lunedì, giugno 07, 2010
del nostro corrispondente a Londra Renato Zilio

clinica vetrateSono entrato nella stanza a passo felpato. La osservo da lontano fissare intensamente la parete. Emma, girata completamente sul fianco, neanche risponde al mio entrare. La parete è interamente vetrata: il giardino e il laghetto con i suoi cigni bianchi sembrano entrare direttamente nella piccola stanza, insieme alla luce del tramonto. Sì, questo tramonto è la sua vita.
La chiamano la clinica della morte ed è tenuta da suore completamente vestite di bianco. Siamo all’estero. Come facciano a resistere in un luogo dove si viene solo per morire, per una settimana, due o tre al massimo, è la mia domanda interiore... Sono malati in fase terminale.“La preghiera - mi dice una di loro - è la nostra forza!” E sarà vero, visto che l’unica forza in una situazione così estrema non può venire che dall’alto.

A volte vedi passare il prete cattolico, a volte il pastore protestante. Ora, a fine pomeriggio qualcuno passa delicatamente per le stanze come al mattino per un dessert. In un immenso plateau il malato si vede offrire il dessert che preferisce in una scelta varia tra frutti esotici e delikatessen. Cosa vuol dire mai questo invito a gustare le cose del mondo nei propri ultimi istanti di vita? Così questo giardino delizioso si fa quasi invito a incamminarsi per un lunghissimo viaggio... Tutto qui parla di addio: tuttavia, si prende tutto il tempo per assaporare la vita che si spegne.
Le visite vengono in qualsiasi momento, discretamente, di giorno o di notte. “Lo sanno?” chiedo. Si, quasi tutti i malati lo sanno. A qualcuno la famiglia non ha saputo dirglielo, ciononostante dopo qualche giorno anche lui parte in punta di piedi, per una porta discreta dietro lo stabile.
Qui sembra quasi che la morte diventi banale. No, invece. Soffermandosi a guardare i ritmi e i volti pare che la vita venga esaltata alla sommità, come un dono prezioso senza pari. Anche una carezza o una mano posata su un corpo che muore si fa messaggio straordinario e meraviglioso. Ogni istante, ogni gesto qui ha un senso, un sapore speciale, può essere veramente l’ultimo.
Ed osservi con emozione il missionario curvo sul respiro ormai resosi difficile e affannoso ripetere all’orecchio di un malato insistentemente: “Abbi fiducia, prendi fiducia... fiducia, Antonio!” Partire in pace, riconciliati, è l’ultima frontiera importante da passare. E per un migrante la fiducia, dopo una lunga vita di lotta, è il vestito più bello per l’incontro con Dio.

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