Il premier israeliano Netanyahu ha accettato la proposta trasmessa mesi fa dal mediatore tedesco di scarcerare un migliaio di palestinesi in cambio della liberazione del caporale Ghilad Shalit, da 4 anni prigioniero di Hamas a Gaza. Il movimento estremista che controlla la Striscia ha però parlato di un “tentativo di manipolazione dell'opinione pubblica” da parte di Israele. Ed i familiari del militare - che stanno marciando verso la residenza del premier a Gerusalemme, per far pressione sul governo - hanno manifestato aperta delusione.
RadioVaticana - Intanto a Parigi ieri si è svolta una riunione internazionale sugli aiuti alla popolazione palestinese, a tre anni dalla Conferenza del 2007, sempre nella capitale francese. Da Parigi, tra l’altro, è arrivata la richiesta a Israele – resa nota dall’ex premier britannico Blair – di finalizzare a breve una lista di prodotti che ancora non possono entrare a Gaza nonostante l’alleggerimento del blocco, proprio quando fonti di Ankara hanno confermato l'incontro tra il ministro del Commercio israeliano, Eliezer, e il ministro degli Esteri turco, Davutoglu, dopo le tensioni dei giorni scorsi tra lo Stato ebraico e la Turchia per il blitz israeliano alla flottiglia pro Gaza. In questo quadro, quale aiuto può dunque dare la comunità internazionale alla popolazione palestinese? Giada Aquilino lo ha chiesto a Vittorio Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano:
R. - Intanto c’è bisogno di aiuti materiali, di cui la popolazione palestinese ha una drammatica necessità, tanto più in questo momento di crisi economica. Credo però che l’aiuto più importante sia quello politico: la situazione della regione sta evolvendo negativamente, in maniera precipitosa, col rischio di un conflitto regionale. Credo che pure all’interno del governo israeliano e delle autorità politiche israeliane ci sia la consapevolezza che, se non si produce un salto di qualità, anche assumendosi qualche rischio in più, la situazione possa diventare difficile da contenere; le conseguenze potrebbero essere disastrose.
D. – Qual è il ruolo della Turchia?
R. - La Turchia sta facendo una politica nuova, nel senso che sta guardando al Medio Oriente come all’area principale del suo posizionamento politico futuro. Questo, chiaramente, produce delle conseguenze, sia in termini di tensione crescente tra Turchia e Stati Uniti e tra Turchia e gli altri Paesi della Nato, nel momento in cui questi Paesi e quest’organizzazione sono più coinvolti nelle politiche mediorientali, e sia in termini di riposizionamento nei confronti di Iran, Siria e Libano e complessivamente degli altri Paesi della regione.
RadioVaticana - Intanto a Parigi ieri si è svolta una riunione internazionale sugli aiuti alla popolazione palestinese, a tre anni dalla Conferenza del 2007, sempre nella capitale francese. Da Parigi, tra l’altro, è arrivata la richiesta a Israele – resa nota dall’ex premier britannico Blair – di finalizzare a breve una lista di prodotti che ancora non possono entrare a Gaza nonostante l’alleggerimento del blocco, proprio quando fonti di Ankara hanno confermato l'incontro tra il ministro del Commercio israeliano, Eliezer, e il ministro degli Esteri turco, Davutoglu, dopo le tensioni dei giorni scorsi tra lo Stato ebraico e la Turchia per il blitz israeliano alla flottiglia pro Gaza. In questo quadro, quale aiuto può dunque dare la comunità internazionale alla popolazione palestinese? Giada Aquilino lo ha chiesto a Vittorio Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano:R. - Intanto c’è bisogno di aiuti materiali, di cui la popolazione palestinese ha una drammatica necessità, tanto più in questo momento di crisi economica. Credo però che l’aiuto più importante sia quello politico: la situazione della regione sta evolvendo negativamente, in maniera precipitosa, col rischio di un conflitto regionale. Credo che pure all’interno del governo israeliano e delle autorità politiche israeliane ci sia la consapevolezza che, se non si produce un salto di qualità, anche assumendosi qualche rischio in più, la situazione possa diventare difficile da contenere; le conseguenze potrebbero essere disastrose.
D. – Qual è il ruolo della Turchia?
R. - La Turchia sta facendo una politica nuova, nel senso che sta guardando al Medio Oriente come all’area principale del suo posizionamento politico futuro. Questo, chiaramente, produce delle conseguenze, sia in termini di tensione crescente tra Turchia e Stati Uniti e tra Turchia e gli altri Paesi della Nato, nel momento in cui questi Paesi e quest’organizzazione sono più coinvolti nelle politiche mediorientali, e sia in termini di riposizionamento nei confronti di Iran, Siria e Libano e complessivamente degli altri Paesi della regione.
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