E' la quinta domenica di Quaresima: ci sia pressante invito a non giudicare, ma a guardare nel profondo di noi stessi ed accogliere lo sguardo intenso di Cristo. V domenica di Quaresima.
«È questa la novità assoluta, preannunciata dal profeta Isaia e portata da Gesù: riconoscere che nessuno è senza peccato e ognuno, però, può non peccare più. Gesù sa bene che facciamo fatica ad andargli dietro, a seguirlo e che vivrà da solo la sua agonia nell'Orto degli Ulivi e la crocifissione sul Golgota, luogo di umiliazione, di spogliazione e di annientamento. Solo, come lo è sovente la donna nella sua umanità». «Abbiamo fame di perdono ancora più che di pane» - scrisse François Charles Mauriac (+1970), scrittore e giornalista francese. È così, perché il perdono può trasformare una relazione di chiusura e di morte in una relazione di rinascita e riabilitazione. Ne troviamo diversi esempi nella letteratura, come ne Les misérables di Victor Hugo (+1885), scrittore, poeta e drammaturgo francese, dove il gesto di amore di mons. Myrel, vescovo di Digne, un uomo pio e giusto della Chiesa, dall’eccezionale altruismo, riuscirà a trasformare in galeotto redento Jean Valjean, un giovane che aveva conosciuto soltanto la severità della legge e la cattiveria degli uomini; e nella realtà, quando Giovanni Paolo II che - dopo essere stato ferito da Mehmet Alì Agca il 13 maggio1981 con due colpi di pistola - non solo lo perdona, ma arriva perfino a chiamarlo “fratello”.
L’esperienza di ogni giorno ci mostra che, se un dono vero è difficile da realizzare, il perdono lo è ancora di più. Come mai? Perché non siamo capaci, proprio noi, di perdonare chi ci ha offeso? Perché abbiamo tanta difficoltà a chiedere perdono a colui che abbiamo deriso? Perché l’essere che riteniamo di amare di più è anche colui al quale si perdona di meno? Perché? Semplicemente perché il perdono è una forma particolarissima di dono: è un dono al di là del dono, un «dono che si realizza al grado supremo della sua gratuità» (J.-G. Ranquet), un dono supremo, un dono perfetto.
Lo è per eccellenza - per noi - il Signore Gesù Cristo, lui, l’amore umanato del Padre dei cieli e della terra, l’«incipit» del nostro itinerario di fede, di speranza e di amore, perché, come dice uno splendido testo gnostico, il Cristo ripete a noi: «Io divenni piccolo perché attraverso la mia piccolezza potessi portarvi in alto donde siete caduti. Io vi porterò sulle mie spalle» (Interpretazione della gnosi XI 10,27-34).
Tutta la sua vita non è altro che un appassionato raccontarci di suo Padre, che egli rivela come nostro Padre (cfr. Mt 6,9), tenero e misericordioso, e ognuno di noi è come un figlio unico disegnato sulle palme delle sue mani (cfr. Is 49,16) e carezzato nel suo cuore da sempre. Il suo amore è senza perché, a fondo perduto, incondizionato, gratuito. La sua tenerezza è la felicità del figlio prodigo, dell’adultera, di ogni essere umano. È l’annunzio bello di un progetto d’amore che ci ha preceduti e di due braccia che ci attendono.
Purtroppo, tanti, come ci dice s. Giovanni, non lo hanno accolto, preferendo le tenebre. Ciascuno di noi può riconoscersi tra coloro che pur avendolo accolto in sé, qualche volta gli hanno opposto un freddo e orgoglioso “no!”. Tuttavia, Gesù, nonostante la nostra infedeltà e la fragilità peccatrice, intercalata da momentanee accoglienze, ci assicura che «a quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).
La Quaresima sta per finire e si avvia verso la santa settimana della passione, morte e risurrezione di Gesù. Più volte, in questo tempo, siamo stati esortati alla conversione del nostro cuore, eppure ognuno di noi si scopre ancora tanto simile a se stesso... Dopo il brano di un «ritorno», quello del figlio prodigo, la liturgia ci fa vivere un «incontro» straordinario, commovente e drammatico.
