venerdì, aprile 30, 2010
La storia di un uomo in salute che ha iniziato ad assumere medicine per prevenire il rischio futuro d’infarto scritto nel Dna. Si riapre il dibattito sulla medicina predittiva. Intanto le tecniche si perfezionano. I costi si abbassano. E le applicazioni reali si avvicinano.

OggiScienza - Stephen Quake ha 40 anni, vive in California ed è professore di bioingegneria alla Stanford School of Medicine. Non fuma, non è sovrappeso e non ha particolari problemi di salute. Tuttavia, negli ultimi anni a Stephen capitava sempre più spesso di pensare a ciò che il destino avesse in riserbo per lui. E ora finalmente crede di saperlo. Si è sottoposto a un test genetico che gli ha rivelato la sua “carta di rischio”, una sorta di profilo molto dettagliato che tiene conto del Dna e combina questi dati con l’età, le abitudini di vita, la storia personale e familiare in modo da calcolare con una precisione finora utopistica il rischio di sviluppare determinate malattie più in là con gli anni.

La buona notizia per Stephen è stata che il suo rischio di Alzheimer è inferiore al previsto. La cattiva che ha una probabilità superiore di cancro, obesità, diabete e coronaropatia. La peggiore: ha una mutazione genetica rara legata al pericolo di morte cardiaca improvvisa. Ora Stephen si sta curando con farmaci anticolesterolo, le statine, per prevenire l’infarto che nel futuro potrebbe stroncare il suo cuore. Non solo. Ha scoperto in che modo il suo organismo metabolizza i farmaci, per cui i medici hanno stabilito dosaggi e tempi di somministrazione che fanno esattamente al caso suo. Tutto questo avendo un cuore, al momento, di ferro. I suoi colleghi della Stanford University che hanno scandagliato il codice genetico hanno commentato la storia di Stephen (descritta sulla prestigiosa rivista The Lancet) con queste pompose parole: “Siamo all’alba di una nuova era della genomica”.

Si riapre un tema caldo degli ultimi 10 anni, a partire dal sequenziamento del genoma umano. Non è certo la prima persona disposta a pagare profumatamente per leggere il futuro. La tentazione è vecchia come il mondo (non è un caso che sia pieno di gente che si affidi a tarocchi, maghi e fattucchiere). Nel gran bazar di Internet si vendono esami del Dna in tutte le salse: dalla paternità fino alle malattie più rare. “Ma il responso di questi esami fai-da-te vale né più né meno di un oroscopo”, mette in guardia Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Tor Vergata. “Forniscono dati che servono solo ad alimentare ansie inutili e false aspettative. Che significato ha un rischio del 30% più alto di sviluppare la depressione o l’obesità? Sono numeri privi di significato”.

Nel caso descritto su Lancet la metodica è stata completamente diversa. I ricercatori hanno svolto una approfondita anamnesi pre-test sul soggetto, scandagliato la sua storia familiare (riscontrando casi di parenti colpiti da malattie cardiovascolari), quindi eseguito test mirati che sono stati inquadrati successivamente nel contesto ambientale, tenendo conto di alimentazione, abitudini, attività fisica. “A differenza delle malattie genetiche, come la fibrosi cistica, che sono associate alla mutazione di un singolo gene, la maggior parte delle patologie come il tumore, il Parkinson o il diabete è il risultato della complessa combinazione tra fattori ambientali e genetici, che agiscono in sintonia e si condizionano a vicenda negli effetti che producono sull’individuo”, prosegue Novelli. “Solo un esame approfondito può avere affidabilità e quindi una effettiva utilità clinica”

Finora, insomma, i test completi del Dna sono stati poco più che uno sfizio per pochi. Ma le cose cominciano a cambiare. In primis, perché i costi stanno scendendo. Stephen ha pagato 50 mila dollari (circa 32 mila euro) per la “diagnosi precoce”. È ancora una cifra esorbitante ma è molto inferiore rispetto a qualche anno fa e tra alcuni anni potrebbe scendere ulteriormente alla portata di molti. Si aprono interrogativi etici enormi: per esempio se sia giusto curare una persona sana per una malattia che non ha e forse nemmeno mai svilupperà.

Tuttavia, come spesso succede, i tempi corrono più in fretta. All’orizzonte si scorgono già applicazioni concrete per la pratica clinica. “Ci sono geni che controllano la risposta ad alcuni farmaci, per esempio gli anticoagulanti in cui il dosaggio è un fattore cruciale per la stessa sopravvivenza dei pazienti. Se la dose è troppo bassa, c’è il rischio di trombi, se è troppo alta di emorragie cerebrali. Un test genetico può definire la dosa giusta. A mio parere il futuro della medicina predittiva va in questa direzione: cure personalizzate a un livello mai visto prima”, conclude Novelli.


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