martedì, dicembre 01, 2009

Intervista di Fabio Gioffrè

Dobbiamo dare torto a chi dice che il cinema italiano di oggi è a corto di talenti. Dopo aver visto i cortometraggi realizzati da Emanuele Pisano, giovane autore esordiente la cui stella brilla già di luce propria tra le leve del cinema made in Italy, intravediamo il profilo di un futuro grande regista figlio della Sicilia, terra natale di Pisano. Aspetti della vita che con la fantasia hanno poco a che vedere quelli raccontati, con l’arte della poesia e del vero cinema d’autore, nei cortometraggi girati e scritti dal giovane regista siciliano.
Vincitore nel 2008 del Premio “Cinesicilia” con il cortometraggio intitolato “Pensieri Nascosti”, in cui il regista racconta due crude storie di sfruttamento di immigrati giunti nel nostro paese. Una delle protagoniste del corto finisce col non farcela a sopportare una vita fatta di prostituzione e percosse. La giovane immigrata vedendo infrangere i propri sogni e le speranze decide di mettere fine ad una vita per lei ormai senza luce, trovando nel suicidio l’unica via d’uscita da un mondo vuoto e cattivo. Durante il video una voce narrante sottolinea l’asprezza di questa storia e ne accentua la drammaticità.

PENA. Esclusione di vita”, un titolo che la dice lunga sul secondo corto girato da Emanuele Pisano, vincitore con questa pellicola del Premio Alice nell’edizione 2008 dei David di Donatello. Un cortometraggio ma anche un vero e proprio spot, efficace nelle immagini e nelle parole, contro la pena di morte.

Ultimo lavoro del regista, visibile in questi giorni su Youtube nella sua forma definitiva, è il corto “Il mio nome non è importante”. In questa pellicola Emanuele Pisano affronta il problema della disabilità e dell’emarginazione sociale. Nel corto due vite che se pur distanti e diverse sono accomunate dalla realtà di due contesti cupi e tristi, quello dell’uomo – disabile in carrozzina – ‘intrappolato’ in casa e incompreso dalla famiglia, e quello una bambina nomade che si procura da vivere vendendo rose rubate furtivamente al cimitero. Entrambi aspirano ad uno scopo: l’uomo sogna di potersi affacciare dalla finestra per vedere il mondo esterno a lui precluso e la bambina trova la direzione di una scuola che forse porrà fine al suo solitario vagare. Il corto che possiamo già definire ‘plurimemiato’ è stato selezionato in 60 Festival Nazionali e ben dieci premi ne hanno riconosciuto il valore artistico.

Per conoscere meglio l’arte e le aspirazioni di questo autore che ha già pronto un nuovo lavoro in uscita da gennaio 2010, gli abbiamo rivolto alcune domande:


D. – Emanuele Pisano, il suo è un nome che con ogni probabilità tra non molto tempo leggeremo spesso su giornali e riviste a proposito di cinema. La scelta di affrontare nei suoi cortometraggi temi così importanti come lo sfruttamento dell’immigrazione, la pena di morte e la disabilità, le fa onore. Sorprende molto che un giovane regista di soli 21 anni abbia già la maturità per occuparsi di tali problematiche. Le sue scelte derivano da esperienze personali che l’hanno portata a conoscere queste realtà?


R. – Le sono grato, e con molta modestia accetto i suoi complimenti. Ultimamente sono proprio quei complimenti che ti spingono a fare e continuare a fare. Tornando alla sua domanda, le posso dire che per mia fortuna non ho toccato né sfiorato mai tali vicende nella mia vita personale. Ho semplicemente “osservato” tutto quello con cui ci scontriamo ogni giorno, uscendo dall'uscio di casa. Il mio particolare desiderio fin da quando ho iniziato con una minitelacamerina è stato ed è quello di rispondere a dei perché, a dei problemi e a delle circostanze. Queste risposte, che in prima persona mi creo, con molta speranza li propongo allo spettatore alla ricerca di un riscontro.
Ormai viviamo in un epoca in cui vi è un eccessivo bombardamento di immagini e di informazioni video, dove la Tv ed Internet sono i maggiori fruitori. Quindi scrivere e poi dirigere immagini in movimento oggi più che mai risulta un’impresa ardua. E' definitivamente finito il tempo di quel Neorealismo nel quale bastava andare in strada e riprendere la realtà circostante. Secondo me, qualora si volesse raccontare quella realtà, bisognerebbe andare oltre, bisognerebbe davvero essere chiari e specifici cercando di captare quasi scientificamente la vita da narrare.