Gesù, il grandissimo Gesù, non si lascia ingabbiare negli schemi dei suoi rivali, scribi e farisei. Li chiama in causa e restituisce loro la patata bollente. Si china e inizia a «scrivere con il dito per terra», cioè tra i morti, in silenzio, come farà durante la passione davanti a personaggi come Pilato ed Erode. È un gesto simbolico che richiama l'aspra denuncia del profeta Geremia: «Hanno abbandonato la fonte d'acqua viva e saranno scritti nella terra» (Ger 17,13). Sì, per Gesù quelli che custodiscono sentimenti di morte sono già morti.
Alla loro insistenza dà una risposta che è come una spada che si conficca nella profondità della coscienza e colpisce implacabilmente tutte le miserie e le ipocrisie che vi si annidano: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Lui, l'unico che non ha peccato, non scaglia la pietra. è nella stessa posizione in cui è caduta, prima usata (magari stuprata) e poi gettata, coperta di vergogna, impaurita e strattonata dai suoi accusatori. La chiama «donna», un titolo che dà anche a sua madre, durante le nozze di Cana e sotto la croce, quando le affida il giovane apostolo Giovanni. Chino accanto a lei, per poter essere vicino alla sua miseria, dice: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Neanch’io ti condanno; va' e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,10-11). Le sue parole sono come un raggio di sole che arriva nell'oscurità.
Non solo la rispetta, ma la riabilita alla sua dignità perduta. Non la scusa, non la giustifica, non chiude gli occhi davanti alla verità, non crea imbarazzo, ma semplicemente perdona. E perdono, chi l'ha provato lo sa, è riabilitazione, rinascita a vita nuova, possibilità di essere diversi per iniziare un cammino nuovo. Gesù - assolvendola - cancella definitivamente il suo passato e le consegna un futuro intatto ed illibato.
È questa la novità assoluta, preannunciata dal profeta Isaia e portata da Gesù: riconoscere che nessuno è senza peccato e ognuno, però, può non peccare più. Gesù sa bene che facciamo fatica ad andargli dietro, a seguirlo e che vivrà da solo la sua agonia nell'Orto degli Ulivi e la crocifissione sul Golgota, luogo di umiliazione, spogliazione e annientamento. Solo, come lo è sovente la donna nella sua umanità. Quante ragazze (a volte bambine) europee e africane vengono portate in Italia con l'inganno e poi costrette a subire prima lo stupro dei padroni e poi l'umiliazione della prostituzione, in stato di schiavitù. Sono oltre 100 000 queste schiave - aveva detto il carissimo don Benzi, che tante energie e cuore aveva profuso per salvarle dalla strada.
Il tema del peccato è di casa in Quaresima, almeno tra i cristiani. Non lo è per il mondo e la cultura in cui viviamo, anche se il senso del male, della colpa, del rimorso, non può non essere un problema per ogni anima sensibile.
Oggi l'episodio dell'adultera ci pone in modo emblematico di fronte al peccato come è visto e come è risolto da Dio. Questo ci aiuterà a coglierne il vero senso e la sua più vera gravità, e ad evitare di ricercare al di fuori del rapporto con Dio soluzioni e rimedi che alla fine, non toccando la nostra più profonda radice e identità, non giungono a pacificare il cuore e a ridonare piena salvezza.
E' soltanto davanti a Dio che l'uomo può essere giudicato nella sua più profonda coscienza. E' davanti a lui solo, e in vista del rapporto con lui, che uno può essere valutato come uomo riuscito o meno. Il suo perdono non è una sorta di indulgenza accordata a fior di labbra. È una forza di ri-creazione di una libertà morta, cioè la creazione tutta nuova di noi stessi, il flusso di una vita nuova che desidera essere formata, plasmata, illuminata. Anche se non può cancellare la realtà di una colpa, il perdono è già l’annunciatore di un rinnovamento e di una primavera.
