“Il bene comune non è un prodotto delle nostre politiche, ma un obiettivo di umanizzazione comunitaria”. Lo ha detto mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, inaugurando oggi – come riferisce il Sir - l’anno accademico 2010 – 2011 dell’Università Europea di Roma.
Radio Vaticana - “La Chiesa – ha ricordato il presule soffermandosi sul rapporto tra giustizia, carità e bene comune, così come viene delineato nelle tre encicliche di Benedetto XVI - ritiene che se il bene comune non esprimesse una vita buona per l’intera comunità, una vita nel bene, ma dovesse invece esprimere una condizione di benessere esteriore ed individuale contrattato convenzionalmente, l’idea stessa del bene comune sarebbe perduta per sempre”. “Ciò che rende tale la persona non è ciò che essa produce, ma quanto essa riceve”, ammonisce il Papa nella “Caritas in veritate”: “Non siamo noi a poterci dare la nostra dignità né possiamo costruire la nostra fraternità. E senza di ciò non riusciamo nemmeno a costruire la nostra giustizia”. Nell’esperienza della carità, secondo mons. Crepaldi, “l’uomo comprende che egli è sempre di più di quanto egli stesso possa fare e che la società è sempre di più di quanto il mercato e la politica possano fare. Capisce che per vivere ha bisogno di qualcosa che egli non può darsi. Senza la carità il bene comune non si costruisce su rapporti di fraternità ma solo di vicinanza o di utilità”. “Se tutto è a disposizione la società diventa un mercato o un campo di battaglia”, ha ammonito il presule: “la Carità è la difesa della nostra libertà”, perché “rende possibili cose nuove, non prodotte ma frutto di dono e gratuità”, le quali a loro volta “rendono anche noi capaci di carità, ossia liberi dagli interessi e dai determinismi”. “Non è possibile la giustizia senza una concezione della dignità umana e non è possibile questa concezione senza l’esperienza del dono”, ha osservato mons. Crepaldi, ricordando che “una delle affermazioni principali” della “Caritas in veritate” è che “il dono e la gratuità devono entrare a far parte dell’attività economica fin dall’inizio per renderla giusta”. Per la mentalità corrente, invece, “l’ambito del gratuito, della reciprocità, della fraternità sarebbe un ambito che si aggiunge a quello economico della produzione di ricchezza”. Secondo questo schema, “l’economia sarebbe pienamente se stessa affidandosi alla logica della giustizia economica, diversa da quella del dono. Poi, una volta dispiegatasi e raggiunti i suoi fini naturali, essa lascerebbe posto al dono”. Ma la “Caritas in veritate” afferma che “non è vero che si possa produrre senza presupporre una dimensione di gratuità. Senza una quantità di beni immateriali non a carattere economico ma gratuito l’economia non funziona”, ha concluso il relatore.
Radio Vaticana - “La Chiesa – ha ricordato il presule soffermandosi sul rapporto tra giustizia, carità e bene comune, così come viene delineato nelle tre encicliche di Benedetto XVI - ritiene che se il bene comune non esprimesse una vita buona per l’intera comunità, una vita nel bene, ma dovesse invece esprimere una condizione di benessere esteriore ed individuale contrattato convenzionalmente, l’idea stessa del bene comune sarebbe perduta per sempre”. “Ciò che rende tale la persona non è ciò che essa produce, ma quanto essa riceve”, ammonisce il Papa nella “Caritas in veritate”: “Non siamo noi a poterci dare la nostra dignità né possiamo costruire la nostra fraternità. E senza di ciò non riusciamo nemmeno a costruire la nostra giustizia”. Nell’esperienza della carità, secondo mons. Crepaldi, “l’uomo comprende che egli è sempre di più di quanto egli stesso possa fare e che la società è sempre di più di quanto il mercato e la politica possano fare. Capisce che per vivere ha bisogno di qualcosa che egli non può darsi. Senza la carità il bene comune non si costruisce su rapporti di fraternità ma solo di vicinanza o di utilità”. “Se tutto è a disposizione la società diventa un mercato o un campo di battaglia”, ha ammonito il presule: “la Carità è la difesa della nostra libertà”, perché “rende possibili cose nuove, non prodotte ma frutto di dono e gratuità”, le quali a loro volta “rendono anche noi capaci di carità, ossia liberi dagli interessi e dai determinismi”. “Non è possibile la giustizia senza una concezione della dignità umana e non è possibile questa concezione senza l’esperienza del dono”, ha osservato mons. Crepaldi, ricordando che “una delle affermazioni principali” della “Caritas in veritate” è che “il dono e la gratuità devono entrare a far parte dell’attività economica fin dall’inizio per renderla giusta”. Per la mentalità corrente, invece, “l’ambito del gratuito, della reciprocità, della fraternità sarebbe un ambito che si aggiunge a quello economico della produzione di ricchezza”. Secondo questo schema, “l’economia sarebbe pienamente se stessa affidandosi alla logica della giustizia economica, diversa da quella del dono. Poi, una volta dispiegatasi e raggiunti i suoi fini naturali, essa lascerebbe posto al dono”. Ma la “Caritas in veritate” afferma che “non è vero che si possa produrre senza presupporre una dimensione di gratuità. Senza una quantità di beni immateriali non a carattere economico ma gratuito l’economia non funziona”, ha concluso il relatore.| Tweet |
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