domenica, maggio 09, 2010
«Se capissimo che Dio ci chiede soltanto di lasciarci amare, di dimorare in noi e di farci raggiungere dalla sua misericordia e tenerezza! è ovvio che l'amore ci cambia. Già lo fa l'amore di una persona, figuriamoci l'amore di Dio! Amare l'altro, chiunque esso sia, significa metterlo al centro della nostra attenzione e lasciare che la sua vita, i suoi interessi e il suo modo di essere venga rispettato, accolto e valorizzato. Così facendo il mondo, invece di essere un circuito di gente che si sbrana, diventa già adesso una particella di Gerusalemme celeste».

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i Padre Piotr Anzulewicz, OFMConv

Oggi ricordiamo, nei nostri cuori e nel mondo, tutte le madri. Non può essere soltanto una festa esteriore, ma l'espressione di gratitudine e ammirazione che ciascuno di noi prova verso la propria madre e verso quelle di tutto il mondo. Dovremmo soffermarci su cosa significhi per una donna portare per nove mesi una creatura nel proprio corpo e poi prendersene cura finché raggiunge l'autonomia come essere umano. E dovremmo anche pensare in modo alto: Dio ha riservato alla donna questo compito immane, difficile, sovente doloroso. Spesso misconosciuto dall'uomo nel suo vero valore esistenziale. La donna stessa, anche quando non è madre, da millenni è sottomessa all'uomo, e ancora adesso - nelle culture primitive soprattutto, ma non solo in quelle - a lei sono riservati i lavori più duri, nella casa, nei campi, nelle città. Lavori che arrivano a degradarla, a ridurla quasi ad un oggetto, uno strumento da sfruttare. Facciamo sì che, almeno nelle nostre comunità cristiane, la donna, madre e non, sia rispettata e onorata. E se anche madre, che sia riconosciuta come l'artefice indispensabile che Dio ha voluto per trasmettere e custodire la vita umana. Preghiamo la Madre divina che protegga, consoli e custodisca le madri e tutte le donne.

Un rinnovato augurio di una settimana serena feconda.

VI Domenica di Pasqua - Siamo ormai nel cuore del tempo pasquale: all'orizzonte già vediamo la Pentecoste.

Oggi la Parola ci invita a scavarci dentro e fare un angolo di verità sulla nostra vita. È molto chiara: non basta dirsi cristiani, dedicarsi a pratiche religiose, ritagliarsi qualche minuto di preghiera al giorno. Ci chiede di «dimorare» in Dio (Gv 14,23), «rimanere nel suo amore» (Gv 15, 9), custodire e vivere le sue parole, sperimentare la pace del cuore. Cristo, l’amore incarnato di Dio, ci prende sul serio: vuole discepoli innamorati, liberi e maturi, e per la prima volta rivendica per sé il sentimento più importante, totalizzante e dirompente dell’essere umano: l’amore. Con estrema delicatezza entra nella nostra parte più intima e profonda e tutto poggia sulla congiunzione «se». «Se»: un fondamento così umile e fragile, puro e libero. Nella frase: «Se mi ami, osserverai la mia parola» (cfr. Gv 14,23), non impartisce un ordine, non formula un comando, non ricorre all'imperativo, ma parla al futuro ed enuncia il rispetto di quel Dio che bussa alla porta del cuore e attende: «Se ami, farai». Noi avremmo detto: «Se osservi la mia parola arriverai ad amarmi», senza avvertire che questo modo di pensare capovolge il Vangelo, perché vede Dio come uno specchio su cui far rimbalzare i propri meriti, e lo coglie come un Dio della legge e non della grazia. Dio non si merita, si ospita.

Un proverbio medioevale afferma: «I giusti camminano, i sapienti corrono, gli innamorati volano». Chi ama o è amato capisce prima, di più e più a fondo, perché come dice Dante Alighieri (+1321), autore della Divina Commedia ha «intelletto d’amore», cioè l’intelligenza del cuore. L'amore mette una energia, una luce, una gioia in tutto ciò che fai, e ti pare di volare. La Parola di Dio non coincide con i comandamenti, è molto di più. Essa salva e consola, illumina e traccia la strada. Ci fa vivere, ci sprona e porta Dio in noi. Solo se la amiamo, si accende e soffia nelle vele. Solo se scopriamo la bellezza di Cristo, parte la spinta a vivere il suo Vangelo, perché la nostra vita avanza non per colpi di volontà, ma per la passione: quella che «foggia il volere e l’agire, conservando il suo nucleo di sentire, la sua anima percettiva, l’apertura al reale» (R. De Monticelli). E una passione quella di donarsi e unirsi eternamente, pienamente e radicalmente abita la storia di Dio e dell'umanità. Per millenni Dio che è amore/passione ha cercato un popolo e profeti di fuoco, re e mendicanti, e trovato una donna di Nazareth, Maria, si è unito e donato all’umanità. Ora sta a noi accoglierlo. Il suo nome è colui-che-viene, che ama la vicinanza, che abbrevia le distanze.