A proposito, verrebbe da dire a coloro che si trasformano in pietre viventi - soprattutto in questo momento, usando ipocritamente e falsamente l'argomento pedofilia - che un giorno, quando la vita chiederà loro il conto, la Chiesa, contro cui hanno imparato il gioco crudele del lancio, li accoglierà, li abbraccerà, li perdonerà. Essa, sputacchiata, derisa ed accusata, continua a dire a tutti coloro che glielo chiedono: «Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Sebbene giudichi e condanni duramente il peccato e richiami con fermezza il peccatore che ha commesso anche orrendi delitti, come la pedofilia, non chiude e non chiuderà mai le porte della sua misericordia a nessuno. Ci confortano le parole di Gesù: «Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18).
Sono tanti anni che sono sacerdote e ho vissuto in scuole e collegi, ma non ho mai trovato un collega pedofilo. Siamo lontani anni luce da quell'immondo fenomeno ritenuto molto diffuso anche tra i preti, come vogliono farci credere col continuo battage di tv e giornali in questi giorni. Ho incontrato invece tanti sacerdoti e religiosi che hanno dato la vita perché i bambini avessero la vita e morissero da principi. La pedofilia è una malattia/perversione diffusa in ogni strato sociale. Negli Stati Uniti, ad esempio, vi sono stati 100 casi tra gli ecclesiastici e migliaia, invece, tra gli insegnanti delle scuole laiche. E sappiamo anche che questo dramma è presente in molte famiglie, ma resta sommerso e non viene denunciato. Se Cristo non è più il cuore della vita, qualunque perversione è possibile. L’unica difesa che abbiamo sono i nostri occhi innamorati di Cristo e pronti a difendere, salvare e recuperare le vittime di questa perversione, ammoniti dalle sue parole, le più terribili che egli abbia pronunciato nella sua vita terrena: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina al collo e venga gettato in mare» (Mc 9,42).
La relazione con Cristo è questione d'amore. E' la risposta d'amore ad un amore che ci precede, ci crea, ci cerca per una comunione di vita addirittura divina, fino a divenire parte di Casa Trinità, simili a lui. Il peccato è il rifiuto di questo amore, per trovare sicurezza in altri amanti. E purtroppo questo è di tutti. Da Adamo in poi ogni uomo è tentato di passare sotto le bandiere di quel primo ribelle, con tutte le conseguenze connesse: «Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini è entrata anche la morte, poiché tutti hanno peccato» (Rm 5,12). Questo fatto ci rende tutti alla pari, meschini e bisognosi di una salvezza che non può più venire da noi. Solo da Dio si può sperare un rimedio e una salvezza.
Certo, la misericordia di Dio non è indifferenza di fronte al peccato. Esso è sempre infrazione di una legge, rottura di rapporti sociali e fraterni, errore e diminuzione di qualcosa di sé, offesa e rifiuto di Dio. La sua misericordia è donata per rinnovare un’anima, riavviarla al bene e alla rettitudine, radicata su un amore che è gratuito e fedele. Il peccato è perdonato, perché la misericordia precede il peccato e lo attende per avvolgerlo di una manifestazione più gratuita e più grande ancora d'amore, che è il perdono. O felix culpa, è stato scritto, perché dice sant’Ambrogio (+ 397), vescovo e scrittore non ci avrebbe giovato to nulla essere stati creati se ci fosse mancata la grazia di essere redenti!
Il silenzio e l'umiltà della peccatrice esprimono la sua disponibilità alla conversione e la stima per quell'amore gratuito che l'ha investita. Il pentimento è condizione indispensabile affinché la misericordia di Dio possa entrare in noi e rifarci il cuore. E' la grazia della liberazione e della riconciliazione, nel sacramento affidato da Gesù alla sua Chiesa. E' impegno nostro che si deve rinnovare, soprattutto in vista della Pasqua. Il sacramento è il misericordioso e tenero gesto di Cristo che si prolunga fino a noi oggi, per toccarci e rinnovarci. Ci ridona pace interiore e serenità di fronte a Dio, e ci fa alzare il capo anche davanti agli uomini, perché li sappiamo tutti bisognosi come noi del medesimo perdono.