D. – Si parla molto di ‘crisi del cinema italiano’: secondo lei è una crisi dovuta ad una reale mancanza di talenti oppure i giovani faticano ad emergere a causa della scarsità di produttori lungimiranti che sanno “pescare” le giovani promesse?


R. - Io credo, per quello che ho vissuto fino adesso, che entrambe le tesi siano esatte. All'età di 18 anni, finita la scuola dell'obbligo, si parte in tanti per andare a fare cinema o spettacolo in generale.
Ma strada facendo vi è una selezione naturale delle persone che continuano. Per quelli che credono solo ed esclusivamente al successo, la strada finisce subito, alle prime difficoltà ed ai primi incarichi qualcuno abbandona. Questo fa sì che, come dei gironi che pian piano si stringono, le persone che hanno voglia, che vogliono fare, che vogliono dire, diventano sempre di meno, ma sempre più selezionati e preparati. Il Viaggio continua, quelli più tenaci rimangono e magari vengono notati, nonostante vi è il pericolo determinato sempre da quella minuscola percentuale di sbaglio e di confusione che non premia il più meritevole.
Ma non c'è ombra di dubbio che se sei bravo, si continua senza problemi.
Talento insieme ad Arte sono parole troppo abusate in questo periodo, bisognerebbe andarci cauti e senza nessuna pretesa bisognerebbe osservare tutto in buona fede.
Insomma, dopo aver selezionato i pochi bravi/meritevoli, credo che il compito di agevolare i sacrifici spetti al famoso simbolo Istituzionale chiamato Stato.
E' davvero difficile produrre un’opera che sia artistica o scientifica. Nelle mani dello Stato vi è tutto il monopolio artistico, che parte dalla censura e finisce alla distribuzione. Basti pensare che con gli ultimi tagli che il governo minaccia di fare, film italiani premiati nel mondo come GOMORRA e IL DIVO quest’anno non si potrebbero neanche realizzare, per la carenza di fondi.
Visti i tempi, oggi più che mai bisogna rimboccarsi le maniche, smetterla di piangersi addosso e cercare di fare, anche se in piccolo, qualcosa da sé, con la speranza che qualcuno osservi, e secondo le leggi più vigenti della meritocrazia possa premiare i giusti sacrifici lavorativi. Il Futuro non è molto roseo, ma io ci credo.


D. – Quali sono i registi del nostro cinema che lei predilige?


R. – Senza nessuna vergogna i miei idoli non sono Stanley Kubrick , Martin Scorsese , Orson Welles, ecc.
Rispetto quei nomi ed i loro lavori come forma d'arte, sono dei simboli di inestimabile valore.
Ma il mio essere, il mio modo di pensare mi porta a dire che prediligo in pieno Gabriele Muccino.
I suoi movimenti mai pensati, quasi enfatici, mi colpirono subito fin dall'inizio. Inoltre il suo modo di fare e di usare il movimento della macchina da presa, come un ulteriore mezzo che crei emozioni, cerco di plasmarlo in quello che faccio. Amo e mi piace molto il Cinema Italiano. Il Neorealismo e la sua epoca mi hanno sempre affascinato, ma sono fiducioso e traggo soprattutto ispirazione dal cinema italiano dei nostri giorni, nonostante ancora si dica che sia in decadimento.
Oltre che Gabriele Muccino, mi piace ed ammiro Paolo Sorrentino che con molta caparbietà secondo me sta creando un proprio genere. Andando oltre oceano posso dire che osservo e studio due sceneggiatori/registi: Paul Haggis e Guillermo Arriaga. Spesso nelle sceneggiature usano gli intrecci tra più storie creando una sorta di causa-effetto tra le diverse vicende.
E con molta passione ormai sono diventato un fanatico delle storie corali, le studio e poi le sperimento nei miei cortometraggi.