«Se uno mi ama il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23), dice Gesù. Cerca dimora presso di noi. Forse non troverà mai una vera dimora, ma solo un povero riparo, perché non abbiamo virtù né meriti. Comunque, una cosa ci chiede: essere una particella del cosmo ospitale. Se però non pensiamo a lui, se non lo ascoltiamo nel segreto, se non sostiamo dentro di noi nel silenzio, non siamo ancora sua dimora. Se nel nostro cuore non c'è una liturgia segreta e intima, tutte le altre liturgie, anche le più solenni e imponenti, sono bigottismo, ritualismo, cadavere e maschera del nulla. Custodiamo la liturgia del cuore e dimoriamo in Cristo, l’amore umanato di Dio. L'essere nel cuore di qualcuno, essere apprezzato e stimato per quello che si è in profondità, non per quello che si appare o si costruisce, l'essere prezioso nella memoria di qualcuno, essere avvolto da una tenerezza che fa dimenticare il dolore, questo e solo questo è il nostro destino.

Amare e sentirsi amati è una della aspirazioni più profonde, importanti ed urgenti nella vita di ogni essere umano. Il contrario è sempre motivo di un forte malessere che spesso degenera in depressione, solitudine e abbandono. È lui l'unica risposta alla nostra sete che sostanzialmente è sete di questo infinito amore. L'amore che egli ci ha donato è il massimo che si potesse desiderare e sperare. Egli, come Figlio di Dio, identificandosi con noi nella stessa natura e donandoci la sua vita, ci ha immersi nel cuore stesso di Dio. Comprendiamo allora l'accorato appello che rivolge a tutti noi: «Dimorate nel mio amore», e sentiamo anche l'immensità e la perfezione di quell'amore/donazione assoluta e fondante: «Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi». Dalla consapevolezza di essere amati e dalla certezza di essere noi capaci di amare sgorga la sua pace nel nostro cuore: «Vi do la mia pace» (Gv 14,27). Quanto rammarico nel costatare che spesse volte disertiamo l'amore e spegniamo la pace, con le nostre chiusure e infedeltà, gelosie e invidie, protagonismi e virate fuori rotta.

Teniamoci forte. L'unico problema è dimorare nel circuito del suo amore, con fedeltà e costanza, sempre e comunque, quando c'è contrarietà, quando esplode la gioia, quando le realtà si annebbiano, quando tutto sembra contrario a lui, quando lui sembra andato via, quando gli altri se ne vanno.

Se capissimo che Dio ci chiede soltanto di lasciarci amare, di dimorare in noi e di farci raggiungere dalla sua misericordia e tenerezza! è ovvio che l'amore ci cambia. Già lo fa l'amore di una persona, figuriamoci l'amore di Dio! Amare l'altro, chiunque esso sia, significa metterlo al centro della nostra attenzione e lasciare che la sua vita, i suoi interessi e il suo modo di essere venga rispettato, accolto e valorizzato. Così facendo il mondo, invece di essere un circuito di gente che si sbrana, diventa già adesso una particella di Gerusalemme celeste. Essere cristiani significa guardare l'altro negli occhi e dirgli: «Non sono d'accordo su come la pensi e su cosa fai, ma ti voglio bene». E il sentirsi amati sposta il mondo. O la nostra comunità, nella coscienza dei propri limiti, si lascia avvincere dall'amore di Dio e diventa testimone di questo amore, o rimane maschera del vuoto. Se il nostro cuore non brucerà d'amore, il mondo morirà di freddo. I precetti dati da Gesù ai suoi discepoli sono tanti, ma il suo comandamento specifico, che li contiene tutti, è uno solo: l’amore tra i suoi discepoli.

Solo chi si percepisce amato e si impegna ad amare, cioè a donarsi all’altro e ad accettare il suo dono, conosce la pace e la irradia. Se vuoi la vera pace, fonda la tua vita sull'amore di Dio per te e sull’impegno a vivere la sua volontà che ti chiede di amare tutti, senza esclusioni e limiti. «Quando capiamo che Dio ci ama, e che ama persino il più abbandonato degli esseri umani scrisse frére Roger Louis Schultz (2005), monaco svizzero e fondatore della comunità ecumenica internazionale di Taizé, il nostro cuore si apre agli altri e diveniamo più attenti alla dignità della persona umana». La presenza di Dio è un soffio diffuso in tutto l'universo, un influsso d'amore, una irradiazione di luce e di pace sulla terra. Animati da questo soffio, siamo spinti a vivere la comunione con gli altri.

La parola di Gesù è una bussola per orientarsi nella vita, per scegliere la felicità, per non lasciarsi ingannare dalle false promesse del mondo. Lui conosce come nessun altro il nostro cuore e sa che abbiamo bisogno di parole che non ci marciscano addosso, ci nutrano, illuminino i passi più bui della nostra vita, facciano risuonare a lungo le ore più belle della nostra storia. La parola di Gesù è un invito, sta a me raccoglierlo. Lui non si è mai imposto, ma sempre ha aperto una possibilità, offerto un senso, dischiuso un cammino, acceso una luce. Tutto questo ci ricorda lo Spirito Santo, dono suo.

Apriamoci a lui, abbandoniamoci nelle sue mani e il nostro cuore non sarà «turbato» né avrà «timore» (cfr. Gv 14, 27).


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