La nostra breve, intensa preghiera:
Gesù, Figlio del Padre dei cieli e della terra, guardaci negli occhi, perdonaci e salvaci. Amen
«È questa la novità assoluta, preannunciata dal profeta Isaia e portata da Gesù: riconoscere che nessuno è senza peccato e ognuno, però, può non peccare più. Gesù sa bene che facciamo fatica ad andargli dietro, a seguirlo e che vivrà da solo la sua agonia nell'Orto degli Ulivi e la crocifissione sul Golgota, luogo di umiliazione, di spogliazione e di annientamento. Solo, come lo è sovente la donna nella sua umanità». «Abbiamo fame di perdono ancora più che di pane» - scrisse François Charles Mauriac (+1970), scrittore e giornalista francese. È così, perché il perdono può trasformare una relazione di chiusura e di morte in una relazione di rinascita e riabilitazione. Ne troviamo diversi esempi nella letteratura, come ne Les misérables di Victor Hugo (+1885), scrittore, poeta e drammaturgo francese, dove il gesto di amore di mons. Myrel, vescovo di Digne, un uomo pio e giusto della Chiesa, dall’eccezionale altruismo, riuscirà a trasformare in galeotto redento Jean Valjean, un giovane che aveva conosciuto soltanto la severità della legge e la cattiveria degli uomini; e nella realtà, quando Giovanni Paolo II che - dopo essere stato ferito da Mehmet Alì Agca il 13 maggio1981 con due colpi di pistola - non solo lo perdona, ma arriva perfino a chiamarlo “fratello”.
L’esperienza di ogni giorno ci mostra che, se un dono vero è difficile da realizzare, il perdono lo è ancora di più. Come mai? Perché non siamo capaci, proprio noi, di perdonare chi ci ha offeso? Perché abbiamo tanta difficoltà a chiedere perdono a colui che abbiamo deriso? Perché l’essere che riteniamo di amare di più è anche colui al quale si perdona di meno? Perché? Semplicemente perché il perdono è una forma particolarissima di dono: è un dono al di là del dono, un «dono che si realizza al grado supremo della sua gratuità» (J.-G. Ranquet), un dono supremo, un dono perfetto.
Lo è per eccellenza - per noi - il Signore Gesù Cristo, lui, l’amore umanato del Padre dei cieli e della terra, l’«incipit» del nostro itinerario di fede, di speranza e di amore, perché, come dice uno splendido testo gnostico, il Cristo ripete a noi: «Io divenni piccolo perché attraverso la mia piccolezza potessi portarvi in alto donde siete caduti. Io vi porterò sulle mie spalle» (Interpretazione della gnosi XI 10,27-34).
Tutta la sua vita non è altro che un appassionato raccontarci di suo Padre, che egli rivela come nostro Padre (cfr. Mt 6,9), tenero e misericordioso, e ognuno di noi è come un figlio unico disegnato sulle palme delle sue mani (cfr. Is 49,16) e carezzato nel suo cuore da sempre. Il suo amore è senza perché, a fondo perduto, incondizionato, gratuito. La sua tenerezza è la felicità del figlio prodigo, dell’adultera, di ogni essere umano. È l’annunzio bello di un progetto d’amore che ci ha preceduti e di due braccia che ci attendono.
Purtroppo, tanti, come ci dice s. Giovanni, non lo hanno accolto, preferendo le tenebre. Ciascuno di noi può riconoscersi tra coloro che pur avendolo accolto in sé, qualche volta gli hanno opposto un freddo e orgoglioso “no!”. Tuttavia, Gesù, nonostante la nostra infedeltà e la fragilità peccatrice, intercalata da momentanee accoglienze, ci assicura che «a quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).
La Quaresima sta per finire e si avvia verso la santa settimana della passione, morte e risurrezione di Gesù. Più volte, in questo tempo, siamo stati esortati alla conversione del nostro cuore, eppure ognuno di noi si scopre ancora tanto simile a se stesso... Dopo il brano di un «ritorno», quello del figlio prodigo, la liturgia ci fa vivere un «incontro» straordinario, commovente e drammatico.
