lunedì, febbraio 15, 2010
In occasione del trentennale dalla morte di Vittorio Bachelet, ucciso il 12 febbraio 1980 dalle Brigate Rosse all’ingresso della facoltà di Scienze Politiche all’Università La Sapienza di Roma, si è svolto a Roma un convegno organizzato dall'Azione Cattolica per ricordarne la figura ed il pensiero.

dalla nostra inviata
Monica Cardarelli

Nel pomeriggio del 12 febbraio l’università La Sapienza ha ospitato il convegno “Vittorio Bachelet: un testimone per la speranza”, organizzato dall’Istituto Vittorio Bachelet e realizzato in collaborazione con l’Istituto Paolo VI, che è proseguito nella mattinata del 13 febbraio presso la Domus Marie con gli interventi di Mario Agnes, Alberto Monticone, Raffaele Cananzi, Giuseppe Gervasio, Paola Bignardi e Luigi Alici, già Presidenti nazionali dell’Azione Cattolica Italiana. La cerimonia di inaugurazione presso l’Aula Magna dell’Università La Sapienza, a cui era presente il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e la famiglia Bachelet, si è svolta con un susseguirsi di numerosi interventi. Ha aperto i lavori il Rettore dell’Università Luigi Frati, che ha ricordato i numerosi fatti di sangue che hanno interessato in quegli anni l’Università di Roma, da Remo Cacciafesta il 22 giugno 1977 ad Aldo Moro, fino ad arrivare al 12 febbraio 1980 con l’uccisione di Bachelet, ed ha evidenziato come tra questi uomini ci fosse un filo comune: quello della ricerca del dialogo con le istituzioni.

Giovanni Conso, Presidente dell’Associazione Vittorio Bachelet, ha ricordato ciò che lui chiama ormai “metodo Bachelet”, e cioè un dialogo paziente che poi è l’origine della democrazia. Infatti, anche tra gli studenti che lo avevano seguito, era comune il pensiero che Bachelet fosse stato ucciso “perché era uno che credeva nella possibilità di discutere con tutti” come affermò uno studente all’indomani dell’accaduto, il 13 febbraio 1980.

L’intervento di Franco Miani, Presidente dell’Azione Cattolica, richiamando il pensiero di Mounier ha sottolineato come in Bachelet vocazione, incarnazione e comunione avessero raggiunto un’unità, e perciò lo si può chiamare testimone di speranza ricordando inoltre come, proprio grazie alla sua serietà nello studio e nella professione, spese il suo impegno a servizio della famiglia dell’Azione Cattolica. Infatti, da Presidente dell’Azione Cattolica fu l’uomo della scelta religiosa che consisteva in “un riandare alle sorgenti così da riscoprire le radici più profonde della vita cristiana”, come scrisse di lui il Cardinal Carlo Maria Martini.
“Un modo per tornare, nello spirito della Lettera a Diogneto, ai punti di riferimento per la propria vita e per il proprio impegno civile e politico. Scelta religiosa è anche la capacità di aiutare i cristiani a vivere la loro vita di fede in una concreta situazione storica, ad essere ‘anima del mondo’, cioè fermento, seme positivo per la salvezza ultima, ma anche servizio di carità non solo nei rapporti personali, ma nella costruzione di una città comune in cui ci siano meno poveri, meno oppressi, meno gente che ha fame. Allora la scelta religiosa insegna al cristiano che la testimonianza di carità si fa per lui anche impegno civile e politico che non può delegare al gruppo o alla comunità ecclesiale, ma alla cui coscienza e responsabilità il gruppo e la comunità ecclesiale devono formarlo” come disse lo stesso Bachelet.

Toccante e comprensibilmente sentito l’intervento del figlio Giovanni che ha ricordato tutti coloro che come il padre sono state vittime di attentati ma che sono state dimenticate e di cui non si parla mai. Ha proseguito poi presentando alcuni aspetti umani del padre, raccontando piccoli aneddoti da cui emerge la testimonianza semplice ma forte e sempre coerente del cristiano, uomo e padre. La concezione del lavoro come vocazione primaria; l’attenzione alla ricerca nel lavoro quotidiano della verità che può essere vissuta solo nella libertà. Il Cardinal Martini affermò che Bachelet era stato colpito “nel cuore della sua professionalità e della sua fedeltà a servizio della città degli uomini”, quasi un “martirio laico”.

Grande, dunque, la testimonianza che ci viene lasciata dalla vita di Vittorio Bachelet per la serenità, l’attenzione costante alla qualità dei rapporti e l’umiltà che ha contraddistinto il suo impegno umano e professionale.
La sera prima dell’attentato in occasione di un ricevimento offerto dalla Santa Sede per l’anniversario dei Patti Lateranensi aveva risposto così ad un giornalista “per conto mio vivo nella fiducia che piccoli segnali possano diventare una grande luce.” Testimone di speranza.
“Non si vince l’egoismo mostruoso che tronca la vita se non con un supplemento d’amore, se non contrapponendo la capacità di dare la vita per il sostegno e la difesa degli inermi, degli innocenti, di chi vive in una insostenibile situazione di ingiustizia. Non si vince questo nostro egoismo se non riscoprendo il valore di ogni uomo perché figlio del Padre che dà la vita.” (Vittorio Bachelet)

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