giovedì, ottobre 08, 2009

di Monica Cardarelli

Da quando sono rientrata da Reggio Emilia il 27 settembre mi propongo ogni giorno di scrivere del Festival Francescano, ma mi accorgo ogni volta che è molto difficile. Sarebbe riduttivo un semplice elenco di tutti i relatori presenti, delle conferenze ascoltate, degli spettacoli teatrali e dei concerti a cui ho assistito, delle mostre che ho avuto la fortuna di visitare. Senza nulla togliere al loro valore, anzi, il programma era ricchissimo e denso in ogni sua espressione. Ma non mi è facile raccontare le emozioni suscitate da alcune immagini, espressioni, parole e suoni dello spettacolo teatrale “Francesco di terra e di vento” del Teatro Minimo. Semplice, essenziale ma evocativo e diretto, che lascia un segno perché smuove qualcosa che anche noi pensiamo o crediamo di Francesco. Che sia una conferma o una novità, è pur sempre un’emozione che arriva grazie alla bravura degli attori e del regista e drammaturgo.
Potrei citare tutti i relatori presenti al Festival. Ce ne erano veramente tanti e di elevato livello. Da Roberto Filippetti, Pietro Maranesi, Lucio Saggioro a Giorgio Zanetti, Fulvio De Giorgi, Giovanni Salonia e ancora Maria Gabriella Bortot, Berardo Rossi, Chiara Frugoni, Pietro Maranesi e Giuseppe Failla, Orlando Todisco, Franco Cardini e Stefano Zamagni.
Non basterebbe però neppure relazionare dettagliatamente su ciascun intervento perché non sono solo le parole su Francesco che hanno detto che mi hanno in qualche modo lasciato un segno, quanto piuttosto la loro risonanza dentro di me, qui ed ora.
Le immagini degli affreschi della mostra “L’arte e la Regola” o i quadri di Gino Covili su Francesco e Chiara; il silenzio della Chiesa dei Cappuccini sempre aperta e con la possibilità di assistere all’adorazione animata dalle clarisse di Sant’Agata Feltria; la gioia e l’allegria dei ragazzi che hanno animato, con canti di Taizé e piccole rappresentazioni, la preghiera francescana del sabato pomeriggio momento, credo, in cui si è raggiunta la maggiore affluenza di partecipanti ad un unico evento; il fruscìo delle tonache dei frati (veramente numerosi) per le strade di Reggio; il sorriso e la gentilezza di tutti i volontari che hanno reso possibile questo grande evento, davvero curato nei minimi dettagli; la voce di Marco Alemanno che interpretava le poesie di Alda Merini su Francesco e in sottofondo le musiche di Lucio Dalla che accompagnavano.
Ecco, queste ed altre le sensazioni che sono rimaste e che di tanto in tanto ritornano. Così come alcune parole dette su Francesco. Come ad esempio, la difficoltà dell’uomo di oggi di pensare ad un mondo relazionale positivo, la sua difficoltà a convivere per motivi positivi. Forse, non si è ancora imparato a convivere. “La fraternità è la grande sfida che Dio ha affidato all’essere umano” ci ha detto Giovanni Salonia aggiungendo che Francesco ha dato un significato nuovo al termine ‘comunitas’. Prima si pensava che si dovesse stare insieme per svolgere un compito. Francesco ci dice con la sua vita che il compito che dobbiamo svolgere è stare insieme.
Questo nuovo senso di comunità include le varie soggettività. Francesco pensa ad un ‘Noi’ che non si contrappone ad un ‘loro’, un ‘Noi’ inclusivo che non vuole cambiare l’altro, ma conoscerlo e accettarlo. Solo dalla relazione con l’altro possono scaturire delle regole che non saranno mai imposte ma accettate con e per amore. Per creare relazioni positive, nuove, autentiche serve del tempo. Ascolto. Ascoltare e ascoltarsi. E non aver paura di chiedere e ammettere di avere bisogno. Oggi, sembra diventato più facile aiutare che essere aiutati. Francesco quando incontra il lebbroso lo abbraccia ma non lo guarisce, non lo aiuta potrebbe sembrare ai nostri occhi. Infatti, è Francesco che viene guarito, lui viene aiutato da un abbraccio. Dalla sua disponibilità ad accogliere e a farsi aiutare.
Non sempre si ha il tempo di conoscere e capire l’altro. A volte, la vera sfida è proprio quella di camminare insieme accettando l’altro così come è prima di una comprensione razionale. Questa la vera fraternità che Francesco e Chiara ci hanno trasmesso, palpabile anche nell’atmosfera che si respirava al Festival. Accoglienza, apertura all’altro sempre nella gioia dell’incontro e nel senso di meraviglia della conoscenza dell’altro. L’atmosfera di quelle giornate e l’atteggiamento sinceramente fraterno di tutti i partecipanti della grande famiglia francescana, dai frati alle clarisse, dai giovani della Gi.Fra. alle suore francescane, dagli appartenenti all’O.F.S. ai frati minori, tutti insieme hanno testimoniato che partendo dalle piccole cose e dalle relazioni profonde quanto fraterne, si può vivere e convivere positivamente. Una piccola rivoluzione per i nostri tempi. Piccola ma forte che ha donato forza a tutti noi facendoci toccare con mano che ciò che abbiamo vissuto al Festival, lo possiamo riportare nella vita di tutti i giorni.
Anzi, lo dobbiamo fare perché, come ci ha ricordato Franco Cardini in occasione della Tavola Rotonda conclusiva, come dice il libro di Qoelet “C’è un tempo per ogni cosa” e questo per noi cristiani, non è il tempo del silenzio ma della parola.


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