Gesù, il grandissimo Gesù, non si lascia ingabbiare negli schemi dei suoi rivali, scribi e farisei. Li chiama in causa e restituisce loro la patata bollente. Si china e inizia a «scrivere con il dito per terra», cioè tra i morti, in silenzio, come farà durante la passione davanti a personaggi come Pilato ed Erode. È un gesto simbolico che richiama l'aspra denuncia del profeta Geremia: «Hanno abbandonato la fonte d'acqua viva e saranno scritti nella terra» (Ger 17,13). Sì, per Gesù quelli che custodiscono sentimenti di morte sono già morti.
Alla loro insistenza dà una risposta che è come una spada che si conficca nella profondità della coscienza e colpisce implacabilmente tutte le miserie e le ipocrisie che vi si annidano: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Lui, l'unico che non ha peccato, non scaglia la pietra. è nella stessa posizione in cui è caduta, prima usata (magari stuprata) e poi gettata, coperta di vergogna, impaurita e strattonata dai suoi accusatori. La chiama «donna», un titolo che dà anche a sua madre, durante le nozze di Cana e sotto la croce, quando le affida il giovane apostolo Giovanni. Chino accanto a lei, per poter essere vicino alla sua miseria, dice: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Neanch’io ti condanno; va' e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,10-11). Le sue parole sono come un raggio di sole che arriva nell'oscurità.
Non solo la rispetta, ma la riabilita alla sua dignità perduta. Non la scusa, non la giustifica, non chiude gli occhi davanti alla verità, non crea imbarazzo, ma semplicemente perdona. E perdono, chi l'ha provato lo sa, è riabilitazione, rinascita a vita nuova, possibilità di essere diversi per iniziare un cammino nuovo. Gesù - assolvendola - cancella definitivamente il suo passato e le consegna un futuro intatto ed illibato.
È questa la novità assoluta, preannunciata dal profeta Isaia e portata da Gesù: riconoscere che nessuno è senza peccato e ognuno, però, può non peccare più. Gesù sa bene che facciamo fatica ad andargli dietro, a seguirlo e che vivrà da solo la sua agonia nell'Orto degli Ulivi e la crocifissione sul Golgota, luogo di umiliazione, spogliazione e annientamento. Solo, come lo è sovente la donna nella sua umanità. Quante ragazze (a volte bambine) europee e africane vengono portate in Italia con l'inganno e poi costrette a subire prima lo stupro dei padroni e poi l'umiliazione della prostituzione, in stato di schiavitù. Sono oltre 100 000 queste schiave - aveva detto il carissimo don Benzi, che tante energie e cuore aveva profuso per salvarle dalla strada.
Il tema del peccato è di casa in Quaresima, almeno tra i cristiani. Non lo è per il mondo e la cultura in cui viviamo, anche se il senso del male, della colpa, del rimorso, non può non essere un problema per ogni anima sensibile.
Oggi l'episodio dell'adultera ci pone in modo emblematico di fronte al peccato come è visto e come è risolto da Dio. Questo ci aiuterà a coglierne il vero senso e la sua più vera gravità, e ad evitare di ricercare al di fuori del rapporto con Dio soluzioni e rimedi che alla fine, non toccando la nostra più profonda radice e identità, non giungono a pacificare il cuore e a ridonare piena salvezza.
E' soltanto davanti a Dio che l'uomo può essere giudicato nella sua più profonda coscienza. E' davanti a lui solo, e in vista del rapporto con lui, che uno può essere valutato come uomo riuscito o meno. Il suo perdono non è una sorta di indulgenza accordata a fior di labbra. È una forza di ri-creazione di una libertà morta, cioè la creazione tutta nuova di noi stessi, il flusso di una vita nuova che desidera essere formata, plasmata, illuminata. Anche se non può cancellare la realtà di una colpa, il perdono è già l’annunciatore di un rinnovamento e di una primavera.
