Al vertice Nato di Lisbona si proporràdi parificare gli attacchi cibernetici a quelli armati. I Paesi membri sono pronti a emendare l'articolo 5 del Trattato
Peacereporter - "Il Cyber Spazio si è trasformato in un nuovo campo di battaglia e ha acquistato un'importanza simile a quella che hanno terra, mare e aria". Alla Nato sembrano aver tenuto in alta considerazione queste parole, pronunciate a settembre da Carroll Pollett, tenente dell'esercito Usa e direttore dell'Agenzia di Sistemi dell'informazione della Difesa. Tra i punti del nuovo concetto strategico che i Paesi membri dell'Organizzazione del Trattato Nordatlantico discuteranno, da venerdì prossimo, al ventiquattresimo summit Nato di Lisbona, ci sarà anche quello della cyber defence. L'inserimento del tema potrebbe non essere solo una dissertazione teorica visto e considerato che sono in molti, dentro e fuori l'organizzazione intergovernativa di difesa, a chiedere che gli attacchi informatici siano parificati a quelli armati. E gli attacchi armati contro una o più parti dell'Organizzazione, in Europa e nell'America settentrionale, vengono considerati, secondo l'articolo 5 del Trattato, un "attacco verso tutte" con la conseguenza che "se tale attacco - riporta l'articolo - dovesse verificarsi, ognuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall'articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate, intraprendendo immediatamente [...]l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'impiego della forza armata".
Il concetto è chiaro: se attaccano qualcuno dei membri, gli altri correranno in sua, o loro, difesa. Per rafforzare il pilastro della "sicurezza collettiva", ampliandolo agli attacchi cibernetici, i Paesi membri dovranno decidere di emendare il Trattato proprio all'articolo 5.
Nonostante la sua chiarezza, la disposizione non specifica cosa debba essere considerato attacco armato, lasciando agli Stati la discrezionalità di decidere, volta per volta, quali offensive considerare tali. Dall'anno della sua formulazione, il 1949, l'articolo 5 del Trattato del Nordatlantico, è stato invocato solo una volta: dopo gli attacchi sul World Trade Center, l'11 settembre del 2001. Quello che l'articolo 5 non prevede, perché sessantanni fa era imprevedibile, sono gli attacchi non armati e, nello specifico, quelli cibernetici. Attualmente le minacce più concrete di un cyber attacco riguardano gli Stati Uniti che, infatti, sono in prima fila nel gruppo di Paesi che si è detto favorevole a un allargamento dell'articolo 5. A settembre il governo di Washington ha sciolto la squadra operativa della rete globali del Dipartimento della Difesa, integrandolo nel nuovo Cybercomando governativo (Cybercom). La necessità è quella di prevenire attacchi come quello che la Russia, che non ha mai confermato, sferrò sull'Estonia il 18 maggio 2007 e che gettò nel caos uffici governativi, banche e mezzi d'informazione. Più recentemente, il 23 settembre scorso, Stuxnet, un malware (software maligno ndr), penetrò nei sistemi informatici iraniani facendo temere un attacco cibernetico da parte di qualche potenza nemica.
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