D. – Nel cortometraggio “Il mio nome non è importante” lei apre delle finestre su due vite, entrambe frustrate ed insoddisfatte, ma entrambi i personaggi trovano un scopo, un fine da raggiungere. Quale è lo scopo o l’aspirazione di Emanuele Pisano?


R. – Una famosa frase, che cito come se fosse mia, potrebbe rispondere da sé alla domanda. Mi ripeto sempre che: ”Non è tanto chi sei, ma quello che fai che ti qualifica”.
Spero solo di essere riconosciuto un giorno per quello che ho fatto e non per altro.
Mi basta semplicemente quello. E' dura, non vorrei essere drastico dicendo durissima, ma non ho paura di andare a prendere quello che desidero... vedremo come andrà a finire.


D. - La sua terra, la Sicilia, ha dato all’Italia e al mondo un grande regista come Giuseppe Tornatore. Nell’ultimo suo ultimo film, Baaria, il regista racconta la storia della Sicilia del ‘900 facendola passare attraverso le vicende familiari di tre generazioni. I film di Tornatore, legatissimo alla sua terra, sono spesso “intrisi” di sicilianità. Quanto lei vorrà dedicare del suo futuro ‘cinema’ alla sua terra?


R. – Quello che sono adesso lo devo pure ai miei sbagli ed alle mie gioie, e naturalmente alle persone che come i miei genitori ed i miei fratelli quasi inconsciamente mi hanno coniato. La mia terra, la Sicilia, forse nei 18 anni trascorsi lì, non mi ha emozionato come ha fatto con Tornatore. Per adesso credo che non ci sia molto da raccontare, si è detto molto in un unica monotematica chiamata mafia. E' un tema che ha fatto conoscere la Sicilia nel mondo. Il mio scopo è quello di trovare un tema siciliano che non sia la mafia ma che colpisca come essa in tutto il mondo. Rivoltare un po’ quell'appellativo che personalmente mi sta un po’ pesante.
C'è tempo... appena troverò il bisogno e l'opportunità spero di poter narrare il mio scopo... intanto cerco e penso.


D. – Sappiamo che dopo “Il mio nome non è importante” lei ha girato un nuovo cortometraggio che si colloca, per le tematiche affrontate, assieme a quelli precedenti che possiamo definire di “cinema sociale” a difesa dei diritti umani. Ci parli del suo nuovo lavoro.


Il nuovo cortometraggio ha come tematica la voglia che ci spinge alla comunicazione con l'altro e di conseguenza le azioni che ci porta a fare. Sarà un cortometraggio corale, seguirò quindi quel che adesso mi affascina, l'incrocio di più storie che hanno lo stesso comune denominatore. Un detenuta, con il permesso di semilibertà, ogni giorno va a lavorare in una lavanderia. Un padre cura il figlio che si trova in stato vegetativo. Un giardiniere che vive solo, spia le persone che passano accanto al suo giardino. Queste vicende si incroceranno causando un effetto a ritroso a vicenda.
Dopo aver visto “Il mio nome non è importante”, alcuni attori noti, ma io ribadisco assolutamente bravi, hanno deciso di partecipare, ed è con mia grande felicità che ho potuto dirigere Pietro De Silvia (La Vita è Bella, L'ora di Religione), Roberta Garzia (una delle protagoniste della sit-com Camera Cafè) e Michela Andreozzi, inoltre con immenso onore all'interno del cast vi sono pure Fabrizio Romagnoli, Claudio Caminito e Fausto Romano. Visto che ho da poco concluso le riprese, colgo l'occasione per ringraziare tutta la troupe, in particolare il direttore della fotografia, Francesco di Pierro, che ha illuminato ad arte quel che si è girato, e mi auto-auguro un bel buona fortuna per quanto riguarda la post-produzione che presto inizierò.


Ringraziamo Emanuele Pisano per le sue risposte. La nostra rivista presenterà i suoi cortometraggi tra i “video del giorno”.


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