A proposito, verrebbe da dire a coloro che si trasformano in pietre viventi - soprattutto in questo momento, usando ipocritamente e falsamente l'argomento pedofilia - che un giorno, quando la vita chiederà loro il conto, la Chiesa, contro cui hanno imparato il gioco crudele del lancio, li accoglierà, li abbraccerà, li perdonerà. Essa, sputacchiata, derisa ed accusata, continua a dire a tutti coloro che glielo chiedono: «Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Sebbene giudichi e condanni duramente il peccato e richiami con fermezza il peccatore che ha commesso anche orrendi delitti, come la pedofilia, non chiude e non chiuderà mai le porte della sua misericordia a nessuno. Ci confortano le parole di Gesù: «Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18).
Sono tanti anni che sono sacerdote e ho vissuto in scuole e collegi, ma non ho mai trovato un collega pedofilo. Siamo lontani anni luce da quell'immondo fenomeno ritenuto molto diffuso anche tra i preti, come vogliono farci credere col continuo battage di tv e giornali in questi giorni. Ho incontrato invece tanti sacerdoti e religiosi che hanno dato la vita perché i bambini avessero la vita e morissero da principi. La pedofilia è una malattia/perversione diffusa in ogni strato sociale. Negli Stati Uniti, ad esempio, vi sono stati 100 casi tra gli ecclesiastici e migliaia, invece, tra gli insegnanti delle scuole laiche. E sappiamo anche che questo dramma è presente in molte famiglie, ma resta sommerso e non viene denunciato. Se Cristo non è più il cuore della vita, qualunque perversione è possibile. L’unica difesa che abbiamo sono i nostri occhi innamorati di Cristo e pronti a difendere, salvare e recuperare le vittime di questa perversione, ammoniti dalle sue parole, le più terribili che egli abbia pronunciato nella sua vita terrena: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina al collo e venga gettato in mare» (Mc 9,42).
La relazione con Cristo è questione d'amore. E' la risposta d'amore ad un amore che ci precede, ci crea, ci cerca per una comunione di vita addirittura divina, fino a divenire parte di Casa Trinità, simili a lui. Il peccato è il rifiuto di questo amore, per trovare sicurezza in altri amanti. E purtroppo questo è di tutti. Da Adamo in poi ogni uomo è tentato di passare sotto le bandiere di quel primo ribelle, con tutte le conseguenze connesse: «Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini è entrata anche la morte, poiché tutti hanno peccato» (Rm 5,12). Questo fatto ci rende tutti alla pari, meschini e bisognosi di una salvezza che non può più venire da noi. Solo da Dio si può sperare un rimedio e una salvezza.
Certo, la misericordia di Dio non è indifferenza di fronte al peccato. Esso è sempre infrazione di una legge, rottura di rapporti sociali e fraterni, errore e diminuzione di qualcosa di sé, offesa e rifiuto di Dio. La sua misericordia è donata per rinnovare un’anima, riavviarla al bene e alla rettitudine, radicata su un amore che è gratuito e fedele. Il peccato è perdonato, perché la misericordia precede il peccato e lo attende per avvolgerlo di una manifestazione più gratuita e più grande ancora d'amore, che è il perdono. O felix culpa, è stato scritto, perché dice sant’Ambrogio (+ 397), vescovo e scrittore non ci avrebbe giovato to nulla essere stati creati se ci fosse mancata la grazia di essere redenti!
Il silenzio e l'umiltà della peccatrice esprimono la sua disponibilità alla conversione e la stima per quell'amore gratuito che l'ha investita. Il pentimento è condizione indispensabile affinché la misericordia di Dio possa entrare in noi e rifarci il cuore. E' la grazia della liberazione e della riconciliazione, nel sacramento affidato da Gesù alla sua Chiesa. E' impegno nostro che si deve rinnovare, soprattutto in vista della Pasqua. Il sacramento è il misericordioso e tenero gesto di Cristo che si prolunga fino a noi oggi, per toccarci e rinnovarci. Ci ridona pace interiore e serenità di fronte a Dio, e ci fa alzare il capo anche davanti agli uomini, perché li sappiamo tutti bisognosi come noi del medesimo perdono.
La nostra breve, intensa preghiera:
Gesù, Figlio del Padre dei cieli e della terra, guardaci negli occhi, perdonaci e salvaci. Amen
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