mercoledì, marzo 03, 2010
Quando parliamo di una governance mondiale per riconvertire l'economia verso la sostenibilità ambientale e sociale, non lo facciamo per chissà quale utopistica visione del mondo, ma perché questa consentirebbe di guidare una serie di oggettive buone pratiche già in essere, anche in Italia, che diversamente resterebbero puntiformi e dunque non funzionali se non marginalmente a una vera green economy.

di Alessandro Fan

GreenReport - Sempre che questo sia effettivamente l'orizzonte a cui tutti quelli che ne parlano vogliono arrivare. Pur in assenza di una vera politica industriale, infatti, il nostro Paese vede realtà come Fiat già leader indiscussa delle auto a emissioni ridotte; la Ferrari che, in spregio degli esteti, si dipinge di verde e lancia il modello ibrido; Scavolini che con il progetto Green Mind utilizza solo energia rinnovabile e ha migliorato nettamente il suo processo produttivo; la nuova fabbrica di pannelli fotovoltaici made in Italy Ferrania di cui parliamo anche in un altro pezzo del giornale; le tante iniziative che comuni piccoli e grandi, province, regioni cercano di portare avanti sempre sulle energie rinnovabili, sul risparmio energetico, ma anche sulla mobilità sostenibile, sulla corretta gestione integrata dei rifiuti, sull'educazione a diversi modelli di consumo. Stessa cosa si può dire a livello almeno europeo, ma nel mondo greenreport testimonia spesso di quello che nonostante la crisi ma anche a causa di essa si sta facendo. Certo qualcosa è solo greenwasching, ma quando mai nella storia si è assistito a qualcosa di simile?

Quello che però potrebbe frustrare tutto questo movimento - seppur a livelli diversi che è bene non sovrapporre - è la mancanza di un governo mondiale appunto che indirizzi gli Stati verso un'unica direzione. Non un pensiero unico, ma una condivisa idea di sviluppo sostenibile senza se e senza ma che individui regole comuni da rispettare e che ponga fine all'idea di crescita in spregio delle risorse del pianeta. Una crescita che invece dovrebbe riguardare soprattutto alcuni settori chiave come quelli della ricerca, della conoscenza e della cultura, che si è scoperto quest'ultima finalmente (Repubblica di oggi) migliorare l'evoluzione dell'uomo, oltre a dare punti di Pil (Ocse Pisa), e dando così "futuro" alle nuove generazioni alle quali è stato scippato ingiustamente e in modo truffaldino dalla gran parte di quelle che le hanno precedute.

Difficile a dirsi, purtroppo, e ancor più difficile a farsi, perché non c'è traccia ancora di una reale volontà di andare verso questa direzione. Troppi ancora gli interessi per mantenere lo status quo e troppo alta, almeno in Italia, la corruzione di larga parte della classe politica e di quella industriale per sperare davvero in una veloce svolta. Di male in peggio, la politica al di là dei partiti di destra o di sinistra in Italia - come ricorda giustamente oggi Ernesto Galli della Loggia sul Corsera - non «hanno più una visione per l'avvenire». «nessuna idea nuova - aggiunge - nessuna indicazione significativa, nessuna nuova energia realmente politica è scesa in campo. Niente». Il problema, dal nostro punto di vista, non è che il mancare di qualcosa di "nuovo" sit et simpliciter bensì di un orizzonte che, alla luce di quello che vediamo oltralpe, potrebbe essere addirittura bipartisan o comunque base comunque degli schieramenti ovvero la suddetta riconversione ecologica dell'economia. Ma questo punto di vista non si vede aria. Obama e i compromessi a cui si è dovuto sottoporre, inoltre, dimostrano quanto ancora anche nel mondo occidentale ci sia da lavorare, che sarebbe anche comprensibile data l'enormità della rivoluzione necessaria, ma che drammaticamente non collima con la ristrettezza dei tempi che detta la crisi ecologica in corso.


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