “corleonesi” la loro scalata a Cosa nostra palermitana, la leadership incontrastata di Riina e Provenzano all’interno della “famiglia”. Gli anni in cui lavorò Francese furono “gli anni di fuoco” della mafia palermitana. E Francese raccontò questa “guerra di mafia” e l’attacco contro le istituzioni. A piccole e grandi dosi tutto il terreno che preparò i “corleonesi” allo scontro diretto negli anni delle “stragi” e dei delitti eccellenti.
Fra i tanti fatti di mafia, Francese seguì la strage di Ciaculli, il processo ai corleonesi del 1969 a Bari, l'omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. Non solo cronache giudiziarie, attente e scomode, ma anche alcuni inediti, capaci di rivelare subito che il giovane professionista aveva un talento raro. Francese fu l'unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella e a raccontare nelle sue inchieste quello che stava accadendo dentro Cosa nostra: spaccature e guerre sanguinarie. Francese, trentadue anni dopo, è un simbolo per le nuove generazioni di giornalisti.
E’ l’esempio di un cronista che consumava “le scarpe” per andare a verificare le notizie. Una attività oramai quasi scomparsa. Ma quel modello di giornalismo, più di altri, ha formato generazioni di giornalisti a Palermo e nella regione. Dopo il suo omicidio nel 1979, uno dei figli, Giuseppe, dedicò la sua vita alla ricostruzione dell’attività giornalistica del padre. A seguire i processi e tutti i suoi gradi di giudizio. Di lui hanno scritto: «Giuseppe, funzionario integerrimo, lavoratore solerte, creativo e al contempo scrittore brillante e versatile aveva il giornalismo nel sangue e lo dimostrò pubblicando negli anni una serie di articoli che non si occuparono soltanto della vicenda del padre ma che affrontarono altri casi relativi a delitti di mafia. Ma non c’è dubbio che Giuseppe dedicò tutte le sue energie e gran parte del suo tempo a ripercorrere la pista che lo avrebbe portato diritto agli assassini del padre» (Fondazione Francese).
Quando tutto finì, processi e sentenze definitive, Giuseppe a trentasei anni si suicidò nella sua casa di Palermo. Lirio Abbate nella giornata della Memoria 2010 in ricordo dei giornalisti uccisi dalle mafie e terrorismo, lo scorso 3 maggio ha affermato - «Sono nove, non otto, i giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia». Giuseppe è morto di stanchezza e di mafia. Perché Cosa nostra ha ucciso anche così i talenti migliori. I “giornalisti – giornalisti”.
A Bagheria (Pa) oggi apre i battenti un festival dedicato a questo impegno: “ComBag” una tre giorni dedicata alla comunicazione e all’informazione che coinvolgerà giovani, giornalisti e associazioni.
Leggi qui programma di Combag
Per saperne di più su Mario e Giuseppe Francese – www.fondazionefrancese.org
LiberaInformazione - Il collega viene ricordato oggi in una iniziativa organizzata dal Gruppo siciliano dell’Unione cronisti siciliani in viale Campania. E' prevista la partecipazione del vice-sindaco, dei vertici del giornalismo siciliano, del prefetto Giuseppe Caruso, del dirigente della Dia, del questore e dei comandanti dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, del Comando Regione militare, della polizia municipale e dei vigili del fuoco. Francese è uno degli otto giornalisti uccisi in Sicilia negli ultimi trent’anni per aver fatto pienamente il proprio lavoro: informare, raccontare quello che accade, senza cedimenti o ritirate.Quando venne ucciso Francese, cronista del giornale di punta della città, la sera del 26 gennaio 1979, aveva appena posteggiato l'auto e stava per raggiungere il portone dello palazzo in cui abitava, dopo una giornata di lavoro. Come attestano le sentenze del processo, Francese fu ucciso dai killer del gruppo mafioso riconducibile ai “corleonesi”. Per l’assassinio furono condannati: Totò Riina, Leoluca Bagarella (che sarebbe stato l'esecutore materiale del delitto), Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano.
Il movente del delitto è stato ricondotto, nero su bianco, dai giudici di primo grado che scrissero la sentenza, allo «straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un'approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni '70». Sia la prima sentenza che l’appello hanno consentito di ricostruire la fitta attività giornalistica prodotta da Francese, le sue inchieste sugli affari mafiosi, in particolare quelli collegati alla costruzione della diga di Garcia e ancora le fitte relazioni tra gli ambienti mafiosi e il mondo dell’economia e degli appalti pubblici nella Sicilia occidentale.
Un giornalismo d’inchiesta quello di Francese ma che seppe guardare oltre. Primo fra tutti il cronista fu in grado di anticipare i disegni criminali dei “corleonesi” la loro scalata a Cosa nostra palermitana, la leadership incontrastata di Riina e Provenzano all’interno della “famiglia”. Gli anni in cui lavorò Francese furono “gli anni di fuoco” della mafia palermitana. E Francese raccontò questa “guerra di mafia” e l’attacco contro le istituzioni. A piccole e grandi dosi tutto il terreno che preparò i “corleonesi” allo scontro diretto negli anni delle “stragi” e dei delitti eccellenti.
Fra i tanti fatti di mafia, Francese seguì la strage di Ciaculli, il processo ai corleonesi del 1969 a Bari, l'omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. Non solo cronache giudiziarie, attente e scomode, ma anche alcuni inediti, capaci di rivelare subito che il giovane professionista aveva un talento raro. Francese fu l'unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella e a raccontare nelle sue inchieste quello che stava accadendo dentro Cosa nostra: spaccature e guerre sanguinarie. Francese, trentadue anni dopo, è un simbolo per le nuove generazioni di giornalisti.
E’ l’esempio di un cronista che consumava “le scarpe” per andare a verificare le notizie. Una attività oramai quasi scomparsa. Ma quel modello di giornalismo, più di altri, ha formato generazioni di giornalisti a Palermo e nella regione. Dopo il suo omicidio nel 1979, uno dei figli, Giuseppe, dedicò la sua vita alla ricostruzione dell’attività giornalistica del padre. A seguire i processi e tutti i suoi gradi di giudizio. Di lui hanno scritto: «Giuseppe, funzionario integerrimo, lavoratore solerte, creativo e al contempo scrittore brillante e versatile aveva il giornalismo nel sangue e lo dimostrò pubblicando negli anni una serie di articoli che non si occuparono soltanto della vicenda del padre ma che affrontarono altri casi relativi a delitti di mafia. Ma non c’è dubbio che Giuseppe dedicò tutte le sue energie e gran parte del suo tempo a ripercorrere la pista che lo avrebbe portato diritto agli assassini del padre» (Fondazione Francese).
Quando tutto finì, processi e sentenze definitive, Giuseppe a trentasei anni si suicidò nella sua casa di Palermo. Lirio Abbate nella giornata della Memoria 2010 in ricordo dei giornalisti uccisi dalle mafie e terrorismo, lo scorso 3 maggio ha affermato - «Sono nove, non otto, i giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia». Giuseppe è morto di stanchezza e di mafia. Perché Cosa nostra ha ucciso anche così i talenti migliori. I “giornalisti – giornalisti”.
A Bagheria (Pa) oggi apre i battenti un festival dedicato a questo impegno: “ComBag” una tre giorni dedicata alla comunicazione e all’informazione che coinvolgerà giovani, giornalisti e associazioni.
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