martedì, novembre 24, 2009
A Beledweyne, città a nord-ovest di Mogadiscio quasi al confine con l’Etiopia, l’amministrazione locale è cambiata ben tre volte dallo scorso settembre aggravando ogni volta le condizioni di vita della popolazione costretta ad adeguarsi alle direttive del nuovo gruppo al potere.

Radio Vaticana - Al confine tra zone di influenza degli ‘shebab’ e delle forze governative, Beledweyne - scrive Irin, rete informativa dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento umanitario - è solo un indicativo esempio dell’emergenza umanitaria vissuta dall’intera Somalia che si fa più grave con il passare del tempo e con l’accumularsi dei problemi. A Beledweyne, - riferisce l'agenzia Misna - gli sfollati che vivono in campi allestiti all’esterno della città sono circa 15.000 e, sottolinea Irin, sono proprio loro a pagare le peggiori conseguenze di questo costante clima di insicurezza. “Questa gente – scrive la rete informativa dell’Onu citando testimonianze locali – è stata costretta a fuggire diverse volte, gli aiuti che ricevono non sono sufficienti e per sopravvivere si affidano a sporadici lavori in città”. A confermare le difficoltà dovute al continuo cambiamento di amministrazioni, controllate ora da un gruppo ora da un altro, è il Programma Alimentare Mondiale (Pam) secondo cui in tutta la Somalia sono oltre un milione e mezzo gli sfollati e circa tre milioni e 600 mila le persone che hanno bisogno di assistenza alimentare. Aiuti che a volte difficilmente si riesce a garantire a causa dell’insicurezza generale, come avvenuto ieri nella città meridionale di Buale dove 12 operatori stranieri del Pam sono stati costretti a trasferirsi nel timore di possibili scontri tra fazioni rivali.


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