lunedì, marzo 22, 2010
In Caucaso perdura l'instabilità, tra uccisioni di qaedisti e repressione del dissenso. Con l'uccisione di sei miliziani qaedisti si riapre in Russia una ferita che non ha mai smesso di sanguinare.

PeaceReporter - In seguito all'operazione militare dei giorni scorsi nel distretto di Vedeno, area montagnosa della repubblica cecena, hanno perso la vita anche tre poliziotti. Il leader del gruppo jihadista ucciso, Abu Haled, è stato indicato dal presidente ceceno Ramzan Kadyrov come il responsabile degli attacchi terroristici che hanno sconvolto la regione caucasica negli ultimi anni. Esattamente undici mesi fa la Commissione nazionale antiterrorismo russa aveva ufficialmente decretato per la Cecenia la fine dello status di regione sottoposta ad un regime di operazioni anti-terrorismo. Uno status durato dieci anni. Nell'occasione, Kadyrov aveva salutato la decisione dichiarando che "le finalità delle operazioni di contrasto al terrore sono state pienamente raggiunte. E' una grande gioia, per i russi e per i ceceni".
La verità è che la Cecenia è solo apparentemente pacificata. Dopo aver soffocato nel sangue le spinte nazionaliste e indipendentiste, sia in Cecenia che altrove nel Caucaso settentrionale, l'uomo forte di Mosca non è riuscito a rendere stabile la regione. Nella grave crisi economica e sociale che stringe il Paese, l'Islam fondamentalista continua a trovare alleati in chi protesta contro l'autoritarismo. Sono ancora frequenti gli attacchi contro le forze di occupazione (oltre 20 mila militari russi, metà del contingente, dovrebbero lasciare il Paese entro settembre di quest'anno), così come gli episodi di corruzione, la mafia e gli abusi degli amministratori locali, i rapimenti, le faide interne, i regolamenti di conti tra fazioni pro e anti Kadyrov, che spesso sfociano in esecuzioni anche all'estero, come accadde per gli omicidi di due dissenzienti ceceni a Dubai e in Austria nel 2009. Eppure, Kadyrov continua a parlare di "prosperità", "stabilità" e "felicità del popolo ceceno".

Grozny è stata ricostruita, ma la sbandierata stabilità è un mito creato ad arte, in Cecenia come in Russia, dai media. La ribellione non è terminata, ma continua sotto la superficie, si riversa nelle confinanti repubbliche del Daghestan, dell'Inguscezia, del Tatarstan, fino a spingersi nelle province russe. Tale 'stabilità' è la stabilità della tirannia. Oggi nessuno osa opporsi agli abusi delle autorità, perché ogni tentativo di ottenere giustizia è frustrato dalle conseguenze in cui potrebbe incorrere, sia lui che i suoi familiari: rapimenti, persecuzioni e torture sono ancora l'unica lingua conosciuta da poliziotti e paramilitari.

di Luca Galassi


Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa