Al via a Copenaghen il vertice Onu sul clima. Migliaia le personalità presenti in rappresentanza di 192 Paesi, alla ricerca di un accordo per contrastare l’emissione di gas serra in sostituzione dei parametri fissati dal Protocollo di Kyoto che scade l’anno prossimo.
Radio Vaticana - La città è blindata per le numerose manifestazioni delle organizzazioni ambientaliste. Ottimismo sull’esito del vertice è stato espresso dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, anche se non è scontato un accordo vincolante per tutti. Il servizio è di Salvatore Sabatino (ascolta):
Un filmato sulle popolazioni del mondo che pagano le conseguenze dei cambiamenti climatici. Così ha avuto inizio il vertice Onu sul clima, che preferisce lasciare spazio alle immagini, più emblematiche di qualsiasi discorso ufficiale. In una Copenaghen blindatissima le delegazioni di 192 Paesi hanno dato il via al summit dei record. 15.000 rappresentanti, 5.000 giornalisti, oltre 100 capi di Stato e di governo che da oggi al 18 dicembre cercheranno di disegnare il profilo di un mondo che necessita di un cambiamento. Da una parte ridurre le emissioni di Co2, dall’altra la corsa contro il tempo per frenare l’innalzamento delle temperature, limitando i danni dei grandi sconvolgimenti climatici: scioglimento di ghiacciai, innalzamento dei mari, desertificazione di zone fertili, alluvioni e uragani. E le istanze sono molteplici: da una parte i Paesi industrializzati, che si impongono dei limiti di emissione, dall’altra quelli in via di sviluppo, che chiedono aiuti per poter convertire la propria industria e rispettare così la natura. Di qui la necessità di implementare la politica globale degli aiuti: secondo Yvo de Boer, segretario esecutivo della convenzione dell'Onu sui cambiamenti climatici, serviranno una decina di miliardi di dollari ogni anno per i prossimi tre anni, per rispondere ai bisogni più urgenti dei Paesi più vulnerabili. E chiede di fare in fretta, almeno sul raggiungimento degli accordi, lo stesso segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, secondo il quale occorre “non perdere tempo, perché - ha detto - tutti i governi del mondo sono d'accordo sul fatto che la temperatura media del pianeta non deve aumentare di oltre due gradi”. E a Copenaghen grande eco hanno avuto le parole di Benedetto XVI, che ieri, durante l’Angelus, in Piazza San Pietro, si è rivolto alla comunità internazionale, affinché affronti concretamente il fenomeno del riscaldamento globale. Ecco le parole del Papa:
“La salvaguardia del Creato postula l’adozione di stili di vita sobri e responsabili, soprattutto verso i poveri e le generazioni future. In questa prospettiva, per garantire pieno successo alla conferenza, invito tutte le persone di buona volontà a rispettare le leggi poste da Dio nella natura e a riscoprire la dimensione morale della vita umana”.
Ma diamo la parola, ora, ad uno dei più importanti climatologi italiani, il prof. Giampiero Maracchi, del Consiglio Nazionale delle Ricerche. A lui abbiamo chiesto qual è lo stato di salute del nostro pianeta:
R. - Se guardiamo ai dati è abbastanza cattivo, ma questo non è soltanto oggi, nel 2009, ma a cominciare dalla fine degli anni Ottanta. Il clima è forse uno degli effetti più evidenti ma sono tanti gli elementi che non tornano più e c’è un dato specifico che si riferisce alla sostenibilità del pianeta, anche in termini di risorse naturali, e questa sostenibilità l’abbiamo già oltrepassata negli anni Novanta.
D. – A Copenaghen si cercherà di produrre un documento che possa sostituire il Protocollo di Kyoto, che porti ad una riduzione sostanziale di emissioni di anidride carbonica. Qual è il limite giusto da fissare?
R. – Il limite continua ad essere quello che era stato identificato inizialmente dal Protocollo di Kyoto: non si tratta di identificare soltanto i limiti ma si tratta di capire come si fa ad arrivare a mantenere questi limiti.
D. – Molti suoi colleghi parlano di strada senza ritorno, di catastrofe annunciata, di impossibilità di agire. Ma è ancora possibile, secondo lei, salvare il mondo con un comportamento responsabile?
R. – A mio avviso assolutamente sì. Io ho abbastanza fiducia anche nella ragione umana. Anche i grandi Paesi che sono da poco alla ribalta dello sviluppo – come la Cina e l’India – iniziano a rendersi conto dei difetti di un certo modello e quindi – come ha detto anche il Papa ieri – si tratta semplicemente di attuare con buona volontà una modifica di questo modello.
D. – Qual è il risultato concreto che ci possiamo aspettare da questo summit?
R. – Degli impegni possibilmente temporalmente ben definiti e non un rinvio al 2030 o al 2050 perché sono tempi troppo lontani.
Radio Vaticana - La città è blindata per le numerose manifestazioni delle organizzazioni ambientaliste. Ottimismo sull’esito del vertice è stato espresso dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, anche se non è scontato un accordo vincolante per tutti. Il servizio è di Salvatore Sabatino (ascolta):Un filmato sulle popolazioni del mondo che pagano le conseguenze dei cambiamenti climatici. Così ha avuto inizio il vertice Onu sul clima, che preferisce lasciare spazio alle immagini, più emblematiche di qualsiasi discorso ufficiale. In una Copenaghen blindatissima le delegazioni di 192 Paesi hanno dato il via al summit dei record. 15.000 rappresentanti, 5.000 giornalisti, oltre 100 capi di Stato e di governo che da oggi al 18 dicembre cercheranno di disegnare il profilo di un mondo che necessita di un cambiamento. Da una parte ridurre le emissioni di Co2, dall’altra la corsa contro il tempo per frenare l’innalzamento delle temperature, limitando i danni dei grandi sconvolgimenti climatici: scioglimento di ghiacciai, innalzamento dei mari, desertificazione di zone fertili, alluvioni e uragani. E le istanze sono molteplici: da una parte i Paesi industrializzati, che si impongono dei limiti di emissione, dall’altra quelli in via di sviluppo, che chiedono aiuti per poter convertire la propria industria e rispettare così la natura. Di qui la necessità di implementare la politica globale degli aiuti: secondo Yvo de Boer, segretario esecutivo della convenzione dell'Onu sui cambiamenti climatici, serviranno una decina di miliardi di dollari ogni anno per i prossimi tre anni, per rispondere ai bisogni più urgenti dei Paesi più vulnerabili. E chiede di fare in fretta, almeno sul raggiungimento degli accordi, lo stesso segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, secondo il quale occorre “non perdere tempo, perché - ha detto - tutti i governi del mondo sono d'accordo sul fatto che la temperatura media del pianeta non deve aumentare di oltre due gradi”. E a Copenaghen grande eco hanno avuto le parole di Benedetto XVI, che ieri, durante l’Angelus, in Piazza San Pietro, si è rivolto alla comunità internazionale, affinché affronti concretamente il fenomeno del riscaldamento globale. Ecco le parole del Papa:
“La salvaguardia del Creato postula l’adozione di stili di vita sobri e responsabili, soprattutto verso i poveri e le generazioni future. In questa prospettiva, per garantire pieno successo alla conferenza, invito tutte le persone di buona volontà a rispettare le leggi poste da Dio nella natura e a riscoprire la dimensione morale della vita umana”.
Ma diamo la parola, ora, ad uno dei più importanti climatologi italiani, il prof. Giampiero Maracchi, del Consiglio Nazionale delle Ricerche. A lui abbiamo chiesto qual è lo stato di salute del nostro pianeta:
R. - Se guardiamo ai dati è abbastanza cattivo, ma questo non è soltanto oggi, nel 2009, ma a cominciare dalla fine degli anni Ottanta. Il clima è forse uno degli effetti più evidenti ma sono tanti gli elementi che non tornano più e c’è un dato specifico che si riferisce alla sostenibilità del pianeta, anche in termini di risorse naturali, e questa sostenibilità l’abbiamo già oltrepassata negli anni Novanta.
D. – A Copenaghen si cercherà di produrre un documento che possa sostituire il Protocollo di Kyoto, che porti ad una riduzione sostanziale di emissioni di anidride carbonica. Qual è il limite giusto da fissare?
R. – Il limite continua ad essere quello che era stato identificato inizialmente dal Protocollo di Kyoto: non si tratta di identificare soltanto i limiti ma si tratta di capire come si fa ad arrivare a mantenere questi limiti.
D. – Molti suoi colleghi parlano di strada senza ritorno, di catastrofe annunciata, di impossibilità di agire. Ma è ancora possibile, secondo lei, salvare il mondo con un comportamento responsabile?
R. – A mio avviso assolutamente sì. Io ho abbastanza fiducia anche nella ragione umana. Anche i grandi Paesi che sono da poco alla ribalta dello sviluppo – come la Cina e l’India – iniziano a rendersi conto dei difetti di un certo modello e quindi – come ha detto anche il Papa ieri – si tratta semplicemente di attuare con buona volontà una modifica di questo modello.
D. – Qual è il risultato concreto che ci possiamo aspettare da questo summit?
R. – Degli impegni possibilmente temporalmente ben definiti e non un rinvio al 2030 o al 2050 perché sono tempi troppo lontani.
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